La misericordia di Dio e la misericordia per i fratelli
La parabola di oggi รจ esclusivamente matteana, e se il nostro evangelista, come si ritiene, era un giudeo-cristiano che voleva rimanere strettamente legato alle proprie origini ebraiche, le parole di Gesรน acquistano un significato veramente particolare per la paradossalitร e la sproporzione della misericordia che lรฌ viene insegnata. Si badi bene, il giudaismo non รจ mai stato quella realtร โlegalisticaโ, in senso dispregiativo, come spesso viene raffigurata, destinata per questo a finire e ad essere sostituita dalla Chiesa dei cristiani. Quando Gesรน rimproverava i farisei e i dottori per il loro rispetto esclusivamente formale della Legge, lo faceva come noi oggi ci esortiamo vicendevolmente a vivere il vangelo.
Perรฒ รจ vero che Gesรน ha sottolineato, piรน che altri nella sua tradizione, e come mai era stato fatto prima, lโaspetto del perdono da parte di Dio e il perdono reciproco. Anche se, come detto, nella tradizione giudaica รจ costante lโinsegnamento sul perdono (si veda, ad es., un testo del II sec. a.C., il Testamento di Gad, VI,3, dove si dice: โAmatevi gli uni gli altri di cuore, e se uno pecca contro di te, parlagli di pace, senza nascondere inganno dentro di te; se poi si pente e confessa, perdonagliโ), รจ anche vero che nel Talmud i rabbini stabiliscono che per lo stesso peccato, si deve perdonare un numero limitato di volte, come a dire, โla pazienza ha un limiteโ.
La nostra parabola deve aver colpito Matteo, tanto che questi la colloca in modo abbastanza affrettato, appena puรฒ, potremmo dire, subito dopo una provocatoria domanda di Pietro. Ma, come possiamo subito vedere, la parabola forse non apparteneva a questo contesto narrativo, perchรฉ in realtร Gesรน non risponde alla questione posta dal primo degli apostoli. Pietro parla di quante volte, Gesรน invece dice quanto รจ grande la misericordia di Dio.
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Alcuni dettagli sono importanti per la comprensione del racconto. La figura del re che chiama i suoi sudditi a fare i conti รจ molto comune al tempo di Gesรน, e viene usata decine di volte nel Talmud, nellโinsegnamento rabbinico: lรฌ, il re rappresenta quasi sempre Dio. La somma che il debitore deve al re (10.000 talenti) รจ il dato piรน esagerato del racconto: si pensi che, secondo lo storico Giuseppe Flavio, lโammontare annuo dei tributi che le regioni della Galilea e della Perea potevano prelevare dai loro cittadini, al tempo di Erode il Grande, non superava i duecento talenti; le tasse della Giudea, della Samaria e dellโIdumea erano di seicento talenti. Insomma, il debito di quel poverโuomo ammonta ad una somma che non era nemmeno in circolazione nellโintera Palestina! Infine, lโallusione allโimprigionamento del debitore e alle torture che deve subire rispecchia un contesto greco-ellenistico sotto lโimpero romano, piuttosto che ebraico, in quanto la tortura รจ proibita dalla legge giudaica. In conclusione, abbiamo molte iperboli, esagerazioni, tese a veicolare il messaggio del racconto.
Il primo messaggio della parabola รจ chiaro, e viene riassunto da Gesรน al v. 35: come siamo stati perdonati, cosรฌ come a noi รจ stato condonato un debito, cosรฌ i discepoli di Gesรน devono fare agli altri: รจ la formula del Pater sul perdono che troviamo ancora nel vangelo di Matteo. Ma unโaltro significato รจ dato da un aspetto opposto a quello che normalmente subito notiamo nel racconto, e che abbiamo evidenziato appena sopra. Piรน che un di un debito, infatti, qui dovremmo parlare di un credito, di un dono. Infatti: seguendo la logica della narrazione, come ha potuto quel servo accumulare cosรฌ tanti soldi? Dove li ha presi? Chi glieli ha dati? Forse si sta dicendo che un debito tanto grande altro non รจ altro che quanto il servo ha ricevuto dallo stesso padrone. Si parla qui infatti di talenti. Matteo รจ il vangelo che piรน di altri parla di monete e denari (indice forse del fatto che รจ stato composto in un background di una cittร commerciale come Antiochia), ma รจ soprattutto il vangelo che racconta la parabola dei talenti (Mt 25): questi, perรฒ, lรฌ non sono tanto i soldi, o i debiti, quanto, piuttosto, il patrimonio da investire ricevuto dal padrone che sta per partire. Forse Gesรน sta dicendo che tutti (i servi) veniamo al mondo con un enorme debito nei confronti di chi ci ha creati (il re); che la nostra vita ha un enorme valore, e che a tutti รจ stata data una quantitร infinita di beni e doni; che, se riconosciamo il nostro essere debitori, allora non possiamo che tentare di restituire a Dio e al prossimo, con gesti di amore, quanto di bene abbiamo ricevuto.
- Fonte del commento – il sito “La Parte Buona”
- Commento a cura di p. Giulio Michelini
