Il pentimento รจ lo snodo per seguire Gesรน
Anche questa domenica incontriamo nel vangelo una vigna da coltivare, metafora del popolo di Israele, trascurato dai farisei. A questi ultimi Gesรน dice: ยซPubblicani e prostitute vi passano avanti nel regno di Dioยป (Mt 21,31).
ร subito doveroso demistificare lโinterpretazione che queste due categorie siano migliori dei farisei.
Nella nostra epoca รจ sorta una certa esegesi โdi stradaโ al riguardo, che esalta la prostituta in quanto abitante della strada, luogo condiviso come residenza di poveri e reietti. Questa situazione di vita verrebbe vista come affine a quella di Gesรน, povero, reietto, che da viandante di strada, amico dei poveri, si troverebbe in una condizione analoga a pubblicani e prostitute.
Nulla di tutto ciรฒ! Questa melassa interpretativa, in salsa buonista dimentica o ignora il fatto che le prostitute e i pubblicani che avvicinavano e affiancavano Gesรน si erano convertiti alla buona novella da lui annunciata; avevano cambiato vita e, umilmente, non si vergognavano di mostrarsi del Maestro e accanto al Maestro, benchรฉ la loro vita di peccato fosse nota a tutti. Allo stesso modo, Gesรน gioiva nel mostrarsi con loro, perchรฉ da un male estremo erano passati al bene estremo.
Lโessere pubblicano o prostituta รจ stata infatti la malattia che ha permesso a Matteo e a Maria di Magdala, ormai disgustati dal loro peccato, di essere sanati da Cristo, perchรฉ ยซnon sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malatiยป (Mt 9,12). Allora, le nostre povertร possono essere esaltate solo se diventano la molla che ci permette di gridare: โSignore salvami!โ, e poter cominciare la meravigliosa avventura della relazione con Cristo. ร fondamentale disgustare e detestare senza compromessi le proprie povertร per poterne uscire.
Vediamo ora i due fratelli a cui il padre chiede di lavorare nella vigna. Il primo ribatte di non averne voglia, ma poi, pentitosi, ci va. Il secondo risponde subito di sรฌ, ma poi non lo fa. Il primo figlio, sul momento, cerca nella voglia (che non ha) il motore delle sue azioni; รจ invece il pentimento il motore che lo porta ad andare nella vigna. ร interessante vedere da dove attingiamo lโenergia necessaria per i nostri atti di obbedienza a Dio: la voglia รจ il senso dellโimpulso istintivo, del nostro rapporto con le cose e con le azioni che dobbiamo affrontare, ma gli atti dโamore autentici non si basano sulla voglia di farli. Una madre che deve allattare per lโennesima notte insonne non ne ha alcuna voglia, ma lo fa, perchรฉ il figlio รจ da accudire. Quello รจ amore: non esistono remunerazione, voglia, gradimento, non sono queste cose il punto di partenza di un atto dโamore.
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Il secondo figlio dice โsรฌ signoreโ, ha quindi la volontร , ma non la tenacia.
Allora qual รจ la forza per fare le cose, per obbedire a Dio e lavorare nella sua vigna? Per il primo figlio รจ il pentimento: ha un dolore, si risveglia in lui lโamore per il padre e con questo la chiamata ad assolvere i compiti affidatigli. Cโรจ un impulso di risposta allโamore di Dio, il pentimento, la conversione โ metร noia in greco โ che รจ il cambiamento del proprio centro logico.
ร il pentimento, il non sentirsi a posto, che ha mosso pubblicani e prostitute, verso lโamore gratuito di Gesรน. Per fare la volontร di Dio bisogna ricordarsi del proprio sottofondo di pubblicano e di prostituta; del proprio sottofondo di debolezza e di insufficienza.
ยซร quando sono debole che sono forteยป (2 Cor 12,10).
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli
