Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 12 Febbraio 2023

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La Legge nel cuore

In questa domenica la prima lettura (Sir 15,15-20) parla del comando come di unโ€™offerta di Dio allโ€™uomo, non come di unโ€™imposizione. Unโ€™offerta che sollecita la libertร  dellโ€™uomo mentre gli rivela una sua potenzialitร : โ€œSe tu vuoi, puoi osservare i comandamentiโ€ (Sir 15,15). Nel testo evangelico (Mt 5,17-37) lโ€™approfondimento e la radicalizzazione del senso dei comandi operati da Gesรน รจ anche approfondimento e radicalizzazione della libertร  umana che trova nel cuore la sua sede invisibile e nelle relazioni con gli altri il luogo del suo manifestarsi come responsabilitร  liberante. Possiamo cosรฌ cogliere lโ€™ampio brano del discorso della montagna presentato dal testo liturgico del vangelo come invito alla conversione del cuore. E le esigenze poste da Gesรน le possiamo vedere come elementi dellโ€™apprendimento ad amare, essendo lโ€™amore la pienezza e il compimento della Torah: Mt 22,37-40; Rm 13,8-10.

E poichรฉ giร  la Torah tende al cambiamento del cuore dellโ€™uomo, ecco che in bocca a Gesรน il decalogo diviene sรฌ radicalizzazione, ma in particolare diviene denuncia dellโ€™ipocrisia: lโ€™ipocrisia di chi non si macchia di omicidio ma uccide quotidianamente il fratello con la collera violenta, con la parola che veicola disprezzo e che annienta lโ€™altro (Mt 5,21-22); lโ€™ipocrisia di chi fa della liturgia il velo che nasconde i propri odi e le proprie antipatie verso gli altri; lโ€™ipocrisia di chi si mostra indifferente al fatto che altri possano avere qualcosa contro di lui (Mt 5,23-24). E va notato che Gesรน non dice se รจ a torto o a ragione che qualcun altro ha qualcosa contro colui che sta presentando lโ€™offerta allโ€™altare: dietro al torto (sempre degli altri) e alla ragione (sempre propria) si nascondono normalmente gli ipocriti che non hanno il coraggio di riconoscere i propri errori e i propri orrori. Lโ€™ipocrisia, ancora, di chi non consuma materialmente un adulterio ma ne commette tanti nel proprio cuore (Mt 5,27-28). Con il riferimento al desiderio (Mt 5,28) giungiamo al compimento della Torah: quando la Torah รจ nel cuore dellโ€™uomo, quando abita il suo desiderio, lรฌ cโ€™รจ il compimento della Legge. I riferimenti allโ€™occhio, alla mano e poi alla bocca, presenti nelle parole di Gesรน, trovano la loro radice nel riferimento al cuore, al desiderio.

Ecco dunque la strada che queste parole di Gesรน intendono far percorrere al credente: la strada che conduce alla pienezza dellโ€™amore. Ha scritto Erasmo da Rotterdam: โ€œChiunque ama il prossimo con sincera e cristiana caritร , questi possiede lโ€™essenza dellโ€™intera legge mosaica; se manca la caritร , non sono sufficienti le leggi, numerose quanto si vuole; se essa cโ€™รจ, non vi รจ ribollire interiormente? Cosa dice di me lo scoppio dโ€™ira?โ€ Una momentanea presa di distanza da sรฉ, uno sguardo su di sรฉ, una domanda rivolta a se stessi, possono condurci a elaborare la collera esprimendola con parole che restano aperte e con gesti che non feriscono ma esprimono la nostra sofferenza. E cosรฌ possiamo, anche in una situazione critica che puรฒ avere esiti drammatici, ritrovare la giustizia, ovvero una relazione sana con gli altri e con Dio. Anche lโ€™atto cultuale, il momento in cui facciamo memoria del primato di Dio sulle nostre vite, รจ autentico e giusto se รจ anche memoria dellโ€™altro, della sua sofferenza e di ciรฒ che egli nutre contro di noi (Mt 5,23).

Altrimenti il far memoria di Dio si accompagnerebbe al dimenticarci dei fratelli, del male che abbiamo fatto loro, e diverrebbe complice dellโ€™ingiustizia. Anche qui occorre una sospensione: lโ€™atto rituale non viene abolito, ma sospeso, perchรฉ anchโ€™esso obbedisce a una prioritร : โ€œprima, riconciliati con il tuo fratello, solo dopo vieni e presenta la tua offertaโ€ (Mt 5,24). La sospensione implica un lavoro interiore di memoria dellโ€™altro: Gesรน sta dicendo che lโ€™atto liturgico non puรฒ essere separato dalla vita, perchรฉ, in veritร , il culto autentico รจ quello che avviene nelle relazioni. Anche lโ€™atto cultuale deve rispondere al criterio di giustizia sovrabbondante posto da Gesรน (Mt 5,20). Ne va della veritร  di ciรฒ che si celebra. E ancora: che fare con lโ€™avversario (Mt 5,25)? Anzitutto chi รจ lโ€™avversario? Lโ€™avversario รจ colui che fa strada con noi, vive con noi, รจ il nostro prossimo. Lโ€™avversario รจ figura che possiamo diventare noi per i nostri fratelli e che puรฒ diventare il fratello nei nostri confronti. In sostanza Gesรน dice: โ€œCerca di ricostruire una buona intesa con lui prima che sia troppo tardi, prima che la relazione sia compromessa per sempre e non venga piรน recuperataโ€. Anche qui cโ€™รจ una prioritร , unโ€™urgenza: โ€œprestoโ€, senza attendere, senza dilazioni, โ€œmettiti dโ€™accordo con il tuo avversarioโ€, dice Gesรน (Mt 5,25). Anche i sentimenti di astio o di disagio verso lโ€™avversario vanno messi tra parentesi, vanno sospesi, per prendere lโ€™iniziativa e ritrovare il fratello nellโ€™avversario.

Essendo queste parole di Gesรน una pedagogia del cuore, si comprende che un ampio spazio sia occupato dalla parola: infatti โ€œla bocca parla dalla sovrabbondanza del cuoreโ€ (Mt 12,33). La parola รจ in gioco nellโ€™uccidere (Mt 5,22) come nel giurare (Mt 5,33-36), ed รจ necessaria per riconciliarsi con il fratello come per mettersi dโ€™accordo con lโ€™avversario. Ecco dunque che la parola della Torah parlata da Gesรน (โ€œma io vi dicoโ€) diviene magistero per il quotidiano parlare dellโ€™uomo. Il taglio liturgico fa terminare il nostro brano sulla frase: โ€œIl vostro parlare sia โ€˜sรฌ, sรฌโ€™, โ€˜no, noโ€™; il di piรน viene dal Malignoโ€ (Mt 5,37). Affermazione che conclude il discorso di Gesรน sul giuramento. Giurare significa porre unโ€™affermazione sotto la garanzia della potenza divina e della sua veridicitร .

Tommaso dโ€™Aquino spiega: โ€œprendere Dio come testimone si dice giurare: poichรฉ a norma di diritto, o giure, si รจ stabilito che quanto viene affermato con la testimonianza di Dio sia ritenuto come veroโ€ (Summa Th. II-II,89). Nel giuramento lโ€™appello a Dio (giurare in nome di Dio), che รจ veritiero, supporta quanto lโ€™uomo, capacissimo di mentire, afferma sia un riferimento al passato (il giuramento assertorio), sia in riferimento al futuro (il giuramento promissorio). In questo senso ha ragione Bonhoeffer quando scrive che โ€œil giuramento รจ la dimostrazione della menzogna nel mondo. Se lโ€™uomo non potesse mentire, non ci sarebbe bisogno di giuramentoโ€. La questione del giuramento sta particolarmente a cuore al primo evangelista che parla di diverse forme di giuramento non solo in questo passo, ma anche in Mt 23,16-22. Lร  Gesรน critica lโ€™ipocrisia che invade lo spazio del giuramento: โ€œGuai a voi, guide cieche, che dite: โ€˜Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per lโ€™oro del tempio, resta obbligatoโ€™. Stolti e ciechi! Che cosa รจ piรน grande: lโ€™oro o il tempio che rende sacro lโ€™oro? E dite ancora: โ€˜Se uno giura per lโ€™altare, non conta nulla; se invece uno giura per lโ€™offerta che vi sta sopra, resta obbligatoโ€™.

Ciechi! Che cosa รจ piรน grande: lโ€™offerta o lโ€™altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per lโ€™altare, giura per lโ€™altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi รจ assisoโ€. Anche nel nostro passo si ricordano varie formule di giuramento (per il cielo, per la terra, per Gerusalemme, per la propria testa) che tutte rinviano a Dio come signore di tutte queste realtร . Dio รจ il creatore del cielo e della terra, Lui ha scelto Gerusalemme come dimora della sua presenza, e Lui รจ signore di ogni vita. Gesรน non si limita a interdire lo spergiuro (come giร  faceva lโ€™AT: โ€œNon giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signoreโ€, Lv 19,12), ma proibisce il giuramento tout court.

Lโ€™invito รจ allโ€™integritร  della persona che si manifesta nellโ€™avere una parola unica e veritiera. Gesรน vuole che il credente sia responsabile delle parole che dice. Gesรน opera una desacralizzazione e chiede allโ€™uomo una laica adesione alla parola pronunciata senza chiamare in causa Dio, rischiando di profanare il nome di Dio. Diceva giร  Sir 23,9: โ€œNon abituare la bocca al giuramento, non abituarti a proferire il nome del Santoโ€. Per Gesรน si deve pervenire a non giurare: il parlare dellโ€™uomo devโ€™essere talmente vero da non aver bisogno di giuramenti. Ogni parola deve rispondere di se stessa, senza far entrare in gioco Dio. Giurare equivarrebbe a far ricorso a un duplice livello di veritร  e a usare Dio come tappabuchi della propria incapacitร  di garantire la veritร .

Ecco allora la parola radicale di Gesรน: โ€œNon giurate affattoโ€ (Mt 5,34). Parola che troviamo in un altro passo neotestamentario molto simile: โ€œNon giurate nรฉ per il cielo, nรฉ per la terra, e non fate alcun altro giuramento. Ma il vostro โ€˜sรฌโ€™ sia sรฌ, e il vostro โ€˜noโ€™ sia no, per non incorrere nella condannaโ€ (Gc 5,12). Scrive Bonhoeffer commentando le parole di Gesรน โ€œsia il vostro parlare โ€˜sรฌ, sรฌโ€™, โ€˜no, noโ€™: โ€œCon ciรฒ la parola del discepolo non viene certo sottratta alla responsabilitร  di fronte a Dio onnisciente. Anzi, proprio perchรฉ non viene invocato espressamente il nome di Dio, ogni parola del discepolo si trova a essere pronunciata al cospetto di Dio. Dato che non cโ€™รจ parola che non venga pronunciata davanti a Dio, il discepolo non deve giurareโ€

A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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