Commento al Vangelo del 28 Ottobre 2018 – Figlie della Chiesa

Il Vangelo, fulcro di ogni liturgia, prosegue la sua narrazione dalle domeniche precedenti. Nel brano letto domenica scorsa Gesù si pone come esempio e modello del servizio. I versetti che seguono e che prendiamo oggi in considerazione sembrano proprio un “escalation” del servizio che si fa dono fino alla fine: Gesù è in cammino verso Gerusalemme dove ci sarà il compimento, dove donerà tutto se stesso per l’uomo. In queste ultime settimane dell’anno liturgico anche a noi è chiesto come al cieco mendicante di guarire dalla nostra malattia per proseguire con “ferma decisione” (Lc 11) verso Gerusalemme, dietro al Signore.

“…mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e molta folla…”: Gesù parte da Gerico, una città al di sotto del livello del mare, posta alle porte di Gerusalemme, è la porta della terra promessa tanto attesa e cercata… è la nuova porta per passare dalla staticità della propria condizione al cammino nella fede. Intraprendiamolo questo viaggio, cercando di seguire il Signore non come fanno i discepoli camminando fisicamente ma un po’ distratti nel cuore (cf Mc 10, 35-45) quanto piuttosto come Bartimeo, umile mendicante di Dio.

“…il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare…”: il protagonista di questo episodio è un povero, un cieco che mendica. Chi chiede l’elemosina accoglie qualsiasi cosa. Chi ha fame non bada alla qualità del cibo ricevuto ma si abbuffa con la prima cosa che trova, a volte raccogliendola perfino dai cestini. Così è per noi, per la nostra vita spirituale. In tutti noi c’è un mendicante che, affamato, si nutre della prima cosa a disposizione. Non sempre però è ciò che ci fa crescere, ciò che ci fa uscire dalla condizione in cui viviamo. La situazione di questo cieco è la staticità. Il testo infatti dice “sedeva…”. Una delle tentazioni più forti della nostra vita è quella di stare anche noi seduti, fermi, bloccati, quasi paralizzati nella condizione in cui siamo, senza proseguire verso la meta che ci attende, mettendo invece radici sempre più profonde. Papa Francesco più volte ci ha ripetuto che il peccato non è semplicemente cadere ma “rimanere caduti”.

Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».”: Bartimeo, nonostante la cecità non è abbandonato a se stesso perché ha ancora la capacità di ascoltare. Mai saremo così poveri da non avere almeno un appiglio per riprendere il cammino! E con l’udito, forse più con l’orecchio del cuore che con quello fisico, sente che sta passando il Signore. Non grida con ogni passante ma solo quando sente che sta passando Gesù Nazareno. Magari nella nostra vita avessimo lo stesso orecchio vigile per sentire i Suoi passi che si fanno vicini a noi…

Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».”: ciò che blocca il nostro grido, spesso e volentieri, non sono le folle, ma quello che abita il nostro stesso cuore. Quante sono le voci nel nostro cuore che ci vogliono tenere legati nella nostra cecità! È bello però riconoscere come il bene voglia vincere a tutti i costi e qui, il desiderio di guarire e di cambiare ha la meglio. Certo fondamentale è la tenacia, l’energia con la quale Bartimeo chiede, implora l’intervento del Signore. Non sappiamo se lo ha fatto per disperazione o se col cuore colmo di fede pura ma, a quanto pare, questo non è interessato al Signore. Egli infatti si aggrappa anche a un miserissimo briciolo di “virtù” pur di non lasciarci mendicanti a bordo strada.

…Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!»:” il Signore ascolta il grido, non può rimanere sordo davanti a un cieco! Lo fa chiamare, lo fa avvicinare a Lui infondendo coraggio per ripartire. E Bartimeo trovando lo slancio di cui aveva bisogno, balza in piedi e lascia il mantello, getta via ciò che è di impedimento, lascia ogni “sicurezza”, o meglio, ogni ricordo del pesante passato. È interessante notare che qui non è ancora guarito, ma per il solo fatto di sentirsi chiamato dal Signore è stato in grado di fare un salto, un cambiamento, un primo passo di “risurrezione”.

“…Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» …”: il Signore lo sta prendendo in giro? Chiede ad un cieco che mendica e sta a bordo strada a causa della malattia, rifiutato e abbandonato, chiede che cosa vuole. Non lo sa? Il Signore fa domande scontate? Perché? Una risposta molto semplice è questa: spesso i primi a dover riconoscere che siamo ciechi siamo noi! È facile vedere la cecità dell’altro, più difficile è riconoscere la propria. Ecco allora che il Signore aiuta Bartimeo a dare un nome alla malattia, alla fatica che vive non per condannarlo ma per riconoscersi nella verità e quindi poter ripartire. Bartimeo invece di tendere la mano per mendicare falsa salvezza, ora la tende all’Unico che può guarirlo fino in fondo: il suo Redentore. Bartimeo si abbandona così totalmente a Dio, consegna la sua miseria a Colui che gli permette di fare un cambio radicale. “Che io veda di nuovo!” letteralmente “che io veda in alto”: chiede che gli venga donato uno sguardo che si volga verso l’alto, non più semplicemente “raso terra”, ma che impari dallo sguardo di Dio. Il vero miracolo, anche per la nostra vita è di imparare ad affidare la miseria che ci blocca a Dio, senza dover più mendicare da chiunque per soddisfare i nostri bisogni e, con occhi misericordiosi, imparare a guardare prima di tutto la nostra vita e quindi quella degli altri con lo stesso sguardo di Dio. Il Signore si fa proprio maestro perché insegna a Bartimeo ad educare i propri desideri. E noi che cosa chiediamo a Dio?

“…E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.”: il nostro cammino di fede è lo stesso di Bartimeo: è un cammino di guarigione, di liberazione dalla cecità per avere uno sguardo nuovo. La vista riacquistata permette di “vedere” e, quindi, di seguire il Maestro. Il cambio è radicale: dalla staticità della malattia alla sequela dinamica verso Gerusalemme.

Chiediamo al Signore il dono della stessa fede “perentoria” di Bartimeo perché senza paura affidiamo al Medico ogni nostra infermità, certi che il nostro grido non rimane inascoltato e, come canta il preconio pasquale, potremmo dire “felix culpa”, “felix caecitas” e fare lo stesso salto di Bartimeo!

Appendice

Gesù ci indica il modo di seguirlo

Il nostro Redentore, prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati a causa della sua Passione, predisse loro con molto anticipo sia lo strazio della Passione che la gloria della sua Risurrezione, affinché, vedendolo morente, così come era stato predetto, non avessero dubitato che sarebbe anche risorto. E siccome i discepoli erano ancora carnali e del tutto incapaci di comprendere le parole del mistero, il Signore operò un miracolo. Davanti ai loro occhi, un cieco riacquistò la vista, perché coloro che non capivano le parole dei misteri celesti per mezzo dei fatti celesti venissero consolidati nella fede. Però, fratelli carissimi, i miracoli del Signore e Salvatore nostro vanno considerati in modo tale da credere che non soltanto accaddero realmente, ma vogliono altresì insegnarci qualcosa con il loro simbolismo. I gesti di Gesù, invero, oltre a provare la sua divina potenza, con il mistero insito in loro ci istruiscono. Noi non sappiamo in verità chi fosse quel cieco, però sappiamo cosa egli significa sul piano del mistero. Il cieco è simbolo di tutto il genere umano, estromesso dal paradiso terrestre nella persona del primo padre Adamo. Da allora, gli uomini non vedono più lo splendore della luce superna, e patiscono le afflizioni della loro condanna. E nondimeno, l`umanità è illuminata dalla presenza del suo Salvatore, sì da poter vedere – almeno nel desiderio – il gaudio della luce interiore, e dirigere così i passi delle buone opere sulla via della vita.

Una cosa è degna di nota a questo punto ed è il fatto che il cieco riacquista la vista allorché Gesù si avvicina a Gerico. Gerico sta per luna, e luna, secondo la Scrittura, indica le deficienze della umana natura. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che essa va soggetta ogni mese a fenomeni di decrescenza, cosicché è stata designata quale espressione della fragilità della nostra carne mortale. Sta di fatto che mentre il nostro Autore si appressa a Gerico, il cieco riacquista la vista. Il che vuol dire che allorché il Signore assunse la debolezza della nostra natura, il genere umano riacquistò la luce che aveva perduto. La risposta al gesto di Dio, che incomincia a patire le umane debolezze, è il nuovo modo di essere dell`uomo, elevato ad altezze divine. Ecco perché, a buon diritto, il Vangelo dice che il cieco sedeva lungo la via a mendicare. Gesù, infatti, che è la Verità, afferma: “Io sono la via” (Gv 14,6).

Chi perciò ignora lo splendore dell`eterna luce è cieco; se, però, già crede nel Redentore, egli siede lungo la via; se però, pur credendo, trascura di pregare per ricevere l`eterna luce, è un cieco che siede lungo la via, senza mendicare. Solo se avrà creduto e avrà conosciuto la cecità del suo cuore, pregando per ricevere la luce della verità, egli siede come cieco lungo la via e mendica. Chiunque perciò riconosce le tenebre della propria cecità, chiunque comprende cosa sia questa luce di eternità che gli fa difetto, invochi con le midolla del cuore, invochi con tutte le espressioni dell`anima, dicendo: “Gesù, Figlio di David, abbi pietà di me. Ma occorre anche ascoltare quanto segue al clamore del cieco: “Coloro che gli camminavano innanzi lo rimproveravano affinché tacesse” (Lc 18,38-39).

Cosa mai significano quei tali che precedono Gesù che viene, se non le turbe dei desideri carnali e il tumulto dei vizi che, prima che Gesù arrivi al nostro cuore, con le loro suggestioni dissipano la nostra mente e confondono le voci del cuore in preghiera? Spesso, quando intendiamo far ritorno a Dio dopo il peccato, e ci sforziamo di pregare per la remissione di quelle colpe che abbiamo commesso, si presentano alla vista i fantasmi dei nostri peccati e accecano l`occhio dell`anima, turbano lo spirito e soffocano la voce della nostra orazione. Si spiega così il fatto che coloro che precedevano Gesù imponevano al cieco di tacere; infatti, prima che Gesù arrivi al nostro cuore, i peccati commessi si impadroniscono del nostro pensiero invadendolo con le loro immagini e turbandoci nella nostra preghiera.

Prestiamo attenzione ora a quel che fece allora quel cieco che anelava ad essere illuminato. Continua il Vangelo: “Ma il cieco con più forza gridava: Figlio di David, abbi pietà di me!” (Lc 18,39). Vedete? Quello stesso che la turba rimproverava perché tacesse, grida con lena centuplicata, a significare che tanto più molesto risulta il tumulto dei pensieri carnali, tanto più dobbiamo perseverare nella preghiera. Sì, la folla ci impone di non gridare, perché i fantasmi dei nostri peccati spesso ci molestano anche nel corso della preghiera. Ma è assolutamente necessario che la voce del nostro cuore tanto più vigorosamente insista quanto più duramente si sente redarguita. In tal modo, non sarà difficile aver ragione del tumulto dei pensieri perversi e, con la sua assidua importunità, la nostra preghiera perverrà alle orecchie pietose di Dio.

Ritengo che ognuno potrà trovare in se stesso la testimonianza di quanto vado dicendo. Quando ritraiamo l`anima dal mondo per orientarla a Dio, quando ci votiamo all`orazione, succede che molte cose, fatte per l`innanzi con piacere, ci diventino pesanti, moleste e importune nella preghiera. Allora, sì e no riusciamo a scacciare il pensiero di tali cose, allontanandole dagli occhi del cuore, pur usando la mano del santo desiderio. Sì e no riusciamo a vincere certi molesti fantasmi, pur levando gemiti di penitenza.

Però, allorché insistiamo con vigore nella preghiera, fermiamo nella nostra anima Gesù che passa. Per questo viene aggiunto: “Gesù si fermò e ordinò che il cieco gli fosse condotto dinnanzi” (Lc 18,40). Ecco, colui che prima passava, ora sta. E` così, perché fintanto che sopportiamo le turbe dei fantasmi, sentiamo quasi che Gesù passa. Quando invece insistiamo con forza nell’orazione, Gesù si ferma per ridarci la luce. Infatti, se Dio si ferma nel cuore, la luce smarrita è riacquistata …

Ma ormai è tempo di ascoltare cosa fu fatto al cieco che domandava la vista, o anche cosa fece egli stesso. Dice ancora il Vangelo: “Subito recuperò la vista e si mise a seguire Gesù” (Lc 18,43). Vede e segue chi opera il bene che ha conosciuto; vede, ma non segue chi del pari conosce il bene, epperò disdegna di farlo. Se pertanto, fratelli carissimi, conosciamo già la cecità del nostro peregrinare; se, con la fede nel mistero del nostro Redentore, già stiamo seduti lungo la via; se, con la quotidiana orazione, già domandiamo la luce del nostro Autore; se, inoltre, dopo la cecità, per il dono della luce che penetra nell`intelletto siamo illuminati, sforziamoci di seguire con le opere quel Gesù che conosciamo con l`intelligenza. Osserviamo dove il Signore si dirige e, con l`imitazione, seguiamone le orme. Infatti, segue Gesù solo chi lo imita …

E siccome noi scadiamo dall`interiore gaudio verso il piacere delle cose sensibili, egli volle mostrarci con quale sofferenza si debba ritornare a quel gaudio. Che cosa non dovrà patire l`uomo per il proprio vantaggio, se Dio stesso ha tanto patito per gli uomini? Chi dunque ha già creduto in Cristo, ma va ancora dietro ai guadagni dell`avarizia, monta in superbia per la propria dignità, arde nelle fiamme dell`invidia, si sporca nel fango della libidine, o desidera le prosperità mondane, disdegna di seguire quel Gesù nel quale ha creduto. Uno al quale la sua Guida ha mostrato la via dell`asprezza, percorre una strada diversa, perciò se ricerca gioie effimere e piaceri. (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 2, 1-5.8)

Cristo è l`autentica luce del mondo

Cristo è dunque “la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9), e la Chiesa, illuminata dalla sua luce, diventa essa stessa “luce del mondo, che illumina “coloro che sono nelle tenebre” (Rm 2,19), come Cristo stesso attesta quando dice ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). Di qui deriva che Cristo è la luce degli apostoli, e gli apostoli, a loro volta, sono la luce del mondo…

E come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, così da Cristo e dalla Chiesa sono illuminate le nostre menti. Quantomeno, le illuminano se noi non siamo dei ciechi spirituali. Infatti, come il sole e la luna non cessano di diffondere la loro luce sui ciechi corporali che però non possono accogliere la luce, così Cristo elargisce la sua luce alle nostre menti, epperò non ci illuminerà di fatto che se non vi si oppone la cecità del nostro spirito. In tal caso, occorre anzitutto che coloro che sono ciechi seguano Cristo dicendo e gridando: “Figlio di David, abbi pietà di noi” (Mt 9,27), affinché, dopo aver ottenuto da Cristo stesso la vista, possano successivamente essere del pari irradiati dallo splendore della sua luce.

Inoltre, non tutti i vedenti sono egualmente illuminati da Cristo, ma ciascuno lo è nella misura in cui egli può ricevere la luce. Gli occhi del nostro corpo non sono egualmente illuminati dal sole: più si salirà in alto, più si alzerà l`osservatorio dal quale lo sguardo contemplerà la sua levata, e meglio si percepirà anche il chiarore e il calore; analogamente, più il nostro spirito, salendo ed elevandosi, si sarà avvicinato a Cristo, esponendosi più da vicino allo splendore della sua luce, più magnificamente e brillantemente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mezzo del profeta: “Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore” (Zc 1,3); e dice ancora: “Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano” (Ger 23,23).

Non è però che tutti andiamo a lui nella stessa maniera, bensì ciascuno va a lui secondo le proprie possibilità (cf. Mt 25,15). O andiamo a lui insieme alle folle e allora ci ristora in parabole (cf. Mt 13,34), solo perché il prolungato digiuno non ci faccia soccombere lungo la via (cf. Mt 15,32; Mc 8,3); oppure, rimaniamo continuamente e per sempre seduti ai suoi piedi, non preoccupandoci che di ascoltare la sua parola, senza lasciarci turbare “dai molti servizi, scegliendo la parte migliore” che non ci verrà tolta (cf. Lc 10,39s).

Avvicinandosi così a lui (cf. Mt 13,36), si riceve da lui molta più luce. E se, al pari degli apostoli, senza allontanarci da lui sia pure di poco, restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (cf. Lc 22,28), allora egli ci espone e spiega nel segreto ciò che aveva detto alle folle (cf. Mc 4,34) e ci illumina con maggiore chiarezza. E anche se si è capaci di andare a lui fino alla sommità del monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cf. Mt 17,1-3), non si verrà illuminati solamente dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre in persona. (Origene, Hom. in Genesim, 1, 6-7)

Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di questa Domenica (Mc 10, 46-52) leggiamo che, mentre il Signore passa per le vie di Gerico, un cieco di nome Bartimeo si rivolge verso di Lui gridando forte: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Questa preghiera tocca il cuore di Cristo, che si ferma, lo fa chiamare e lo guarisce. Il momento decisivo è stato l’incontro personale, diretto, tra il Signore e quell’uomo sofferente. Si trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: “Che vuoi che io ti faccia?”, gli chiede il Signore. “Che io riabbia la vista!”, risponde il cieco. “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo. E Bartimeo, venuto alla luce – narra il Vangelo – “prese a seguirlo per la strada”: diventa cioè un suo discepolo e sale col Maestro a Gerusalemme, per partecipare con Lui al grande mistero della salvezza. Questo racconto, nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche “Illuminazione”.

La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore. Su questo modello sono impostati nella Chiesa gli itinerari di iniziazione cristiana, che preparano ai sacramenti del Battesimo, della Confermazione (o Cresima) e dell’Eucaristia. Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza. Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! La riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano, perché vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria.

Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria, affinché si moltiplichino i missionari del Vangelo. Intimamente unito al Signore, possa ogni battezzato sentire di essere chiamato ad annunciare a tutti l’amore di Dio, con la testimonianza della propria vita. (Papa Benedetto XVI, Angelus 29 ottobre 2006)

 

[…] Il Vangelo odierno ci collega direttamente alla prima Lettura: come il popolo d’Israele è stato liberato grazie alla paternità di Dio, così Bartimeo è stato liberato grazie alla compassione di Gesù. Gesù è appena uscito da Gerico. Nonostante abbia appena iniziato il cammino più importante, quello verso Gerusalemme, si ferma ancora per rispondere al grido di Bartimeo. Si lascia toccare dalla sua richiesta, si fa coinvolgere dalla sua situazione. Non si accontenta di fargli l’elemosina, ma vuole incontrarlo di persona. Non gli dà né indicazioni né risposte, ma pone una domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51). Potrebbe sembrare una richiesta inutile: che cosa potrebbe desiderare un cieco se non la vista? Eppure, con questo interrogativo fatto “a tu per tu”, diretto ma rispettoso, Gesù mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio. Dopo la guarigione il Signore dice a quell’uomo: «La tua fede ti ha salvato» (v. 52). È bello vedere come Cristo ammira la fede di Bartimeo, fidandosi di lui. Lui crede in noi, più di quanto noi crediamo in noi stessi.

C’è un particolare interessante. Gesù chiede ai suoi discepoli di andare a chiamare Bartimeo. Essi si rivolgono al cieco usando due espressioni, che solo Gesù utilizza nel resto del Vangelo. In primo luogo gli dicono: “Coraggio!”, con una parola che letteralmente significa “abbi fiducia, fatti animo!”. In effetti, solo l’incontro con Gesù dà all’uomo la forza per affrontare le situazioni più gravi. La seconda espressione è “Alzati!”, come Gesù aveva detto a tanti malati, prendendoli per mano e risanandoli. I suoi non fanno altro che ripetere le parole incoraggianti e liberatorie di Gesù, conducendo direttamente a Lui, senza prediche. A questo sono chiamati i discepoli di Gesù, anche oggi, specialmente oggi: a porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva. Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte, non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore. Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!

Ci sono però alcune tentazioni per chi segue Gesù. Il Vangelo di oggi ne evidenzia almeno due. Nessuno dei discepoli si ferma, come fa Gesù. Continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare “abitudinari della grazia”. Possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito. Questa è la tentazione: una “spiritualità del miraggio”: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti.

C’è una seconda tentazione, quella di cadere in una “fede da tabella”. Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Rischiamo di diventare come quei “molti” del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo. Poco prima avevano rimproverato i bambini (cfr 10,13), ora il mendicante cieco: chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere. Gesù invece vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui. Costoro, come Bartimeo, hanno fede, perché sapersi bisognosi di salvezza è il miglior modo per incontrare Gesù.

E alla fine Bartimeo si mette a seguire Gesù lungo la strada (cfr v. 52). Non solo riacquista la vista, ma si unisce alla comunità di coloro che camminano con Gesù. Carissimi Fratelli sinodali, noi abbiamo camminato insieme. Vi ringrazio per la strada che abbiamo condiviso con lo sguardo rivolto al Signore e ai fratelli, nella ricerca dei sentieri che il Vangelo indica al nostro tempo per annunciare il mistero di amore della famiglia. Proseguiamo il cammino che il Signore desidera. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato. Senza farci mai offuscare dal pessimismo e dal peccato, cerchiamo e vediamo la gloria di Dio, che risplende nell’uomo vivente. (Papa Francesco, dall’Omelia del 25 ottobre 2018)

Fonte: Figlie della Chiesa

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 28 Ottobre 2018 anche qui.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10, 46-52
 
46E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 49Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 28 Ottobre – 03 Novembre 2018
  • Tempo Ordinario XXX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 2

Fonte: LaSacraBibbia.net

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