IN CAMMINO VERSO IL CUORE UNIFICATO
Nei due figli, che dicono
e subito si contraddicono,
vedo raffigurato
il mio cuore diviso,
le contraddizioni
che Paolo lamenta:
non mi capisco più,
faccio il male
che non vorrei,
e il bene che vorrei
non riesco a farlo
(Rm 7, 15.19),
che Goethe riconosce:
“ho in me, ah, due anime”.
A partire da qui,
la parabola suggerisce
la sua strada
per la vita buona:
il viaggio verso
il cuore unificato.
Invocato dal Salmo 86,11:
Signore, tieni unito
il mio cuore;
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indicato dalla Sapienza 1,1
come primo passo
sulla via della saggezza:
cercate il Signore
con cuore semplice,
un cuore non doppio,
che non ha secondi fini.
Dono da chiedere sempre:
Signore, unifica il mio cuore;
che io non abbia in me
due cuori, in lotta tra loro,
due desideri in guerra.
Se agisci così,
assicura Ezechiele,
fai vivere te stesso,
sei tu il primo
che ne riceve vantaggio.
Con ogni cura
vigila il tuo cuore,
perché da esso sgorga la vita.
(Prov 4,23).
Il primo figlio si pentì
e andò a lavorare.
Di che cosa si pente?
Di aver detto di no al padre?
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Letteralmente Matteo dice:
si convertì,
trasformò il suo modo
di vedere le cose.
Vede in modo nuovo
– la vigna,
– il padre,
– l’obbedienza.
Non è più la vigna
di suo padre
è la nostra vigna.
Il padre non è più
il padrone cui sottomettersi
o al quale sfuggire,
ma il Coltivatore
che lo chiama a collaborare
per una vendemmia abbondante,
per un vino di festa
per tutta la casa.
Adesso il suo cuore
è unificato:
per imposizione
nessuno potrà mai
lavorare bene
o amare bene.
Al centro,
la domanda di Gesù:
chi ha compiuto
la volontà del padre?
In che cosa consiste
la sua volontà?
Avere figli rispettosi
e obbedienti?
No, il suo sogno di padre
è una casa abitata
non da servi ossequienti,
ma da figli liberi e adulti,
alleati con lui per la maturazione del mondo,
per la fecondità della terra.
La morale evangelica
non è quella dell’obbedienza,
ma quella della fecondità,
dei frutti buoni,
dei grappoli gonfi di mosto:
volontà del Padre è che
voi portiate molto frutto
e il vostro frutto rimanga…
A conclusione:
i pubblicani e le prostitute
vi passano avanti.
Dura frase, rivolta a noi,
che a parole diciamo “sì”
che ci vantiamo credenti,
ma siamo sterili
di opere buone,
cristiani di facciata
e non di sostanza.
Ma anche consolante,
perché in Dio
non c’è condanna,
ma la promessa
di una vita buona,
per gli uni e per gli altri.
Dio ha fiducia sempre,
– in ogni uomo,
– nelle prostitute
– e anche in noi,
nonostante i nostri errori
e ritardi nel dire sì.
Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch’io cominciare
la mia conversione verso
un Dio che non è dovere,
ma amore e libertà.
Con lui matureremo grappoli,
dolci di terra e di sole.
Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.
