Vangelo del giorno – 7 febbraio 2018 – don Antonello Iapicca

NELLA CASA CHE CI SEPARA DAL PENSIERO MONDANO ASCOLTARE LA PAROLA CHE PURIFICA IL CUORE

E’ una questione di cuore. Il Signore ci riporta al centro d’ogni cosa, e noi ci ritroviamo, come i discepoli, privi d’intelletto. Prigionieri della sapienza secondo la carne ci attestiamo su posizioni legalistiche che ci possano proteggere e difendere. La libertà di Gesù ci spiazza. Pensiamo di desiderare la libertà mentre invece ne siamo terrorizzati. Perchè il nostro cuore è malato, avvelenato. Gesù ci annuncia una vita libera perchè liberata, e ci incontra schiavi, azzannati dal timore. La libertà di Gesù implica una vita indifesa dinanzi a tutto e a tutti, quella che è apparsa nel Suo corpo crocifisso, offerto a tutti, senza limite. La libertà del Figlio che non attende che qualcuno gli tolga la vita, ma che la offre in riscatto proprio per i Suoi assassini.

Non v’è alimento, per quanto impuro, avariato, avvelenato che può contaminare l’uomo. Il Figlio, e i suoi fratelli, sono nel mondo una creazione nuova, immagine e sacramento della vita celeste. I cristiani costituiscono la speranza del Cielo. Nulla li potrà danneggiare, quand’anche dovessero bere veleni non recheranno loro danno, perchè in loro dimora una Vita nuova, eterna, la stessa del Signore che ha vinto e distrutto la morte. Pieni di speranza attraversano gli eventi, non chiudono e non si chiudono dinanzi a nessuno, sono ogni giorno come agnelli condotti al sacrificio. La loro vita è intrisa d’amore verso tutti, anche i nemici, perchè l’amore di Dio è stato riversato nei loro cuori. E’ dunque una questione di cuore.

Ma dobbiamo ammettere che il più delle volte viviamo lontani dal nostro stesso cuore, pur illudendoci che esso sia il protagonista assoluto delle nostre esistenze. Ma scambiamo le passioni e gli entusiasmi per quel che non sono. E’ vero quel che dice Isaia e che Gesù ci ripete, il nostro culto è un intrecciarsi di forme, ma il cuore è lontano da Dio. Allo stesso modo, le nostre relazioni, gli atteggiamenti e le azioni sono quasi sempre un moltiplicarsi di riflessi condizionati dalla paura. Filosofie, ideologie politiche e riflessioni nostre ci inducono a credere che le strutture, le famiglie, le persone e i fatti che ci circondano condizionino le nostre vite. Ma è falso. E’ il nostro cuore ad esser malato, è in noi la radice dell’infelicità e dell’incapacità di amare. Ci affanniamo a pulire l’esterno del bicchiere e dimentichiamo l’interno. L’esterno che ci si approssima, le parole, i rifiuti, le incomprensioni, i testacoda dei nostri progetti, gli eventi di morte che quotidianamente ingeriamo ci fanno soffrire, ma non sono essi ad innescare in noi reazioni che “sembrano” naturali. Sono piuttosto la paura e l’incapacità d’esser felici che sgorgano dal nostro cuore avvelenato da una menzogna. Il padre della menzogna, colui che è omicida fin da principio vi ha iniettato il suo liquido malefico e abbiamo assaporato la morte, la solitudine, il terrore.

Ed è infatti al cuore che mira Gesù. Prostituiti alla menzogna, adescati dall’idolatria come Israele nel libro di Osea, Il Signore ci conduce “in una casa lontano dalla folla” immagine del deserto dove parla al nostro cuore. L’angoscia, l’aridità, l’incertezza che oggi ci attanagliano sono il deserto nel quale Dio stesso ci porta per un solo a solo, l’unico, che può salvarci. Le Sue parole sono dirette al nostro cuore. La predicazione, la stolta predicazione che dona la fede sciogliendo il cuore dalle catene della paura. L’annuncio quotidiano del suo amore e della sua misericordia è il farmaco capace di guarire il nostro cuore, l’antidoto al veleno della menzogna iniettataci dal demonio. Il suo amore riversato nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo.

A Dio, che così gli parlava in sogno:”Chiedimi ciò che io devo concederti”, Salomone ancor giovane rispondeva in un modo che a prima vista ci sorprende: egli chiede semplicemente lébh shoméá, un cuore in ascolto. Lébh, il cuore, è la sede della saggezza, del discernimento, così come della forza e della tenerezza. E shoméá è il participio di shamá, ascoltare. Chiedendo lébh shoméá, Salomone ha semplicemente chiesto un cuore che ascolta, un cuore pieno di giudizio (de Vaux, nella Bible de Jérusalem; una nota della prima edizione, che non è stata accolta nel testo, mostra che una redazione anteriore proponeva; pieno di intendimento, ciò che aveva il vantaggio di avvicinarsi, partendo dall’origine della parola, al senso dell’ebraico: “Tendere i sensi verso, ascoltare”). E Dio, quasi volendo spiegare il contenuto della domanda di Salomone, risponde: “Perché hai domandato questa cosa … faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente…” (1 Re 3, 11-12). All’ascolto corrispondono la saggezza e l’intelligenza. A noi, privi d’intelletto, impauriti dinanzi alla libertà dell’amore, piegati sui compromessi seminati per difendere fragili equilibri, viene consegnata oggi una preghiera. Semplice. Con Salomone implorare un cuore in ascolto, ecco la chiave per ogni problema, di fronte ad ogni evento della nostra vita. Non perdersi in sterili ipotesi, in lunghi talk show improvvisati con amici e colleghi e parenti, parole a fiumi che non approdano a nulla. In ginocchio, piccoli e indifesi, impauriti, e l’audacia d’una preghiera: “Donami o Signore un cuore in ascolto”. Lo Shemá Israël, Ascolta Israele (Shemá, dove si può riconoscere il nostro Shoméá), il solenne invito ad ascoltare il proclama della fede nel Dio unico (Dt 6,4 ss.), come il bussare quotidiano alla porta del cuore stesso di Dio perchè parli al nostro cuore. Imparare da Israele a recitare lo Shemá tre volte al giorno, come a sigillare ogni giornata all’essenziale, a ricondurre ogni pensiero, parola, atto al cuore stesso di Dio, purificando tutto nel crogiuolo del suo amore. Come l’Angelus che la Chiesa recita tre volte la giorno, così che risuoni nel fluire del tempo la Parola che ha generato la vita divina in Maria, e con lo stesso suo cuore in ascolto, aperto e indifeso nella fede, accogliere la Notizia che dà senso e consistenza ad ogni giornata.

Come Maria, la sorella di Marta, che “sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39), ricevendo, gratuitamente, la parte migliore che non ci sarà mai tolta (Lc 10, 42). Con Santa Faustina Kowalska, esattamente così come oggi siamo, contempliamo il cuore di Cristo, dal quale sgorgano i raggi benefici della Sua Misericordia, il perdono che cancella le “cose cattive” che escono dal nostro cuore, e ricrea in noi un cuore nuovo, di carne, capace di amare, un cuore come il Suo. Corriamo dunque a nasconderci nel suo cuore ferito d’amore.

Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne sei pieno?
Di che? Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza.
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce forza e canto
la musica perpetua… ritornerà.
Sii calmo.

Mario Luzi, Sotto specie umana, 1999

Qui il commento completo

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Mc 7, 14-23
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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