Commento al Vangelo di domenica 5 Luglio 2020 – d. Giacomo Falco Brini

Imparate da me, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2020

Ogni volta che leggo questo vangelo mi sembra, sia pur lontanamente, di provare qualcosa di simile a quella gioia che fece esultare Gesù in quelle parole di lode a Dio Padre (cfr.Lc 10,21). E rivado sempre con la memoria a quel giorno in cui, sui banchi degli studi universitari, il professore di esegesi neotestamentaria ci parlò del significato della parola greca “ευδοκια” al v.26, laddove comunemente viene tradotta con il termine “benevolenza”. Il Signore Gesù glorifica Dio perché ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le ha rivelate ai piccoli (v.25) esponendo il motivo più profondo della sua esultanza: sì Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Ora, se è vero che “ευδοκια” nel suo significato lato può essere tradotto con “benevolenza” o “compiacimento” senza timore di incorrere in errori interpretativi, è anche vero che l’etimologia di questa parola indica invece, prima di tutto, il mistero della libertà divina. Cioè, sarebbe ancora più appropriato tradurre: sì Padre, perché così hai deciso nella tua libertà; oppure, perché hai fatto questa scelta.

L’uomo rivendica sempre la sua libertà, ma anche Dio ha la sua. L’uomo fa le sue scelte, anche Dio fa le sue. L’uomo è portato per natura a scegliere il più intelligente, il più sapiente, il più brillante, il più “forte”. Dio è attratto da chi è piccolo e sceglie chi è piccolo, chi non conta davanti agli uomini, chi è debole ed insignificante o non può avere grande visibilità, chi non può fregiarsi di niente davanti a Lui. S.Paolo direbbe: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio (1Cor 1,27-29). Le scelte di Dio, da Abramo fino ad oggi, non si smentiscono mai. E allora che dire di quei grandi spiriti cristiani notoriamente conosciuti per l’elevata intelligenza e sapienza? Che dire di un Agostino di Ippona, di un Antonio da Padova o una Teresa d’Avila? Forse che essi smentiscono il modo di rivelarsi di Dio? Giammai. La Parola di Dio non inganna. Dio nasconde ancora le sue cose, cioè i misteri che lo riguardano, ai sapienti e agli intelligenti. Ma le rivela anche a quei sapienti e intelligenti che si fanno piccoli: in verità vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3). Nessuna colpa quindi per chi nasce con un bel quoziente di intelligenza e per chi riceve una solida formazione negli studi umani. Basta solo saper ricondurre questi doni ricevuti alla sua sorgente (Dio) e farsi piccoli per amore dei piccoli davanti a Lui. Diversamente, non si entra in relazione con il Signore e si rimane in uno spirito mondano che si oppone al regno di Dio. Il v.27 suggella quanto detto ribadendo la libertà di Dio nel rivelarsi: nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Chi non entra in rapporto con Dio come un bambino farebbe con il proprio papà o mamma, non può incontrarlo. Può solo fare tante chiacchiere sul Signore, ma non manifestare una relazione con Lui.

La seconda parte del vangelo (Mt 11,28-30) è scandita da due inviti. Il primo è sommamente attraente, ma non manca chi è sordo ad esso. Come si fa a non sentire tutta la tenerezza d’amore in queste parole di Gesù? Il suo cuore si manifesta attento a coloro che sono stanchi e oppressi. Ancora una volta, il suo cuore è rivolto verso chi soffre, chi non ce la fa, chi si sente schiacciato/deluso dalla vita, verso chi non si nasconde la propria debolezza o paura, verso chi sa vivere la sconfitta. In una parola, verso chi non teme di essere piccolo e povero. Per essi è l’invito di Gesù. Infatti, questo invito non può essere accolto da chi è ricco e sazio di sé, da chi vive soddisfatto e centrato su sé stesso, da chi pensa che il mondo giri attorno a lui. Io vi darò ristoro è la sua promessa. Non dice che toglierà dal nostro cammino le tribolazioni. Ci assicura che se andremo da Lui, ci sosterrà in esse. Ma non basta andare da Lui. Infatti, quanti ricorrono a Lui nella preghiera e ritornano sempre insoddisfatti! Allora il secondo invito delinea la modalità per trovare pace presso il Signore: prendete il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29). Prima bisogna accettare di prendere il suo giogo. E sappiamo bene qual è il suo giogo. Poi bisogna stare alla sua presenza come qualcuno che ha sempre da imparare. Lui è l’unico Maestro. Lui solo è mite e umile nel cuore. Il discepolo, se è convinto di essere solo tale, troverà consolazione e gioia solo sotto il giogo di Gesù. Perché sotto un braccio della croce scoprirà, con sorpresa, che Egli è ancora lì a portarne il maggior peso. Solo chi ha deciso di seguire Gesù, prendendo liberamente il suo giogo, può sperimentare e testimoniare che esso è dolce e il suo peso leggero (Mt 11,30).  


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI
SITO WEB: https://predicatelosuitetti.com

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