Vangelo del giorno – 2 Dicembre 2022 – don Antonello Iapicca

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AVVENTO E’ ANCHE GRIDARE IL “NOI” CHE CI DESTA PER INVOCARE LO SPOSO AFFINCHE’ CI ATTIRI IN OGNI ISTANTE VERSO DI LUI

Carne e sangue non c’entrano, i “due ciechi” che seguono di Gesù hanno visto con il cuore ancor prima che con gli occhi; un moto dello Spirito li ha sospinti alla sequela di quel Galileo, sino a giungere alla sua “casa”; qui “gli si accostano” e Gesù può porre loro la domanda decisiva: “Credete che io abbia il potere di farvi vedere?”.

I ciechi avevano camminato e seguito Gesù gridando e implorando, segno del catecumenato preparatorio al battesimo. Gesù si stava “allontanando” e per questo i due hanno cominciato a seguirlo. E non si è fermato, inducendoli a gridare, a gridare ancora, sino a che il suo Nome immerso nella pietà diventasse familiare. Così è anche per noi. Quando Gesù sembra allontanarsi è perché, come lo Sposo del Cantico dei Cantici, vuole che lo seguiamo, che lo cerchiamo, che gridiamo a Lui.

Vuole innescare in noi il bisogno e il desiderio di Lui, sino a che Egli ci diventi familiare: familiare come il bisogno che abbiamo di respirare. Non si volta e non si ferma perché vuole rafforzarci nel santo desiderio che si fa grido, per crescere sino alla fede adulta. E’ Lui che cammina dinanzi a noi proprio quando il coniuge sembra non comprenderci, i figli non ne vogliono sapere, il lavoro si fa pesante; è Lui che, carico della sua Croce, scioglie il nostro grido e lo rende ogni istante più vero.

Proprio quando sembra che si allontani Gesù ci chiama a seguirlo, quando sembra non dare ascolto alle nostre suppliche ci sta attirando nella sua casa, che nella Scrittura significa anche “famiglia”, nell’intimità dei suoi fratelli! I “due” ciechi, infatti, sono immagine di ogni comunità, perché dove due o più sono riuniti nel suo nome Gesù è presente… Non si può seguire e gridare a Gesù da soli; occorre una comunità, come i “due” discepoli di Emmaus, come gli apostoli inviati “due a due” ad evangelizzare.

E’ necessario gridare insieme a nostra moglie, nostro marito, nostro figlio, il fidanzato, nella consapevolezza che ogni relazione autentica nasce dall’umiltà di riconoscersi entrambi ciechi e dal “credere” che Gesù “possa fare” per ciascuno lo stesso miracolo. Così funzionerà un matrimonio, un fidanzamento, un’amicizia, nel grido comune che apre la porta dell’intimità con Cristo, dove essere guariti ed entrare in comunione. Così i “due” ciechi sono entrati nella Chiesa, la casa del Signore, il luogo dove la fede diviene adulta.

Qui si può sperare contro ogni speranza carnale, qui carne e sangue cedono il passo allo Spirito perché ne prenda possesso. Nei due ciechi si riconosce la figura di Tommaso, l’apostolo cieco che non ha visto il Signore perché incapace di credere lontano dalla comunità, mentre quando si ritrova insieme ai fratelli vede aprirsi i suoi occhi, può riconoscere Gesù, credere in Lui, e professare la sua fede. Credere al potere di Gesù è appoggiarsi all’esperienza del cammino di ogni catecumeno che, durante il tempo di preparazione al battesimo, conoscendo se stesso preparava i suoi occhi ad aprirsi attraverso i segni del potere di Gesù: a poco a poco veniva strappato al mondo, alle sue concupiscenze e ai suoi criteri.

I due ciechi non hanno creduto per una magia istantanea: gridando a Gesù dal profondo della propria debolezza, si sono conosciuti e lo hanno conosciuto e seguito sino a confidare pienamente in Lui. 

La fede, infatti, non è un gioco a dadi, non è puntare sulla ruota della fortuna. E’ partire, seguire, gridare, entrare. E’ percorrere un’iniziazione cristiana che, a piccoli passi, renda credibile l’annuncio ricevuto e apra alla confidenza. Dal grido del proprio bisogno, dalla sofferenza e dalla morte di una vita cieca su se stessi, sugli altri e sugli eventi, alla vita piena di chi, appoggiato al potere del Signore, apre gli occhi su tutto riconoscendovi l’amorosa volontà di Dio.

L’Avvento è dunque questo cammino di fede, per giungere a vedere in modo nuovo noi stessi e la nostra storia come un’opera del suo amore. E’ questa la venuta di Gesù nella storia, il Natale che rivela Dio in un bambino appena nato, il suo amore nella debolezza, la sua misericordia nei peccati, il suo potere su ogni cecità. Tutto, infatti, concorre al nostro bene: ogni secondo, ogni evento è un passo di Cristo che viene verso di noi per condurci nel suo cuore misericordioso, la Luce inestinguibile che dirada le tenebre del peccato e della morte: “La Chiesa antica ha qualificato il Battesimo come fotismos, come Sacramento dell’illuminazione, come una comunicazione di luce e l’ha collegato inscindibilmente con la risurrezione di Cristo. Nel Battesimo Dio dice al battezzando: “Sia la luce!”.

In Lui riconosciamo che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è la luminosità e che cosa il buio. Con Lui sorge in noi la luce della verità e cominciamo a capire” (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale, 11 aprile 2009). E questo si tramuta “naturalmente” in annuncio. Guariti da Gesù, i due ciechi non possono trattenere la gioia e l’esperienza della fede. Illuminati divengono luce: Dio ha fatto rifulgere il bagliore pasquale su di loro, sono ormai Luce in Cristo.

Così è la nostra elezione: siamo chiamati a seguire il Signore, a gridare il suo Nome, a sperimentare il suo potere, ad entrare nella sua casa. A crescere nella fede e nella comunione della Chiesa, per vivere spargendo la sua fama in ogni luogo della nostra esistenza, per pura gratitudine, perché è lo stupore che genera la missione e compie nel bene ogni esistenza.

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