Maria ha già detto sì.
Non chiede prove per credere.
Eppure Dio, che conosce il cuore umano, le offre un segno:
«Ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio».
E Maria si mette in cammino.
Non per verificare Dio,
ma per guardare da vicino le sue promesse che prendono carne.
La fede vera non è cieca:
è una fiducia che desidera vedere Dio all’opera,
che ha fame dei suoi segni,
che non si accontenta di belle parole o intuizioni spirituali.
Maria va da Elisabetta
e, vedendo quel grembo impossibile diventato fecondo,
la fede esplode in canto.
Il Magnificat nasce così:
non da un’idea su Dio,
ma da un Dio che ha mantenuto la parola.
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Maria canta l’onnipotenza di Dio
perché l’ha toccata con mano.
Canta per sé,
per custodire la memoria di ciò che Dio ha fatto in lei.
E canta per il mondo,
perché nessuno pensi che Dio sia lontano, astratto, neutro.
Il Magnificat è un canto scomodo:
rovescia i potenti,
smonta le sicurezze,
smaschera l’orgoglio,
restituisce dignità agli umili.
Maria non canta un Dio spiritualizzato,
ma un Dio che entra nella storia e la ribalta.
Noi diciamo di aver detto sì a Dio,
ma evitiamo di andare a vedere i suoi segni.
Temiamo che ci chiedano di cambiare vita.
Temiamo che confermino che Dio fa sul serio.
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Il Magnificat non è una preghiera da recitare,
ma una vita da assumere.
È il canto di chi ha visto
che Dio è fedele
e non può più tacere.
Chi ha incontrato davvero Dio,
prima o poi, canta.
E il suo canto diventa profezia per il mondo.
A cura di Sr Palmarita Guida della Fraternità Vincenziana Tiberiade
