Don Lucio D’Abbraccio
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Impieghiamo bene i nostri talenti
La seconda parabola del capitolo 25 del Vangelo di Matteo ci parla di un uomo che, partendo per un viaggio, consegna ยซi suoi beniยป, cioรจ un capitale enorme e di incalcolabile valore ai suoi servi โ il talento, allโepoca di Gesรน, equivaleva ai milioni di euro di oggi -, affinchรฉ durante la sua assenza lo custodiscano e lo facciano fruttare: ยซa uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacitร di ciascuno; poi partรฌยป. Egli รจ figura di Dio il quale, attraverso suo Figlio Gesรน Cristo, mette fiducia nellโuomo e trova gioia nellโoffrire gratuitamente a ciascuno di noi i suoi doni (cf Mt 10,8); e fa questo in modo personalizzato, tenendo conto di ciรฒ che noi siamo in grado di accogliere. Il punto consiste precisamente nel riconoscere e accogliere con gratitudine i doni personali ricevuti da Dio, senza fare paragoni con quelli altrui, ma impegnandosi a rispondere di essi con tutta la propria vita: nessun altro puรฒ farlo per me!
I primi due servi impiegano i talenti ricevuti โ non viene detto come โ e ne guadagnano altrettanti; il terzo invece scava una buca nel terreno e vi nasconde il suo unico talento, o meglio quello che egli ancora considera come ยซdenaro del suo padroneยป. ยซDopo molto tempoยป ecco che il padrone ritorna e chiama separatamente i servi per chiedere loro conto dellโuso dei talenti. Saputo del frutto ottenuto dai primi due, li loda nello stesso modo: ยซBene, servo buono e fedele โ gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darรฒ potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padroneยป. Parole brevi ma estremamente significative, soprattutto alla luce della ricompensa promessa: entrare nella gioia del Signore significa infatti prendere parte al banchetto del Regno (cf Mt 8,11).
Lโattenzione di Matteo, perรฒ, si concentra sul dialogo che intercorre tra il padrone e il terzo servo. Questโultimo comincia con il giustificarsi: ยซSignore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparsoยป. Perchรฉ dice che รจ duro? Il problema รจ perchรฉ questo servo si รจ costruito unโimmagine perversa del suo padrone, come anche noi facciamo spesso con Dio. E sono le sue stesse parole a giudicarlo (cf Lc 19,22), a rivelare ciรฒ che abita il suo cuore (cf Mt 12,34): ยซHo avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciรฒ che รจ tuoยป. Paura di Dio โ una storia che incomincia con Adamo (cf Gen 3,10) -; paura di esporsi al rischio di mettere a frutto ciรฒ che si รจ ricevuto; paura di accogliere il dono come tale, come qualcosa che abbatte la logica del mio/tuo: tutto questo, non la durezza del padrone, ha paralizzato il servo, lo ha reso ยซmalvagio e pigroยป.
Infine, dopo aver ripreso le parole usate dal servo nei suoi confronti, il signore gli rivela qual era il suo vero desiderio: che lโaltro si desse da fare, che impiegasse fattivamente il talento ricevuto e, cosรฌ facendo, guadagnasse e salvasse la sua vita (cf Lc 21,19).
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Sรฌ, chi non impiega i propri doni finisce inevitabilmente per perderli e per sprecare la vita; questo รจ il senso del commento di Gesรน: ยซa chiunque ha, verrร dato e sarร nellโabbondanza; ma a chi non ha, verrร tolto anche quello che haยป. ร invece vigilante chi, con gratitudine, cerca di fare il miglior uso possibile del ยซpocoยป di cui dispone; e qualunque sia tale uso ce lo chiarirร Gesรน stesso nella pagina del giudizio universale (cf Mt 25, 31-46).
Ebbene, in quale categoria di servi desideriamo essere per la venuta del Signore: ยซbuoni e fedeliยป o ยซpigri e malvagiยป? Lโapostolo Paolo ripete a noi ciรฒ che scriveva ai cristiani di Tessalonica: ยซsiete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, nรฉ alle tenebre.ย Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobriยป (II Lettura).

