Frutto dello Spirito
Prima di passare da questo mondo al Padre, Gesรน promette ai suoi discepoli il dono dello Spirito, del Paraclito, ovvero dellโavvocato difensore che proteggerร i discepoli stessi nella lotta che dovranno sostenere in un mondo ostile (Gv 14,15-21); questo Spirito guida la presenza cristiana nel mondo sulla via della mitezza e del rispetto degli โaltriโ, i non-credenti (1Pt 3,15-18) e accompagna la predicazione degli apostoli che dร vita a nuove comunitร cristiane (At 8,5-8.14-17).
Il brano degli Atti degli Apostoli mostra che la nascita della chiesa in Samaria procede dallโannuncio di Cristo (โFilippo annunciรฒ loro il Cristoโ: At 8,5) e dalla discesa dello Spirito (โPietro e Giovanni imposero loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito santoโ: At 8,17). Il rapporto di collaborazione e fiducia tra chiesa madre di Gerusalemme (cf. At 8,14) e la nascente comunitร in Samaria dice come la parola del vangelo e lo Spirito santo superano le barriere culturali, le divisioni religiose e gli odi atavici: tra Giudei e Samaritani, infatti, non intercorrevano rapporti (cf. Gv 4,9) a seguito di una storia antica che estendeva nel tempo i suoi strascichi di diffidenza e incomunicabilitร . I frutti della resurrezione si misurano anche nella capacitร di superare le rivalitร trovando unitร e comunione in Cristo.
La seconda lettura afferma che dallโevento pasquale sgorga la speranza come responsabilitร dei cristiani. Di essa i cristiani devono essere โsempre pronti a rispondere a chiunque ne chieda loro contoโ (1Pt 3,15). โSempreโ, dunque in ogni ambito e momento della vita; โa chiunqueโ, dunque non a qualcuno sรฌ e ad altri no, ma a tutti. Inoltre di essa i cristiani devono โrispondereโ, cioรจ divenire responsabili: รจ la testimonianza che solo loro possono dare al mondo. Chi chiede conto della speranza, ne chiede anche un racconto: nella storia i cristiani si collocano come narratori di speranza. Prima ancora che in rapporto agli uomini, la speranza รจ responsabilitร del cristiano in rapporto a Dio, รจ risposta a Colui che lโha chiamato alla fede e alla speranza: la โsperanza della vocazioneโ (Ef 1,18) รจ la speranza dischiusa dalla chiamata divina in Cristo Gesรน. La speranza cristiana come responsabilitร si situa pertanto tra chiamata di Dio e domanda degli uomini: รจ responsabilitร unica e duplice al tempo stesso, come il comando di amare Dio e il prossimo รจ duplice e unico al tempo stesso (cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28).
Il testo liturgico della prima lettera di Pietro รจ inserito in un contesto in cui lโautore afferma che il credente, se รจ fedele nel fare il bene, non puรฒ essere veramente colpito dal male: โChi potrร farvi del male se sarete ferventi nel bene?โ (1Pt 3,13). Anzi, Pietro dice che รจ una grazia soffrire ingiustamente facendo il bene. Perchรฉ? Perchรฉ proprio allora sappiamo di aver veramente qualcosa a che fare con Cristo che patรฌ โgiusto, per gli ingiustiโ (1Pt 3,18). Lโamore, quando รจ radicato nella coscienza del credente, gli dona libertร , forza e coraggio. La prossimitร del Risorto รจ interioritร del Signore nel cuore dellโuomo e questo รจ fonte di forza e di speranza. E diventa capacitร di amore per gli altri esseri umani. Cioรจ capacitร di adattare i linguaggi alle diverse persone per raggiungerle lร dove sono. Una focomelia dellโamore รจ quella di chi non adegua i linguaggi in modo creativo a ciascuno, ma pretende che siano gli altri a dover capire il suo linguaggio, che spesso diventa gergale, chiuso, incomprensibile. Lโamore รจ anche concreta fatica di aprirsi alle capacitร di ascolto e ricezione degli altri.
Chiedendo mitezza e rispetto nella relazione con gli altri (i non-credenti) Pietro chiede di aver fiducia in loro e di vincere il timore di chi si sente minacciato dalla diversitร . Questa fiducia si radica nella fede nella presenza interiore del Signore nel credente stesso. Questo รจ il vero nucleo di stabilitร , di forza, di serenitร , di pace, di una saldezza che non si esprime nella rigiditร delle forme, nella monoliticitร del linguaggio, nel rigore delle affermazioni, ma nella pluralitร dei linguaggi, nella duttilitร delle forme, nella dolcezza delle affermazioni, cioรจ in quellโatto di fiducia nellโuomo che รจ lโesatto corrispondente della fede in Dio vissuta da Gesรน Cristo. ร impressionante notare come spesso la fede in Dio sia giocata contro la fiducia nellโuomo fino a diventare sfiducia nellโuomo che dunque deve sempre essere corretto, rimproverato, a cui si deve dire cosa deve fare, senza lasciargli spazi di libertร .
ร impressionante perchรฉ questo significa fare ostacolo allo Spirito che sempre crea libertร e la orienta, la educa, la rende simile alla libertร di Cristo che non si oppose al malvagio, che non rispose al male maledicendo, ma benedicendo e perdonando, e a chi lo tradiva non lanciรฒ la scomunica, ma continuรฒ a chiamarlo amico. Questo agire รจ stato possibile a Gesรน solo grazie alla fede che lo animava, la sua fede in Dio che era tuttโuno con il suo amore per lโAbbร . In Gesรน fede e amore coincidono. La sua risposta al Padre e la sua parola allโuomo coincidono. Egli รจ parola di indicazione di via per lโuomo mentre รจ parola di rivelazione di Dio allโuomo. E in entrambi i casi unica รจ la fonte di tale parola e azione: lโamore. Un amore unico per Dio e per gli uomini. Un amore che consente di accettare di soffrire per amore.
Le parole di Gesรน presenti nel vangelo odierno sembrano abbozzare un dialogo ininterrotto fra il Risorto e il credente. Gesรน sa che il discepolo รจ colui che ama il Signore, cioรจ che lo vuole amare e che cerca di amarlo. E sa che questo amare e cercare di amare, รจ giร risposta al Dio che per primo ha amato gli uomini. Ed ecco che chi ama il Signore altro non fa che entrare nel dialogo con chi ha parlato per primo donando la sua parola: chi ama il Signore, osserva i comandamenti (cf. Gv 14,15), cioรจ risponde alla parola del Signore che, in estrema sintesi, chiede una sola cosa: amatevi come io vi ho amati. Lโosservanza dei comandamenti trova risposta nella preghiera con cui Gesรน entra in dialogo con il Padre affinchรฉ il Padre doni il suo Spirito ai discepoli.
Ovvero elargisca il dono che consente di proseguire nella storia il dialogo della preghiera tra il credente e il suo Signore. Il parlare dei credenti tra loro e con gli altri si deve accompagnare alla capacitร del credente di dialogare con il suo Signore, di pregare. Ma questo dialogo non รจ che dialogo e trasmissione di amore. Lo Spirito, che rimane con il discepolo attestando con la sua prossimitร lโamore del Padre e del Figlio, non รจ accolto da chi si chiude allโamore. E questo รจ possibile sia tra i discepoli che tra gli altri uomini, che anzi a volte, per sete di amore, si mostrano piรน aperti allโamore. E allโamore dei discepoli risponde la promessa del Signore che dice: โio non vi lascerรฒ orfani ma verrรฒ a voiโ (cf. Gv 14,18). E il dialogo prosegue con i discepoli che vedranno il Signore, che cioรจ vedranno non interrotta la sua presenza tra di loro. Anzi, il dialogo diviene interioritร del Signore ai discepoli e dei discepoli al Signore.
โAllora voi saprete che io sono in voi e voi in meโ (v. 20). Questo versetto rispecchia la formula di alleanza, di appartenenza reciproca fra il Signore e il suo popolo, ma con un accento di marcata intimitร e interioritร . ร la compresenza dellโuno nellโaltro propria dellโamore. E poichรฉ lโamore risponde allโamore con il fare la volontร dellโamato, al termine della pericope liturgica ritorna il tema dellโosservanza dei comandamenti, ma espresso in maniera rovesciata rispetto al versetto iniziale: โChi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi รจ colui che mi amaโ (Gv 14,21). E lโamore dei discepoli riceve come eco lโamore del Padre e del Risorto, in un dialogo che semplicemente non ha fine perchรฉ รจ ciรฒ che regge la vita del credente in relazione con il suo Signore.
Lo Spirito che Gesรน promette sarร nel discepolo (cf. Gv 14,17) diventando principio di vita interiore e interiorizzando in lui la presenza di Cristo. La sequenza di Pentecoste canta lo Spirito quale dulcis hospes animae. La dolcezza e la tenerezza che furono di Cristo, sono anche dello Spirito che nella tradizione รจ stato spesso evocato con immagini materne. Lo Spirito crea nel credente una sorgente di vita, anzi, fa di lui uno spazio di vita per gli altri rendendolo capace di dare vita. Cioรจ, di amare. Lo Spirito, promessa e dono del Risorto, รจ anche tenerezza materna. E se esso insegna a pregare, lo fa come una madre: โLo Spirito santo ci insegna a gridare โAbbร โ comportandosi come una madre che insegna al proprio figlio a chiamare โpapร โ e ripete tale nome con lui finchรฉ lo porta alla consuetudine di chiamare il papร anche nel sonnoโ (Diadoco di Fotica). Ma appunto, frutto dello Spirito nel credente รจ la vita interiore, perchรฉ anche lโamore non puรฒ sussistere senza radici interiori. E lโazione dello Spirito di Dio รจ lโazione materna-paterna che rende figlio il discepolo. Tanto che possiamo dire che quando Gesรน afferma: โio mi manifesterรฒ a luiโ, potremmo anche intendere: โio mi manifesterรฒ in luiโ. Ovvero, lโamore del credente potrร manifestare lโamore del Signore. Il credente diviene il testimone, creato dallo Spirito, dellโamore di Dio. Il discepolo narra il Signore con la sua povera vita, lo visibilizza nella sua povera persona, lo manifesta nella sua povera e al tempo stesso grande e inestimabile perchรฉ unica, vicenda umana. Questo il frutto dello Spirito santo.
A cura di: Luciano Manicardi
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Per gentile concessione del Monastero di Bose



