don Paolo Scquizzato – Commento al Vangelo del 14 dicembre 2025

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Giovanni il Battista attendeva da lรฌ a poco lโ€™irruzione dellโ€™ira di Dio. Era convinto che questa dovesse manifestarsi nellโ€™uomo Gesรน di Nazareth, come forza capace di rimettere in ordine il mondo, di separare, di colpire, di purificare. Nei tempi di crisi, da sempre, lโ€™umanitร  invoca una figura forte: un messia, un salvatore, un capo. Qualcuno che tagli, che giudichi, che ristabilisca.

Giovanni prende sul serio questa attesa. Le sue parole sono nette, taglienti come la scure di cui parla. Le troviamo allโ€™inizio del vangelo: ยซLa scure รจ posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Colui che viene dopo di me รจ piรน potente di meโ€ฆ Egli ha in mano il ventilabro, pulirร  la sua aia e raccoglierร  il suo grano nel granaio, ma brucerร  la pula con un fuoco inestinguibileยป (Mt 3, 10ss.). รˆ lโ€™immagine religiosa di Dio: forza che separa, setaccia e giudica.

Eppure, Gesรน non sembra rispondere a questa attesa. Proprio per questo Giovanni, dalla prigione, gli manda a chiedere: ยซSei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?ยป. รˆ come se anche lui, per la prima volta, sentisse vacillare lโ€™immagine di Dio che aveva da sempre custodito.

Gesรน non risponde con una definizione, nรฉ con una dichiarazione di identitร . Risponde mostrando un movimento: ยซI ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i morti risuscitano, ai poveri รจ annunciato il Vangeloยป. Il divino, se si manifesta, lo fa cosรฌ: passando attraverso la vita che rifiorisce, attraverso corpi che si rialzano, attraverso dignitร  che tornano a respirare.

Quando la vita puรฒ emergere, quando la dignitร  delle persone viene restituita, quando la creazione tutta intravvede la possibilitร  del suo compimento, allora qualcosa di Dio sta accadendo. Il segno non รจ il fuoco che distrugge, ma la vita che si riaccende.

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Dio altro non รจ che vita emergente.

Per questo Gesรน di Nazareth non appare tanto come un Dio che si fa carne, quanto un uomo che incarna ciรฒ che รจ la divinitร : vita portata avanti, respiro che non si arrende, feconditร  che genera, umanitร  che giunge alla sua pienezza. E ciรฒ che egli vive diventa anche la nostra vocazione piรน profonda.

Il Natale, allora, non รจ prima di tutto la celebrazione di qualcosa che discende dallโ€™alto, ma la memoria che anche noi possiamo vivere โ€œda dioโ€, ogni volta che dilatiamo la vita, la nostra e quella degli altri. Ogni volta che facciamo spazio alla luce dentro le pieghe dellโ€™umano.

Forse dovremmo imparare a non attendere piรน la vita dallโ€™alto, ma a riconoscere che siamo chiamati a partorirla. E se di grazia vogliamo parlare, รจ una grazia che prende la forma della responsabilitร . Come scrive Teresa Forcades, la grazia non รจ tanto ยซun fiore da cogliere, quanto un pane da impastareยป.

Dio รจ pane da impastare, carne da incarnare, amore da donare, vita da elargire.

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E cosรฌ il Natale non lo celebriamo accogliendo semplicemente un bambino che ci viene consegnato dallโ€™alto, ma scegliendo di incarnare il bene, diventando, giorno dopo giorno, piรน umani.

Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato.

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