p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 3 Luglio 2019 – Gv 20, 24-29

I discepoli dicono a Tommaso che era assente dal cenacolo, quanto era avvenuto. Gli dicevano: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma Lui non crede. Ma perchè non crede? In fondo la sua richiesta è legittima: il segno che Lui è vivo lo devo vedere su di Lui. Sono i segni della passione che mi dicono che è veramente Lui. Quanto Tommaso dice, a me pare una cosa buona. Forse essere un san Tommaso, essere come san Tommaso, è un atto di curiosità salutare che ci spinge oltre le apparenze.

Il primo ostacolo che Tommaso si trova a dovere superare è la poca credibilità del corpo degli Apostoli. Se ne stanno rinchiusi nel cenacolo per paura dei giudei e chissà che cosa si vanno ad inventare. Il primo problema non è credere al Signore ma credere a questi paurosi che si spacciano per testimoni. Chissà cosa ci inventeremmo, chissà cosa ci inventiamo noi a partire dalle nostre paure. Diventiamo inaffidabili e alziamo il tiro per potere essere ascoltati e creduti. Tommaso non c’era, era l’unico che aveva il coraggio di uscire? Era stato mandato in avanscoperta dai discepoli stessi? Non lo sappiamo ma quanto sappiamo ci dice senz’altro che non era un credulone, uno facile ad accogliere fantasie, bravo invece a smascherare paure e fantasie ad esse legate.

Il secondo ostacolo nasce dal fatto che i discepoli gli parlano del Risorto che è vivo. Tommaso, da uomo concreto e non facile da convincere, chiede la prova e la prova è “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco io non credo”. Le prove per Tommaso non sono visioni non è neanche vedere il Signore, è vedere invece la prova che Lui è Colui che è morto per noi e che è stato crocifisso e che è stato sfiancato trapassato dalla lancia.

Noi siamo chiamati ad essere gemelli di Tommaso: non abbiamo visto, ma non è questo l’importante. Siamo chiamati a credere alla testimonianza altrui e a divenire a nostra volta testimoni. Ma quanto è credibile la nostra testimonianza, e quella altrui, e quanto invece è solo frutto di paure inconfessabili. Tommaso vuole testimoni credibili, Tommaso è chiamato a divenire testimone credibile. Tommaso non crede alla testimonianza della comunità della paura che è forse già cambiata dopo l’incontro col Risorto, ma che non è ancora cambiata nella concretezza: ha detto a lui quanto è avvenuto ma è ancora rinchiusa nel cenacolo.

È bello che otto giorno dopo il Signore ritorni, ritorna lo stesso giorno della settimana che è domenica: è il giorno dell’Eucaristia in cui siamo chiamati ad esserci per poterLo incontrare. È il giorno dell’Eucaristia che diventa tale ogni volta che ci si trova tra fratelli, perché lì Lui è in mezzo a noi. Tommaso doveva incontrare il Signore, non avrebbe potuto essere testimone di nulla se non era presente al fatto.

E noi che siamo fratelli gemelli del Didimo che cosa possiamo fare e che cosa possiamo essere? Quale testimonianza possiamo accogliere e quali testimoni possiamo divenire? Non ci rimane che la via dell’amore. Se tu ami una persona tu ce l’hai dentro; se ce l’hai dentro lei è presente in te e grazie a te. Se è presente la ami e se la ami è presente, la vedi, ce l’hai dentro.

Il Signore risorto è presente grazie all’amore: se lo ami è presente, ce l’hai in te e lo manifesti semplicemente vivendo. Se non lo ami Lui che si presenta a te nelle varie situazioni della vita, non verrà visto. Non lo vedi, non ti è presente, anche se è lì non lo riconosci. È l’amore che riconosce.

Per fortuna che Tommaso, in quella prima sera, non c’era, non era presente. Come noi! In Tommaso noi possiamo vedere ciò che siamo noi. Il non credere può essere un modo per chiudere, tutte fantasie, oppure un modo per camminare: voglio vedere il segno dei chiodi. Il non credere per indifferenza non porta da nessuna parte. Il non credere per amore scatena in noi la ricerca, la curiosità, il volere ricercare qualcosa che ci sfugge ma che sentiamo esserci. E la nostra vista lancia lo sguardo oltre, il nostro sguardo si affina e coglie cose impensabili. Se in Tommaso noi vediamo noi stessi possiamo divenire gente di speranza e di fede. Se ci accontentiamo di giudicare Tommaso come l’incredulo, noi non ci lasciamo toccare dalla sua esperienza, ci difendiamo e facciamo i farisei che cercano un corpo di accusa e un capro da accusare di ciò che è loro proprio.

A ben vedere tutto quello che noi siamo è fondato sulla testimonianza altrui. Tutto quanto abbiamo imparato l’abbiamo imparato da altri. Credere a quanto loro testimoniano è metterci nella condizione di sperimentare quanto loro hanno sperimentato. Questo avviene non tanto perché ce la raccontano, quanto invece perché la vivono. Accogliere il loro vissuto è metterci nella condizione di viverlo noi stessi. La Parola diventa luogo di esperienza dove vivo quanto altri hanno già vissuto. La parola si comunica a me tramite l’incarnazione nel fratello. Questo mi rende credente e beato perché vedente in lui ciò che la Parola desidera essere per me.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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Mio Signore e mio Dio!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20, 24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Parola del Signore.

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