Vangelo del giorno – 10 Marzo 2018 – don Antonello Iapicca

L’ESALTAZIONE UMILIATA NELLA VERITA’

Celata dietro il trucco della pietà e dello zelo si nasconde spesso una delle malattie più gravi del nostro spirito: l’esaltazione. Accanto a quella mondana per raggiungere la quale ci spendiamo, vi è infatti l’esaltazione spirituale, un cancro subdolo e aggressivo che ci spinge nell’alienazione.

E’ una delle tante declinazioni della menzogna originale che ci illude di poter diventare come Dio, spingendoci a costruire una torre di Babele con i mattoni delle opere buone, del presenzialismo nel “Tempio”, a volte perfino con la preghiera e i sacrifici. Sì, anche il cristianesimo costruito su un’immaginaria relazione con Gesù può diventare una via attraverso la quale sfuggire alla difficile realtà di ogni giorno.

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Chi vive centrato su stesso come il pubblicano della parabola, “sale al Tempio” esattamente come va in a scuola o in ufficio, per vivere la relazione con Dio in modo analogo al rapporto con chi gli è accanto. Dio e le persone sono solo il suo specchio nel quale ammirarsi per esaltarsi e, di conseguenza, disprezzare e nullificare gli altri. Chi è schiavo del suo ego esaltato dal demonio si trasforma in un pallone gonfiato che, per scappare dalla realtà che contesta l’inganno, deve nutrirsi di esaltazioni.

Ma l’esito di queste sono sempre le amare delusioni che ci sgonfiano gettandoci nello sconforto della frustrazione. Eppure l’unica salvezza per chi “si esalta” è proprio “essere umiliato”, per aprire gli occhi e scoprire di non essere diverso dal “pubblicano” che “non ha neanche coraggio di alzare lo sguardo e si batte il petto” chiedendo a Dio di avere pietà del suo cuore malato. Il vuoto che sperimentiamo al culmine di ogni esaltazione, dopo un esame all’università come dopo un ritiro spirituale, è il sintomo che non siamo fatti per “giustificare” (rendere giusta) la nostra vita con le nostre imprese.

Siamo peccatori, deboli e fragili come una coppa di cristallo, e abbiamo bisogno che Dio ci “giustifichi” in ogni istante, che faccia cioè il miracolo di risuscitarci nel perdono che ci strappa dall’orgoglio per trasformarci in una creatura nuova che si incammina “giustificato” verso “casa sua”, la sua realtà di ogni giorno. Per questo la Quaresima ci invita a vivere nel nuovo Tempio che è il corpo di Cristo nascosti nelle sue ferite gloriose dove ascoltare la sua Parola e nutrirci dei sacramenti che ci uniscono alla sua Pasqua.

Ad accogliere la storia che ci umilia liberandoci dalla falsa esaltazione per abbandonarci, così come siamo, alla misericordia di Dio: “abbi pietà di me peccatore” è la preghiera di chi, stanco di dover essere quello che non è, impara nella Chiesa a camminare nell’umiltà che è la verità, sperando ad ogni passo la Grazia che renda il suo cuore “giusto” e obbediente alla volontà di Dio, capace di “giustificare” gli altri nella stessa Giustizia della Croce che salva lui.

Qui il commento completo

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Lc 18, 9-14
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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