Ci capita a volte di non guardare di buon occhio chi non fa come noi. Oppure semplicemente di volere che gli altri la pensino come noi. Il dissenso ci provoca come la mancanza di una ricompensa, di un ritorno, di un riconoscimento di ciรฒ che siamo.
Nel dissenso non ci sentiamo riconosciuti, qualche volta addirittura ci sentiamo non rispettati e ci indigniamo. E allora denigriamo chi dissente, come a volerlo rendere insignificante, per rendere insignificanti anche quei pensieri che non ci portano alla dovuta riconoscenza.
Ma abbiamo soltanto paura. Tutti vogliamo sentirci riconosciuti, vogliamo esistere per gli altri, valere ai loro occhi. E allora goffamente cerchiamo di costruirci da soli un personaggio o un ruolo (o anche piรน di uno) che riteniamo di valore. Un modello ideale, valido, degno, magari anche superiore agli altri.
E poi ci identifichiamo con quello: definiamo la nostra identitร con le caratteristiche di quel personaggio. Ecco allora che quando qualcunโaltro smonta quel modello, quando non lo considera valido, ci sentiamo minacciati. Minacciati di non essere piรน riconosciuti.
Ma noi non siamo quei personaggi, precisi, coerenti. Possono muoversi tante forze in noi, tante voci contrastanti. Siamo un complesso di parti che vogliono essere ascoltate e guidate. E il criterio per guidarle รจ quello di lasciar cadere i nostri modelli ideali (che ci fanno indignare quando gli altri non li rispettano e ci fanno venire i sensi di colpa e la rabbia quando noi non riusciamo ad esserne allโaltezza).
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Il criterio non รจ il lasciarci guidare da ciรฒ che abbiamo determinato noi, ma avere le orecchie del cuore ben aperte, per ascoltare il โmaestro interioreโ. Per imparare a riconoscerlo attraverso le opere che compie e saper discernere per scegliere. A questo siamo chiamati.
Ettore Di Micco

Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato
