Vangelo del giorno – 4 dicembre 2017 – don Antonello Iapicca

PER MEZZO DELLA FEDE CHE CI DONA LA CHIESA CRISTO SCENDE NELLA NOSTRA VITA PER GUARIRE IL NOSTRO CUORE PARALIZZATO E RICREARCI COME SERVI

La fede è alle porte di questo Avvento, ovvero la certezza di un appoggio sicuro, che basta una Parola per essere salvati. La luce, il mondo, l’uomo, tutto è nato dalla forza creatrice della Parola scaturita dalle labbra di Dio. Siamo stati creati in Cristo, in Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti; ma la realtà è che, nati per servire, giacciamo distesi in un letto d’impotenza, incapaci d’amare e di servire. E soffriamo terribilmente.

Desideriamo che la nostra vita sia quella che Dio ha pensato, ma proprio non ce la facciamo. I ricordi, le sofferenze, le angosce, i tradimenti, la solitudine, le delusioni, la morte del nostro essere più profondo incontrata appena abbiamo tentato di donare qualcosa di noi ci ha “paralizzati”. La libertà dell’altro che si fa peccato, è oscurità che ci inghiotte e paralisi che ci blocca nella paura. Per questo, alle porte di questo nuovo Avvento, la Chiesa ci pone dinanzi la figura di questo centurione, nel quale possiamo vedere ciascuno di noi. Egli ha incontrato il Signore, il Kyrios che, con una parola, ordina alla morte di far posto alla vita. Il centurione non rappresenta una fede magica; egli fa presente il cammino dentro il dolore e l’angoscia e l’approdo alla certezza di una fede adulta sperimentabile. 

Esperto della struttura imperiale, sapeva che l’autorità conferiva il potere di comandare e farsi obbedire; subalterno del Caesar-Kyrios partecipava del suo potere. Nell’incontro con Gesù, dal profondo dell’angoscia, si fonda sulla propria esperienza per “scongiurarlo” di esercitare l’autorità ed il potere che gli riconosceva. Il centurione, pagano, ha percorso un cammino di conversione nella storia, ha sperimentato la sua impossibilità di fronte al male, pur avendo autorità e potere nella società; e lì, in fondo alla discesa nella verità, ha incontrato un altro Kyrios, quel Rabbì galileo, al quale consegnare la sua vita per salvare quella del servo. “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”: è cosciente della sua indegnità, non fa parte del Popolo eletto, e sa che, per la Legge, quel rabbino non può contaminarsi ed  entrare in casa sua. Ma, e qui appare la novità della fede, non si ferma a questo. L’amore per il suo servo, l’angoscia per la sua sofferenza, lo rende audace più di quanto non sia indegno. 

Ha a cuore la sorte del suo servo e questo lo spinge ad oltrepassare le barriere della Legge. Egli sa che Cesare, il Kyrios di Roma, può infrangere la Legge perché ne è lo stesso autore: una sola parola e la Legge cambia. Questa è la fede del centurione! Quell’Uomo è un Kyrios ancora più potente, la sua Parola può compiere quello che per l’uomo è impossibile, perché quella Parola è molto più della legge, è la vita stessa più forte della morte. Con il centurione possiamo, in questo tempo, imparare l’umiltà che sorge dalla verità: sono paralizzato, non riesco a perdonare mia moglie, non accetto mio figlio, non posso sottomettermi a mio marito, esigo dagli altri incapace di servire. E’ vero ma ora sei qui di fronte a me, sei il Kyrios, il Signore che ha vinto la morte. Sei Tu l’unica certezza, so che una parola della tua bocca può accendere di vita eterna la mia vita spenta e ricreare in me il servo che non sono mai stato ma nella cui immagine mi hai creato.

 Non sono degno che tu venga nella mia schiavitù, mi sono ribellato orgogliosamente sino ad oggi, non ho nessuna credenziale da mostrarti, nessun diritto per essere salvato se non Tu stesso, la tua parola, il tuo amore gratuito unica speranza. Il cammino del centurione è immagine del catecumenato della Chiesa primitiva al quale siamo tutti chiamati: il desiderio intriso d’amore lo ha spinto verso Gesù, come quello dei tanti pagani che si avvicinavano ai cristiani nel desiderio di “vivere come loro”. Ha sperimentato l’amore che lo ha accolto offrendosi di “andare Egli stesso a casa sua”, in un luogo impuro, e curare il servo malato; di fronte alla risposta inaspettata che rompe ogni schema legalistico, il centurione riconosce la novità, la grandezza e la speranza che porta con sé: quell’Uomo è disposto a sporcarsi con lui, con le sue cose, con i suoi peccati; quell’Uomo, uscendo da se stesso e non difendendo gelosamente i suoi diritti divini, vuole scendere “nella sua casa” di schiavitù.

Quell’Uomo è Kyrios perché può andare oltre la Legge, e dimostra il suo potere in una forma radicalmente diversa da quella di tutti gli altri signori: Gesù è tanto potente da mettere da parte il suo potere, da obbedire invece di farsi obbedire, da servire invece di farsi servire. “Io verrò e lo curerò!”: in queste parole è tracciata tutta l’esperienza del centurione, quella sconvolgente di un amore mai visto che lo spinge sino alla certezza, alla fede che gli illumina il cuore; solo un Kyrios così può salvare il mio sottoposto, solo chi si è fatto servo può raggiungere, toccare e sanare il mio servo. Solo un Dio che si è fatto uomo come ciascuno di noi ci può davvero salvare, strappare dalle tenebre e dalla morte. La fede del centurione infatti sorge dalle tenebre di una vita pagana, vissuta lontana da Dio, senza Legge nè promesse.

Il centurione è, sulla soglia di questo Avvento, immagine di ogni pagano che si avvicina a Cristo, che vede la Luce in mezzo alle tenebre ed è accolto a mensa, ammesso ai sacramenti e alla comunione della Chiesa. Il centurione è la profezia che oggi scende come un dono alla nostra vita, l’annuncio di speranza deposto nella nostra storia. Il servo che è in noi giace malato. E’ vero, non possiamo negarlo. Ma la sofferenza è un grembo fecondo che gesta la luce, come la notte è puntata verso l’aurora, come il sepolcro si apre sulla Pasqua, perché, in Cristo, la morte è un Avvento di Vita. Anche se siamo segnati da catene più forti di noi questo Avvento ci consegna una possibilità: “scongiurare” il Signore, così come ne siamo capaci, per rinascere con Lui servi che offrono se stessi per puro amore.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Mt 8, 5-11
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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