Fate attenzione
Ilย lavoroย รจ per lโuomo e non lโuomo per il lavoro; iย beni materialiย sono per lโuomo e non lโuomo per i beni materiali, la dimensione delย fareย non deve compromettere o intaccare lโumanitร della persona: forse potremmo sintetizzare cosรฌ il messaggio delle letture di questa domenica.
Che mettono in guardia lโuomo contemporaneo dal far consistere la propria vita unicamente nel fare e nellโavere, nel produrre e nel possedere. Vi รจ un aspetto diย assurditร , rileva Qohelet (Qo 1,2; 2,21-23), nellโaffannarsi e tribolare dellโuomo sotto il sole, essendo chiaro che ciรฒ che lโuomo guadagna dal suo lavorare affannato e incessante passerร ad altri che non vi hanno per nulla faticato. Nel vangelo (Lc 12,13-21) Gesรน mette in guardia dalla brama di possesso, dallaย cupidigia. Il termine greco utilizzato,ย pleonexรญaย (Lc 12,15) significa โavereย piรนย di un altroโ, โambireย di piรนโ, e comporta il confronto sociale, la concorrenzialitร , la competitivitร , la logica orizzontale e soffocante del paragone, matrice della perniciosa invidia. E la messa in guardia di Gesรน รจ fondata sulla memoria della precarietร della condizione umana.
โQuesta notte stessa ti sarร richiesta la tua vitaโ (Lc 12,20). Laย morteย appare, sia in Qohelet che nel vangelo, come la realtร che annichilisce i disegni di riuscita esistenziale nella via del possesso e del fare, della ricchezza e delle opere prodotte, svelando tale riuscita come fallace e illusoria. Se opportunamente ricordata, la morte puรฒ esercitare un importante magistero per la vita riconducendo lโessere umano al realismo, dunque allโumiltร e alla sapienza. Chi vuole conoscersi deve interrogarsi sulla morte perchรฉ essa svela allโuomo ciรฒ che veramente รจ essenziale e ha senso nella vita. Nonostante le teorizzazioni e le sperimentazioni della cosiddetta societร post-mortale, resta ancora e sempre vera lโaffermazione lapidaria di santโAgostino:ย Incerta omnia, sola mors certaย (โTutte le cose sono incerte, sola la morte รจ certaโ). La morte รจ come una bussola per il vivente: grazie ad essa egli puรฒ orientarsi nellโesistenza. La prima lettura poi, fornisce lโoccasione di una riflessione sul modo di vivere il tempo e il lavoro oggi.
La seconda parte della pericope di Qohelet (2,21-23) riguarda il lavoro, la fatica del lavorare, ma forse anche quella fatica che consiste nel vivere e nel mestiere stesso di stare al mondo. In ogni caso su tale realtร รจ proiettata la luce disillusa che proviene dalla prima parte della pericope (1,2), la provocatoriaย ouvertureย del libro che proclama che tutto รจย hebel.ย Il termine, che ha come senso base quello diย soffio, รจ stato tradotto conย vanitร ,ย vuoto,ย fugacitร ,ย futilitร ,ย assurdo,ย sprecoย โฆ E tale giudizio radicalmente disincantato e disilluso viene proiettato sul lavoro sia perchรฉ il frutto del lavoro sarร ereditato da chi non ha faticato per nulla, sia perchรฉ il lavoro (e la vita stessa: โtutti i suoi giorniโ) รจ fatica fisica e psicologica che produce โdolori e fastidi penosiโ e spesso nemmeno la notte riesce ad apportare riposo.
Cโรจ qualcosa per cui valga la pena agire, lavorare, tribolare e, in definitiva, vivere? Una risposta sapiente la fornisce il poeta Fernando Pessoa nella poesiaย Mare portoghese: โNe valse la pena? Tutto vale la pena se lโanima non รจ piccinaโ. Per Qohelet occorre lavorare e svolgere il mestiere di abitare il mondo perchรฉ questa รจ la sorte che Dio ha destinato allโuomo (3,10) e perchรฉ lโuomo puรฒ dare un senso al suo fare condividendo e donando. Se โil lavoro prende la direzione del donoโ (Jacques Ellul), lโuomo quantomeno รจ liberato dalla frustrante prospettiva di lasciare i frutti del proprio ingegno e della propria fatica a non si sa chi, magari una persona ottusa e stolta (2,18-21). Il testo suggerisce anche la possibile deriva disumanizzante del lavoro, rompendo con la retorica che lo vuole sempre votato alla nobilitazione dellโuomo.
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La frase โsono un uomo e tutto ciรฒ che รจ umano mi riguardaโ (homo sum: humani nihil a me alienum puto), divenuta emblema dellโatteggiamento umanistico, รจ tratta dalla commedia di Terenzio (II sec. a.C.)ย Il punitore di se stesso. Essa costituisce la risposta di Cremete a Menedemo che, infastidito dalle osservazioni fatte da quello al suo stile di vita, lo rimprovera di essere curioso: โHai tanto tempo da perdere, Cremete, che non pensi agli affari tuoi e ti occupi di quelli degli altri, che non ti riguardano affatto?โ. La frase รจ dunque un elogio della buona curiositร : dellaย curiositasย che รจย curaย e passione per lโumano fino a diventare empatia. Cremete infatti si preoccupa dei ritmi di lavoro esagerati fino alla disumanitร di Menedemo e lo interroga cercando di riportarlo al buon senso di ritmi piรน umani. Dopo lโiniziale resistenza, Menedemo gli confessa che quel superlavoro, quel lavoro folle, incessante, frenetico, era la punizione che egli stava infliggendo a se stesso per il suo comportamento eccessivamente rigido che aveva condotto suo figlio ad andarsene da casa.
Nel testo di Terenzio lโabnormitร del ritmo lavorativo รจ spiegata psicologicamente come punizione che un individuo si autoinfligge riducendosi a schiavo. Nella nostra contemporaneitร i ritmi di lavoro stressanti e alienanti sono legati, in particolare, a due delle forme con cui viene vissuto il tempo,ย lโaccelerazioneย eย la produttivitร . Queste dimensioni dominano il mondo del lavoro e rappresentano ormai una forma di totalitarismo schiavizzante non percepito come tale, ma scambiato per fenomeno naturale, quando invece รจ una costruzione sociale e rientra nel dominio che controlla la societร sotto le regole del capitalismo. ร totalitario ciรฒ che esercita una potente pressione sulla volontร e lโagire dei singoli; influenza e condiziona pesantemente la loro vita familiare, affettiva, sociale, invade lโanima e la psiche; รจ onnipervasivo e riguarda anche istituzioni e ogni aspetto della vita sociale; instilla un senso di impotenza e induce a ritenere che non ci sia niente da fare, che le cose non possano essere cambiate. Davvero, โtutto รจ vanoโ. Il totalitarismo del tempo accelerato e produttivo giunge a rendere colpevoli i suoi sudditi (cioรจ tutti noi): se siamo in ritardo, se non siamo abbastanza efficaci, se non rispondiamo agli standard richiesti dalla produzione ci sentiamo in colpa, ci affliggiamo perchรฉ non sappiamo gestire bene il tempo (falliamo lโโottimizzazioneโ dei tempi) e non siamo abbastanza performativi. Interiorizziamo lโaccelerazione come un dato necessario e ineluttabile e, se non ne siamo allโaltezza, ce ne facciamo una colpa.ย Vittime colpevolizzate!
Nel vangelo Gesรน, interpellato da un anonimo, rifiuta in modo secco di intervenire in una disputa tra fratelli per questioni di ereditร (Lc 12,13-14), quindi, in modo accorato (โBadate e guardatevi da ogni cupidigiaโ) mette in guardia contro la cupidigia (12,15). Gesรน, che ha appena esortato a non aver paura di chi puรฒ uccidere il corpo ma poi non puรฒ piรน fare nulla (12,4), ora si mostra molto preoccupato di un nemico la cui potenza รจ infinitamente piรน letale perchรฉ puรฒ impossessarsi dellโanima e sottrarre la vita ingannando lโuomo e conducendolo a vivere una parvenza di vita: โanche se uno รจ nellโabbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beniโ. Dal piano delle penose dispute famigliari sulla divisione di unโereditร , Gesรน risale alย cuore: egli mette in guardia tutti dallaย cupidigia, dalla brama di possedere.
La cupidigia proviene dal cuore (Mc 7,22) ed โรจ idolatriaโ (Col 3,5). E dalla materiale ereditร , Gesรน passa a denunciare quella cupidigia che impedisce di โereditare il Regno di Dioโ (Ef 5,5). Lโidolatria dร illusioni di vita, ma produce morte. Laย vitaย non consiste nei beni, dice Gesรน. E nasce per noi la domanda: In che cosa faccio consistere la mia vita? Da cosa la faccio dipendere? Che cosa la manda avanti ogni giorno? โMa che รจ mai la vostra vita?โ chiede Giacomo ai ricchi che dicono โOggi o domani andremo nella tal cittร e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagniโ, mentre non sanno e non possono sapere โche cosa sarร domaniโ (Gc 4,13-14). Questoย mettere le mani sul futuroย tentando di controllare il tempo e di gestirlo a piacimento, รจ ciรฒ che viene rimproverato anche al ricco insensato della parabola narrata in Lc 12,16-21.
La cecitร a cui la ricchezza dร origine รจ evidenziata nella figura del ricco โsenza intelligenzaโ (รกphron). Egli pensa di possedere anche ciรฒ che per definizione รจ indisponibile: il tempo, il futuro, la vita. E il binomio ricchezza โ stupiditร รจ espresso in modo tale che il โpienoโ della ricchezza cerca di camuffare il desolante โvuotoโ, la penosa carenza di intelligenza e di sapienza del ricco. Se lโaccumulo di ricchezze, cosรฌ come lโottenere posizioni sociali di prestigio, lโaver potere e considerazione, lโessere famosi, possono essere forme di esorcizzazione della morte, in realtร esse falliscono il proprio della vita che richiede lโassunzione della sua finitezza per poter cogliere lโoggi come grazia e vivere ogni attimo presente come il frammento che ci viene concesso e in cui possiamo vivere il tutto che dร senso al nostro vivere e che non lo satura di cose ma lo riempie di senso. Lo riempie accogliendolo nella sua limitatezza e mancanza come invito al desiderio, allโapertura, alla relazione, allโincontro, al dono. E cosรฌ libera lโuomo dalla soffocante prigionia del detestabileย egoย che lo conduce ad arricchire per sรฉ, in una triste solitudine.
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Per gentile concessione del Monastero di Bose
