Commento al Vangelo di domenica 24 Novembre 2019 – don Luciano Labanca

Il bellissimo inno liturgico attribuito al poeta latino Venanzio Fortunato (530-607), intitolato Vexilla Regis, canta la bellezza del mistero della Croce, definita “vessillo del Re”. Tra le parole più espressive di questo componimento, ci sono quelle che affermano: “Regnavit a ligno Deus. […] Arbor decora et fulgida, ornata Regis purpura, electa digno stipite tam sancta membra tangere” (Dio regnò dal legno della croce. […] Albero bello e splendente, imporporato con il sangue del Re, scelto a toccare con il degno tronco così sante membra).

Con le parole di questo antico inno possiamo introdurre il commento al brano evangelico di questa Solennità di Cristo Re (vedi scheda sulla Solennità), il cui trono regale non è fatto di porpora e metalli preziosi, ma è il nudo legno della Croce, luogo della sua suprema esaltazione. La regalità di Gesù, infatti, non ha niente a che vedere con la potenza dei sovrani e dei principi di questo mondo, ma al di là di ogni umana considerazione, si manifesta nel dono supremo della sua vita per l’umanità. Gesù lo aveva profeticamente preannunciato: “Io, quando sarò elevato daterra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Ed è proprio in questa scena della Crocifissione, con lo sguardo rivolto al Trono glorioso del Re, che ciascuno di noi può ritrovare la sua posizione.

Luca presenta la narrazione della Passione come un grande dramma, in cui ciascuno è chiamato a riscoprire il proprio ruolo. Chi siamo? Il popolo che affascinato dalla regalità di Gesù quando entrava a Gerusalemme, ora sta a guardare senza prendere una posizione, attonito e dubbioso? I capi del popolo che lo scherniscono, perché non risponde agli schemi della religiosità di cui sono prigionieri? I soldati, che pur ripetendo in maniera ignara la verità del suo essere “Re dei Giudei“, scritto anche sul Titolo, in realtà hanno il cuore lontano dall’adesione di fede a tale realtà?  Uno dei ladroni? Quello che anche prima dell’ultimo respiro ha il cuore ancora duro e impenitente, oppure quello che, all’estremo della sua vita, mentre riconosce i suoi peccati, è capace di scorgere nell’uomo Crocifisso il Re dei Re, tanto da invocare da lui la misericordia, accostandosi al trono della grazia?

La lettera agli Ebrei ci invita a seguirne l’esempio, quando dice: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,12). La figura del “buon ladrone”, ammesso in Paradiso, nella stanza del Re, ci ricorda la sfida della nostra fede: saper riconoscere la grandezza e la regalità di Gesù nei segni nascosti e umili che ogni giorno pone sul nostro cammino. San Giovanni Crisostomo, rivolgendosi a lui, dice: “Che cosa strana, inaudita! La croce è sotto i tuoi occhi e tu parli di regalità?!Che cosa vedi che ti possa far ricordare la dignità regale?  Un uomo crocifisso, contuso dagli schiaffi, schiacciato dalle beffe e dalle accuse, coperto dagli sputi, lacerato dai flagelli: è da questi segni che tu riconosci un re?” (Sermo in Genesim).

Fonte – il blog di don Luciano

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