Lโopera della fede
Con la pagina evangelica odierna il Lezionario dellโannata B ci fa entrare in quel discorso sul pane di vita, contenuto nel capitolo sesto del IV vangelo, che ci accompagnerร ancora per alcune domeniche. Il testo inizia parlando di una ricerca ansiosa da parte delle folle nei confronti di Gesรน. Unite ai precedenti vv. 22-23, le annotazioni di Gv 6,24-25 mostrano lโaffanno delle folle che tentano di capire dove sia Gesรน ricostruendo dove, come e quando possa essersi spostato. Importante รจ lโannotazione di Gv 6,23 che menziona il luogo dove le folle โavevano mangiato il paneโ. Lโannotazione del narratore indica ciรฒ che รจ rimasto impresso nel cuore e nella mente, nella memoria delle folle. Ciรฒ che ricordano di quanto avvenuto: โhanno mangiato il paneโ. Questo dato interiorizzato muoverร la loro ricerca. Il carattere un poโ confuso di questa descrizione โ che ci fa entrare nellโansia delle folle che vedono solo una barca e che Gesรน non era salito con i discepoli sulla barca (Gv 6,22), che poi vedono altre barche giunte da Tiberiade (Gv 6,23), e che infine si rendono conto che Gesรน โnon era piรน lร โ (Gv 6,24) sicchรฉ esse salgono a loro volta su barche e si dirigono a Cafarnao โ mostra una ricerca abitata da angoscia, piรน frenetica che lucida. E, quando trovano Gesรน, chiedendogli โQuando sei venuto qua?โ (Gv 6,25), sembrano interessate piรน alla concreta modalitร dei suoi spostamenti e a come abbia potuto sfuggire al loro controllo che non ad altro.
Nel lettore sorge la domanda: โChe cosa cercano cercando Gesรน?โ. E, in effetti, le parole di Gesรน mettono in questione la loro ricerca. E ne svelano il motivo recondito: โVoi mi cercate non perchรฉ avete visto dei segni, ma perchรฉ avete mangiato di quei pani e vi siete saziatiโ (Gv 6,26). Vi รจ dunque una ricerca di Gesรน le cui motivazioni sono discutibili, anzi, sono apertamente criticate da Gesรน stesso. Una ricerca che fa di Gesรน colui che soddisfa un bisogno, che colma un vuoto, che sazia una mancanza, e che dunque rinchiude lโuomo nelle proprie necessitร senza aprirlo al desiderio. Questa ricerca รจ centrata sul bisogno dellโuomo, non sulla gratuitร di Dio, e il suo orizzonte resta quello del presente, senza aprirsi alla novitร e al futuro di Dio. Questa ricerca resta nella logica della pretesa, e si amputa la dimensione della speranza. Il passaggio che Gesรน chiede di fare, dicendo โOperateโ, โDatevi da fareโ, โMettetevi allโopera per il cibo che non perisce, ma che dura per la vita eterna e che il Figlio dellโuomo vi darร โ (Gv 6,27), รจ passaggio dalla logica del bisogno a quella del desiderio.
E il desiderio รจ per sua definizione inesauribile, essendo il senso che lo seduce e lo attrae. La ricerca del Signore รจ chiamata a diventare desiderio di Dio. Il desiderio รจ costitutivamente segnato da una non pienezza, e si interessa al Donatore piรน che ai doni. Il desiderio cerca la relazione e si apre alla libertร dellโaltro. Quando Gesรน rimprovera le folle dicendo che esse lo cercano non perchรฉ hanno visto dei segni ma hanno saziato il loro appetito, dice appunto che esse non hanno saputo passare dal dono del pane al Donatore, non hanno colto simbolicamente la realtร , non hanno riconosciuto in Gesรน colui che narra e testimonia la presenza del Dio che โdร il pane a ogni carneโ (Sal 136,25). Non hanno fatto il salto della fede e sono rimasti ancorati alla materialitร del dono e dunque alla schiavitรน del bisogno.
Richiesti di operare per il cibo che non perisce, gli interlocutori di Gesรน gli chiedono che cosa debbano fare per compiere โle opere di Dioโ (cf. Gv 6,28). Appunto: che fare per operare per il cibo che rimane? Che fare per compiere ciรฒ che piace a Dio? Rispondendo, Gesรน non rinvia a โopere buoneโ, non chiede di compiere le opere del digiuno, dellโelemosina e della preghiera. La risposta di Gesรน spiazza la domanda attuando il passaggio dalle molte opere allโunica opera, e addirittura identificando lโunica opera con la fede: lโopera รจ la fede! La diatriba tra fede e opere รจ superata da Giovanni con lโaffermazione che la fede รจ lโopera essenziale e necessaria. Lโopera che dร senso, orientamento e sacramentalitร alle opere. Lโopera di Dio, cioรจ che consente a Dio di operare nellโuomo, รจ la fede, โcredere in colui che egli ha mandatoโ (Gv 6,29).
Ovvero, in quel Figlio dellโuomo su cui si รจ posato lo Spirito santo (Gv 1,33), che dice le parole di Dio e dona lo Spirito senza misura (Gv 3,34) e proprio cosรฌ nutre la fame profonda dellโuomo. La risposta di Gesรน spiazza anche le dicotomie e le sterili contrapposizioni che spesso affliggono i cristiani: tra fede e opere, tra dimensione verticale e dimensione orizzontale, tra contemplazione e azione, tra servizio e preghiera. In veritร la fede รจ lโunica cosa necessaria. Il problema non si situa dunque sul piano del โche fare?โ, ma del โchi sono?โ: il cristiano รจ anzitutto un credente. Uno che fa della fede la propria responsabilitร , il proprio lavoro, la propria fatica, la propria lotta. In una parola: la propria opera quotidiana. Credere รจ un lavoro. E la fede รจ lasciare che Dio operi nellโuomo.
In quellโโoperare per il donoโ vi รจ anche lโequilibrio tra sforzo e grazia, tra tensione umana e dono divino: si tratta di disporre tutto se stessi per essere pronti a ricevere il dono di Dio, aperti alla sua azione. La fede apre a questa feconda sinergia.
Ma la risposta di Gesรน non viene recepita e compresa in profonditร dai suoi interlocutori che gli chiedono di nuovo un segno che legittimi la sua autoritร e li abiliti a โvedere e credereโ (cf. Gv 6,30). E per dare fondamento e forza alla loro richiesta, le folle citano lโepisodio avvenuto durante lโesodo dei figli dโIsraele dallโEgitto, quando il dono della manna legittimรฒ lโautoritร di Mosรจ (Es 16,4.15; Sal 78,24). La rinnovata richiesta di segni รจ in realtร richiesta di prodigi, di miracoli: siamo ancora nellโottica aborrita da Gesรน per cui chi ha visto i suoi segni vuole farlo re (Gv 6,14-15). Siamo nellโottica del mercimonio: โdacci pane, saziaci e noi ti crederemoโ. Ci si situa sul piano dello scambio dei favori. Una logica interna alle dinamiche del potere. In realtร , alla logica del โvedere per credereโ delle folle, Gesรน oppone di fatto il โcredere per vedereโ. Non dirร forse Gesรน a Marta: โNon ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?โ (Gv 11,40). Mentre Tommaso formulerร questa sorta di sconfessione di fede: โSe non vedo, โฆ io non credoโ (Gv 20,25). E Gesรน proclamerร la beatitudine di chi crede senza avere visto: โBeati quelli che non hanno visto e hanno credutoโ (Gv 20,29). La fede apre gli occhi e consente di risalire dal segno al suo significato profondo, dal dono al Donatore, dalla realtร materiale alla sua dimensione simbolica, dal pane materiale al โpane della vitaโ (Gv 6,35), il โpane veroโ (Gv 6,32), il โpane di Dioโ (Gv 6,33), il pane che non รจ frutto della terra, ma โche discende dal cieloโ (Gv 6,33).
Ora, alla citazione scritturistica presentata dai suoi interlocutori (Gv 6,31), Gesรน risponde cosรฌ: โNon รจ Mosรจ che vi ha dato il pane dal cielo, ma รจ il Padre mio che vi dร il pane del cielo, quello veroโ (Gv 6,32). Gesรน ribatte operando un passaggio: non Mosรจ, ma Dio, anzi, โil Padre mioโ (Gv 6,33); non โdiedeโ, ma โdร โ: il passaggio รจ dal passato allโoggi, allโattualitร del dono. E soprattutto, il punto culminante del passaggio, che diviene anche indicazione del compimento della liberazione dellโesodo e della storia di salvezza, รจ la rivelazione che questo pane รจ il Cristo stesso: โIo sono il pane della vitaโ. La pericope evangelica di questa domenica si arresta su questa autorivelazione: โIo sono il pane della vita; chi viene a me non avrร fame e chi crede in me non avrร sete, maiโ (Gv 6,35).
Ora, il Cristo nutre il credente anzitutto essendo Lรณgos, rivelazione di Dio, Sapienza, Parola. Come giร la manna nellโAntico Testamento era pedagogia divina affinchรฉ i figli dโIsraele capissero che โlโuomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca di Dioโ (Dt 8,3), cosรฌ ora, Gesรน, quale pane di Dio, รจ cibo celeste, parola che dร vita, rivelazione di Dio. In Gesรน pane di vita che dona vita al mondo si condensano le figure della Legge, della sapienza, della rivelazione, della parola di Dio che lโAntico Testamento presenta come capaci di nutrire spiritualmente lโuomo. Il capitolo sesto di Giovanni mostra Gesรน quale pane di vita nel duplice senso di parola di Dio e di cibo e bevanda eucaristici (questo, soprattutto nella sezione eucaristica di tale discorso: vv. 51c-58). Anche la parola di Dio รจ nutrimento. Mangiare la parola (della Legge: Sal 119,103; profetica: Ger 15,16; Ez 2,8-3,3; sapienziale: Pr 9,1-6; 24,13-14; Sir 24,19-21) รจ accogliere il dono di Dio, assimilare la sua volontร , entrare nella sua vita lasciando che la sua vita entri in noi e ci trasformi. Occorre qui pensare alla tradizione patristica, ripresa dal Concilio Vaticano II, della duplice mensa della Parola e dellโEucaristia. Ha scritto san Gerolamo: โPoichรฉ la carne del Signore รจ vero cibo e il suo sangue vera bevanda, secondo il senso anagogico, questo รจ lโunico bene nel mondo presente: cibarci della sua carne e del suo sangue non solo nel mistero dellโaltare, ma anche nella lettura delle Scritture. Pane di Cristo e sua carne sono la Parola di Dio e lโinsegnamento celesteโ (Comm. in Eccles. III,13).
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del: Monastero di Bose



