Il sacerdozio ministeriale

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Il sacerdozio ministeriale

Messaggio al Popolo di Dio

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INTRODUZIONE

Negli ultimi tempi soprattutto dalla fine del Concilio Vaticano II, la Chiesa sta sperimentando un moto di profondo rinnovamento, che è dovere di tutti i cristiani assecondare in atteggiamento di grande letizia e di fedeltà al Vangelo. Ci assiste, infatti, la virtù dello Spirito Santo per dare luce, vigore e compiutezza alla nostra missione.

Ogni rinnovamento, se autentico, apporta indubbiamente dei grandi benefici alla Chiesa. E noi ben sappiamo come, grazie al Concilio recentemente celebrato, i sacerdoti si sentano infiammati di nuovo ardore e, nella loro quotidiana sollecitudine, abbiano dato un notevole contributo nel favorire un tale rinnovamento. Abbiamo davanti agli occhi tanti eroici confratelli, fedeli al loro ministero, i quali, sia tra i popoli dove la Chiesa è duramente oppressa, sia nei territorii di missione, conducono con gioia la vita che a Dio han dedicato. Nello stesso tempo, però, quel rinnovamento comporta alcune difficoltà che tutti i sacerdoti – siano vescovi o presbiteri – avvertono in maniera particolare.

Noi tutti, in questo periodo di trasformazioni, siamo tenuti a scrutare a fondo i segni dei tempi e ad interpretarli alla luce del Vangelo, onde, in unione di forze, possiamo discernere gli spiriti se sono da Dio, perché non sia offuscata da incertezze od equivoci l’unità della missione della Chiesa e non sia impedito da un’eccessiva uniformità il necessario aggiornamento. Così, tutto ben esaminando e ritenendo ciò che è buono, la crisi odierna potrà offrire occasione per incrementare la fede.

Il Santo Padre, in considerazione dell’importanza dell’argomento, ha proposto all’Assemblea Sinodale di questo anno la trattazione del sacerdozio ministeriale e, già prima del Sinodo, molte Conferenze Episcopali hanno approfondito questo tema con i sacerdoti e, spesso, anche con i laici. Al Sinodo, poi, sono stati invitati, in qualità di ” adiutores “, alcuni presbiteri, per essere a disposizione dei Vescovi nel dibattito delle rilevanti questioni.

Noi intendiamo adempiere il mandato, che ci è stato affidato, con quello stile di semplicità evangelica quale conviene ai Pastori che servono la Chiesa. Valutando la nostra responsabilità davanti alla fraterna comunità della Chiesa, desideriamo confermare la fede, rianimare la speranza e riscaldare la carità dei nostri fratelli nel sacerdozio ministeriale e di tutti quanti i cristiani. Possano le nostre parole recare conforto e rinnovare la gioia del Popolo di Dio e dei sacerdoti, che si dedicano al suo servizio!

Descrizione della situazione

L’ampiezza della missione della Chiesa è stata abbastanza diffusamente illustrata dal Concilio Vaticano II, e la natura delle sue relazioni con il mondo è stata, anzi, oggetto, in maniera particolare, della Costituzione pastorale Gaudium et spes. Dall’approfondita considerazione di questa materia son derivati non pochi frutti: si comprende meglio come la salvezza non sia qualcosa di astratto tale da essere, si direbbe, una categoria fuori della storia o del tempo, ma che essa proviene da Dio e deve, quindi, concretamente raggiungere tutto l’uomo e tutta la storia dell’umanità, e condurli liberamente al Regno di Dio, onde finalmente Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28).

Tuttavia – come si può facilmente comprendere – sono sorte anche delle difficoltà: alcuni sacerdoti si sentono estranei di fronte ai movimenti, che interessano i vari raggruppamenti umani, ed incapaci di risolvere i problemi cui gli uomini sono vivamente interessati. Spesso i problemi ed i turbamenti dei presbiteri derivano anche dal fatto che, nella loro sollecitudine pastorale e missionaria, debbono far fronte alla mentalità moderna servendosi di metodi che al presente sono forse superati. Sorgono allora gravi problemi e numerosi interrogativi, soprattutto per le reali difficoltà, che i presbiteri sperimentano nell’esercizio stesso del loro ministero, e non per uno spirito di aspra contestazione o per egoistiche preoccupazioni personali, il che è vero in qualche caso. E’ possibile stimolare i laici, per così dire, dal di fuori? E’ o non è la Chiesa sufficientemente presente in alcuni raggruppamenti senza la presenza attiva del presbitero? Se poi la condizione propria del presbitero è quella di essere segregato dalla vita secolare, non è preferibile allora la condizione laicale? Che cosa si deve pensare del celibato sacerdotale della Chiesa latina nelle attuali circostanze, e che cosa della vita spirituale, propria del presbitero, che è immerso nel mondo?

Non pochi sacerdoti, sentendo riecheggiare in se stessi le contestazioni nate dal fenomeno della secolarizzazione, avvertono l’esigenza di santificare, esercitandole direttamente, le attività profane e di introdurre il fermento del Vangelo nel corso stesso degli avvenimenti. Analogamente, si coltiva il desiderio di collaborare alle iniziative collettive degli uomini, al fine di costruire una società più giusta e più fraterna. In un mondo, in cui sono evidenti le implicazioni politiche di quasi tutti i problemi, alcuni ritengono come indispensabile una loro partecipazione alla vita politica, e addirittura all’azione rivoluzionaria.

Il Concilio ha sottolineato la preminenza della proclamazione del vangelo, la quale, attraverso la fede, deve condurre alla pienezza della celebrazione dei Sacramenti; senonché, le moderne concezioni intorno al fenomeno religioso alimentano, nella coscienza di molti, dei dubbi circa il significato del loro ministero sacramentale e cultuale. Moltissimi sacerdoti, che non soffrono nessuna crisi per la loro identità, si pongono, invece, un’altra questione: di quali mezzi, in concreto, si devono servire perché l’attività sacramentale sia espressione di una fede che davvero permei tutta la vita personale e sociale, di modo che il culto cristiano non si riduca vanamente ad un ritualismo esteriore?

I sacerdoti, essendo molto attenti a quella che sembra essere l’immagine che la Chiesa offre di se stessa al mondo ed avendo una forte coscienza della singolare dignità della persona umana, desiderano introdurre, all’interno stesso della Chiesa, un cambiamento nelle relazioni tra le persone, tra queste e le istituzioni, e nelle strutture stesse dell’autorità.

Anche le relazioni tra i vescovi e i presbiteri, e dei presbiteri tra di loro, diventano tanto più difficili quanto più si fa diverso l’esercizio del loro ministero. In effetti, la società moderna si articola in molti raggruppamenti, i quali si basano su discipline diverse che richiedono varietà nelle competenze e nelle forme di apostolato. Da questo nascono i problemi relativi alla fraternità, all’intima unione e coerenza nel ministero sacerdotale.

Molto opportunamente il recente Concilio ha richiamato la feconda dottrina tradizionale in merito al sacerdozio comune dei fedeli. Ma anche da qui, per una sorta di moto pendolare, sorgono alcune questioni, che danno l’impressione di offuscare la condizione del ministero sacerdotale nella Chiesa, e che turbano profondamente l’animo di alcuni sacerdoti e fedeli. Molte attività, che un tempo erano riservate ai presbiteri – ad esempio l’attività catechetica, l’attività amministrativa nelle comunità e addirittura quella liturgica – oggi sono spesse volte esercitate dai laici, mentre molti sacerdoti, al contrario, per motivi sopra ricordati cercano di inserirsi nella condizione della vita laicale. Da questa realtà derivano in alcuni numerose questioni: Esiste o non esiste un elemento specifico nel ministero sacerdotale? E’ necessario questo ministero? E’ vero che il sacerdozio, di per sé, non può andare perduto? Che cosa significa, oggi, essere presbitero? Non potrebbe essere sufficiente disporre, per il servizio delle Comunità cristiane, di presidenti designati per garantire il bene comune, pur senza avere l’ordinazione sacramentale, e che esercitano il loro ufficio a tempo determinato?

Si pongono questioni ancora più gravi, derivate in parte dalle ricerche esegetiche e storiche, che rivelano una crisi di fiducia verso la Chiesa: Non è la Chiesa di oggi troppo lontana dalle sue origini per potere annunciare, in maniera credibile, l’antico Vangelo agli uomini del nostro tempo? E’ ancora possibile accedere alla realtà del Cristo, dopo che sono state compiute tante indagini critiche? Conosciamo noi abbastanza le strutture essenziali della Chiesa primitiva, sicché possano e debbano esser considerate come schema invariabile per tutti i secoli, anche per il nostro?

Le questioni anzidette, che in parte son nuove ed in parte erano già note da tempo, ma che si presentano oggi in forma nuova, non possono esser comprese fuori dal contesto globale della cultura moderna, la quale dubita molto del suo stesso significato e valore. I nuovi ritrovati della tecnica suscitano speranze eccessivamente entusiastiche ed insieme profonde ansietà. Ci si domanda, giustamente, se l’uomo potrà essere capace di dominare la sua opera e di indirizzarla verso il progresso.

Alcuni, soprattutto i più giovani, hanno una concezione pessimistica intorno al significato di questo mondo e cercano salvezza in sistemi puramente meditativi, o in paradisi artificiali e appartati, estraendosi da quello che è lo sforzo comune dell’umanità.

Altri, animati da una grande speranza utopistica senza alcun riferimento a Dio, si impegnano nella conquista di uno stato di liberazione totale e trasferiscono dal presente al futuro il significato di tutta la loro personale esistenza. In tal modo, risultano profondamente scompaginate l’azione e la contemplazione, il lavoro e lo svago, la cultura e la religione, l’aspetto immanente e quello trascendente della vita umana. E’ così che il mondo stesso oscuramente si attende la soluzione di questo dilemma e prepara la strada, lungo la quale può procedere la Chiesa che annunzia il Vangelo.

Nessun dubbio che ad offrirsi come unica ed integrale salvezza per gli uomini sia Cristo stesso, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, che attraverso la Chiesa si rende presente nella storia: è lui infatti che indissolubilmente collega tra loro la carità verso Dio, la carità inesauribile di Dio per gli uomini, che tra le tenebre sono alla ricerca della via, ed il valore dell’amore umano, per il quale si dà la vita per i propri amici. In Cristo, e non altri che in Cristo, tutti questi elementi formano una cosa sola, ed è una sintesi, questa, in cui in definitiva si rivela chiaramente il significato della vita umana, sia individuale che sociale. Pertanto, la missione della Chiesa, che è il corpo di Cristo, non è in alcun modo superata, ed appare, piuttosto, di estrema attualità per il tempo presente e futuro; tutta quanta la Chiesa si pone come testimone e segno efficace di questa unione, e ciò in particolar modo mediante il ministero sacerdotale. E’, infatti, funzione propria del ministro, nel cuore della Chiesa, quella di render presente l’amore di Dio in Cristo per noi mediante la parola e il sacramento, ed insieme di suscitare la comunione degli uomini con Dio e tra loro. Tutte cose, queste, che evidentemente esigono da tutti, specialmente da noi che compiamo il sacro ministero, l’impegno di rinnovarsi ogni giorno secondo il Vangelo.

Sappiamo bene che esistono regioni del mondo, nelle quali fino ad ora meno si avverte quella profonda trasformazione culturale, e che le questioni, che sono state sopra richiamate, non si pongono dappertutto, né da parte di tutti i sacerdoti, né dallo stesso punto di vista. Ma poiché oggi le comunicazioni, a livello degli uomini e dei popoli, sono diventate più frequenti ed avvengono con tanta rapidità, noi riteniamo giusto e opportuno di esaminare, alla luce della fede, queste questioni e di prospettare umilmente, con la forza che ci viene dallo Spirito Santo, alcuni principi per trovare, ad esse, più concrete risposte. Anche se tale risposta dovrà essere applicata in modo diverso secondo le circostanze di ciascuna regione, essa avrà tuttavia valore di verità per tutti i fedeli ed i sacerdoti, i quali sono in condizione di maggiore tranquillità. Perciò, nel desiderio vivissimo di confermare la testimonianza della fede, esortiamo fraternamente tutti i fedeli cristiani, perché si sforzino di guardare al Signore Gesù vivente nella sua Chiesa e comprendano che egli vuole operare, in maniera speciale, attraverso i suo ministri. Ne ricaveranno così il convincimento che la comunità cristiana non può adempiere pienamente la sua missione senza il ministero sacerdotale. E sappiano i sacerdoti che i Vescovi realmente condividono le loro ansietà e vogliono più ancora condividerle.

Spinti da questo desiderio, i Padri Sinodali, nello spirito del Vangelo, seguendo fedelmente la dottrina del Concilio Vaticano II e tenendo anche presenti i documenti e le allocuzioni del Sommo Pontefice Paolo VI, intendono esporre brevemente alcuni punti fondamentali della dottrina della Chiesa intorno al sacerdozio ministeriale, oggi particolarmente urgenti, nonché alcuni orientamenti che riguardano l’attività pastorale.

Parte Prima

PRINCIPI DOTTRINALI

Cristo Alfa ed Omega

1. Gesù Cristo, figlio di Dio e Verbo, che il Padre ha santificato ed inviato nel mondo (Gv 10,36), segnandolo con la pienezza dello Spirito Santo (cf Lc 4,1.18-21; At 10,38), ha recato nel mondo l’annuncio del Vangelo della riconciliazione tra Dio e gli uomini. La sua predicazione profetica, confermata attraverso i miracoli, raggiunge il suo culmine nel mistero pasquale, che è la parola suprema dell’amore divino col quale il Padre ha voluto parlarci. Fu nella Croce che Gesù si dimostrò, nella forma massima, come il buon Pastore, il quale diede la propria vita per le sue pecorelle per riunirle in quell’unità che trova in Lui il suo fondamento (cf Gv 10,15ss; 11,52). Esercitando il sommo ed unico sacerdozio mediante l’offerta di se stesso, egli superò, dandovi compimento, tutti i sacerdozi rituali e i sacrifici dell’Antico Testamento, anzi anche quelli pagani.

el suo sacrificio egli assunse le miserie ed i sacrifici degli uomini di tutte le età, ed anche i tentativi di coloro che soffrono per la giustizia, o sono ogni giorno angustiati da una sorte infelice, nonché gli sforzi di coloro che, avendo abbandonato il mondo, cercano di raggiungere Dio per mezzo dell’ascesi e della contemplazione, e le fatiche di quanti spendono con sincerità di cuore la propria vita per una migliore società presente e futura. Egli portò sulla croce i peccati di tutti noi e, risorgendo da morte e costituito Signore, ci riconciliò con Dio e gettò le fondamenta del Popolo della Nuova Alleanza, cioè della Chiesa. Egli è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo uomo (1 Tm 2,5), in Lui tutte quante le cose sono state create (Col 1,16; cf Gv 1,3ss),

ed in Lui tutte le cose sono ricondotte ad un unico capo (Ef 1,10). Essendo Egli l’immagine del Padre e la manifestazione dell’invisibile Iddio (cf Col 1,15), mediante il suo annientamento e la sua esaltazione ci ha introdotti nella comunione dello Spirito Santo, da Lui stesso vissuta insieme col Padre.

Quando perciò parliamo del sacerdozio di Cristo, bisogna tener ben presente la realtà unica, incomparabile, che include in se stessa la funzione profetica e regale dell’Incarnato Verbo di Dio.

Così Gesù Cristo esprime e manifesta in molti modi la presenza e l’efficacia dell’amore preveniente di Dio. Lo stesso Signore, con l’influsso che stabilmente esercita sulla Chiesa per mezzo del suo Spirito, suscita e promuove la risposta di tutti gli uomini, che si offrono a questo gratuito amore.

L’accesso a Cristo nella Chiesa

2. Il contatto con la persona e col mistero di Cristo avviene sempre nello Spirito Santo attraverso le Scritture, che siano comprese nella Tradizione viva della Chiesa. Tutte le Scritture, specialmente quelle del Nuovo Testamento, si devono interpretare come fra di sé intimamente collegate e reciprocamente coordinate nell’unità della loro ispirazione. Né i libri del Nuovo Testamento hanno un peso tanto diverso, che alcuni di essi possano essere ridotti a mere invenzioni di età più tardiva.

Il personale e immediato rapporto con Cristo nella Chiesa deve, anche per il fedele di oggi, rappresentare il sostegno di tutta la sua vita spirituale.

La Chiesa da Cristo attraverso gli Apostoli

3. Cristo annunciò che avrebbe edificato la sua Chiesa su Pietro e la fondò sopra gli Apostoli, nei quali si manifesta il suo duplice aspetto: nel collegio dei dodici Apostoli è già presente sia la comunione nello Spirito, sia l’origine del ministero gerarchico. Per questo gli scritti del Nuovo Testamento parlano della Chiesa fondata sopra gli Apostoli (cf Ap 21,14; Mt 16,18), e questa realtà è così concisamente espressa dall’antica tradizione: ” Le Chiese dagli Apostoli, gli Apostoli da Cristo, Cristo da Dio “.

Ora la Chiesa fondata sopra gli Apostoli ed inviata nel mondo, nel quale è pellegrina, è stata appunto istituita per essere il sacramento di quella salvezza che, partendo da Dio, giunge in Cristo fino a noi. In essa Cristo è presente e agisce nel mondo come Salvatore, in modo che l’amore offerto da Dio agli uomini e la risposta di questi si armonizzino a vicenda. Lo Spirito Santo suscita nella Chiesa e per mezzo di essa slanci di generosa libertà, per i quali l’uomo partecipa alla stessa opera della creazione e della redenzione.

Origine e natura del ministero gerarchico

4. La Chiesa, dotata di una compagine organica per mezzo del dono dello Spirito, partecipa in modi diversi agli uffici di Cristo Sacerdote, Profeta e Re, per adempiere, in suo nome e per sua virtù, come popolo sacerdotale, la missione della salvezza.

Dagli scritti del Nuovo Testamento risulta chiaramente che sono elementi propri dell’originaria struttura inalienabile della Chiesa l’Apostolo e la Comunità dei fedeli, che si corrispondono tra loro in mutua connessione, sotto il Cristo Capo e l’influsso del suo Spirito. Ed infatti i dodici Apostoli esercitarono la loro missione e i loro uffici, e ” non solo ebbero vari collaboratori nel ministero (cf At 6,2-6; 11,30; 13,1; 14,23; 20,17; 1 Ts 5,12-13; Fil 1,1; Col 4,11 e passim), ma perché la missione ad essi affidata venisse continuata dopo la loro morte, quasi in forma di testamento demandarono ai loro immediati cooperatori il compito di completare e consolidare l’opera da essi stessi inizia- ta (cf At 20,25-27; 2 Tm 4,6; cf anche 1 Tm 5,22; 2 Tm 2,2; Tt 1,5; S. Clemente Rom., Ad Cor. 44,3), raccomandando loro di attendere a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cf At 20,28). Essi prescelsero tali uomini e successivamente diedero disposizione che, quando essi fossero morti, altri uomini di provata capacità subentrassero al posto loro nel ministero (cf S. Clemente Rom., Ad Cor. 44,2) “.

Le lettere di San Paolo dimostrano che Paolo è consapevole di operare per missione e per mandato di Cristo (cf 2 Cor 5,18ss). I poteri, affidati all’Apostolo per il bene delle Chiese, venivano trasmessi ad altri, in quanto comunicabili (cf 2 Tm 1,6), i quali a loro volta erano tenuti a trasmetterli ad altri ancora (cf Tt 1,5).

Quella struttura essenziale della Chiesa, in quanto costituita dal gregge e dai pastori espressamente deputati (cf 1 Pt 5,1-4), è stata sempre e resta normativa secondo la Tradizione della Chiesa stessa; proprio per tale struttura avviene che la Chiesa non può mai rimanere chiusa in se stessa, ed è sempre soggetta a Cristo come alla propria sua origine ed al suo Capo.

Fra i diversi carismi e servizi un solo ministero sacerdotale del Nuovo Testamento, che continua l’ufficio di Cristo mediatore, ed è distinto essenzialmente e non solo per grado dal sacerdozio comune di tutti i fedeli, rende perenne l’opera essenziale degli Apostoli: infatti col proclamare efficacemente il Vangelo, col congregare e guidare la comunità, col rimettere i peccati e soprattutto con la celebrazione eucaristica, rende presente Cristo Capo della comunità nell’esercizio della sua opera dell’umana redenzione e della perfetta glorificazione di Dio.

Effettivamente, i Vescovi e, in grado subordinato, i presbiteri, in forza del sacramento dell’Ordine, che conferisce loro l’unzione dello Spirito Santo e li configura a Cristo, diventano partecipi delle funzioni di santificare, di insegnare e di governare, il cui esercizio viene più precisamente determinato dalla comunione gerarchica.

Il ministero sacerdotale raggiunge il suo culmine nella celebrazione dell’Eucaristia, che è la fonte ed il centro dell’unità della Chiesa. Solo il sacerdote è in grado di agire ” in persona Christi ” nel presiedere e nel compiere il convito sacrificale, nel quale il Popolo di Dio viene associato all’oblazione di Cristo.

Il sacerdote è il segno del divino e preveniente disegno, che oggi è proclamato ed è efficace nella Chiesa. Egli rende presente sacramentalmente Cristo, Salvatore di tutto l’uomo, tra i fratelli e, precisamente, tanto nella loro vita personale quanto in quella sociale. Egli è garante tanto della prima proclamazione del Vangelo affinché si raduni la Chiesa, quanto dell’instancabile rinnovamento della Chiesa, già radunata. Mancando la presenza e l’azione di quel ministero che si riceve mediante l’imposizione delle mani e con la preghiera, la Chiesa non può avere la piena certezza della propria fedeltà e della propria continuità visibile.

Permanenza del sacerdozio

5. Attraverso l’imposizione delle mani viene comunicato il dono indelebile dello Spirito Santo (cf 2 Tm 1,6). Tale realtà configura e consacra a Cristo sacerdote il ministro ordinato e lo rende partecipe della missione di Cristo nel suo duplice aspetto, di autorità e di servizio. Questa autorità non è propria del ministro: essa è, infatti, la manifestazione della ” exousía “, cioè della potestà del Signore, in virtù della quale il sacerdote svolge il ruolo di ambasciatore nell’opera escatologica della riconciliazione (cf 2 Cor 5,18-20). Egli serve, inoltre, a far rivolgere verso Dio le libertà umane per l’edificazione della comunità cristiana.

La permanenza per tutta la vita di questa realtà che imprime un segno, la quale è dottrina di fede e, nella tradizione della Chiesa, prende il nome di carattere sacerdotale, serve ad esprimere il fatto che Cristo si è associata irrevocabilmente la Chiesa per la salvezza del mondo, e che la Chiesa stessa è consacrata a Cristo in modo definitivo, affinché la sua opera abbia compimento. Il ministro, la cui vita reca il suggello del dono ricevuto attraverso il sacramento dell’Ordine, ricorda alla Chiesa che il dono di Dio è definitivo. In mezzo alla comunità cristiana, che vive dello Spirito, egli, nonostante le proprie deficienze, è il pegno della presenza salvifica di Cristo.

Tale particolare partecipazione al sacerdozio di Cristo non va in nessun modo perduta, anche se il sacerdote, per motivi ecclesiali o personali, venga dispensato o rimosso dall’esercizio del suo ministero.

Al servizio della comunione

6. Il sacerdote, sebbene il suo ministero si eserciti in una comunità particolare, non può tuttavia essere esclusivamente dedito ad un singolo gruppo di fedeli. In effetti, il suo ministero tende sempre all’unità di tutta quanta la Chiesa ed a riunire, in essa, tutte le genti. Qualsiasi comunità singola di fedeli ha bisogno della comunione col Vescovo e con la Chiesa universale. In questo modo, anche il ministero sacerdotale è essenzialmente comunitario nel presbiterio e col Vescovo, il quale, conservando la comunione col Successore di Pietro, resta inserito nel Collegio episcopale. Ciò vale anche per i sacerdoti, che non siano immediatamente dediti al servizio di una comunità, o di quelli che lavorano in territori lontani e isolati. Anche i sacerdoti religiosi, nel contesto del fine e della struttura particolare del loro Istituto, sono indissolubilmente inseriti nella missione, ecclesialmente stabilita.

Tutta la vita e l’attività del presbitero sia imbevuta dello spirito di cattolicità, cioè del senso della missione universale della Chiesa, di modo che egli riconosca di buon grado tutti i doni dello Spirito, apra ad essi lo spazio della libertà e li indirizzi al bene comune.

Seguendo l’esempio di Cristo, i presbiteri coltivino la fraternità col Vescovo e tra di loro, fraternità fondata sull’ordinazione e sull’unità di missione, affinché la testimonianza sacerdotale diventi maggiormente credibile.

Il sacerdote e le realtà temporali

7. Ciascuna iniziativa veramente cristiana è ordinata alla salvezza degli uomini, la quale, avendo una indole escatologica, abbraccia anche le cose temporali: infatti, ogni realtà di questo mondo deve essere sottomessa al dominio di Cristo, il che, tuttavia, non significa che la Chiesa debba rivendicare a sé una competenza tecnica nell’ordine secolare, trascurando la sua autonomia.

La missione propria del sacerdote, come anche della Chiesa, che Cristo gli ha affidato, non è di ordine politico, economico o sociale, ma religioso; tuttavia, nella linea del suo ministero, egli può dare un grande contributo all’instaurazione di un ordine secolare più giusto, là specialmente ove i problemi umani dell’ingiustizia e della oppressione sono più gravi, mantenendo sempre intatta però la comunione ecclesiale ed escludendo la violenza, sia nelle parole sia nei fatti, perché non è evangelica.

In verità, la parola del Vangelo che egli annuncia nel nome di Cristo e della Chiesa, e la grazia efficace della vita sacramentale, che egli amministra, devono liberare l’uomo dai suoi egoismi personali e sociali, e promuovere tra gli uomini condizioni tali di giustizia, che siano segno della carità di Cristo, presente in mezzo a noi.

Seconda Parte

ORIENTAMENTI PER LA VITA E PER IL MINISTERO SACERDOTALE

Considerando la missione sacerdotale alla luce del Mistero di Cristo e della comunione della Chiesa, i Padri Sinodali, in unione col Romano Pontefice, consapevoli delle ansie che i Vescovi e i presbiteri oggi provano a motivo delle difficoltà nell’esercizio del comune ufficio, presentano i seguenti orientamenti per chiarire alcune questioni per dare conforto al loro animo.

  1. I Presbiteri nella missione di Cristo e della Chiesa

1. La missione: evangelizzazione e vita sacramentale

a) ” I presbiteri del Nuovo Testamento, in forza della propria vocazione e della propria ordinazione, sono in un certo modo segregati in seno al Popolo di Dio, ma non per rimanere separati da questo stesso Popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all’opera, per la quale il Signore li ha assunti “. Pertanto, i presbiteri trovano la propria identità, in quanto vivono pienamente la missione della Chiesa e la esercitano, in modi diversi, nella comunione con l’intero Popolo di Dio, come pastori e ministri del Signore, nello Spirito, per realizzare con la loro opera il piano della salvezza nella storia. ” E poiché i presbiteri mediante il loro proprio ministero – che consiste soprattutto nell’Eucaristia, la quale forma la Chiesa – entrano in comunione con Cristo Capo ed a questa comunione conducono le anime, non possono non avvertire quanto ancora manchi alla pienezza del suo Corpo e quanto, quindi, si debba compiere perché esso cresca sempre più “.

b) I presbiteri sono inviati a tutti gli uomini, e la loro missione deve iniziare dalla predicazione della Parola di Dio. ” I presbiteri… hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio… Difatti, in virtù della parola salvatrice, la fede è accesa nel cuore dei non credenti ed è alimentata nel cuore dei credenti “. L’evangelizzazione è ordinata a far sì ” che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio in seno alla Chiesa, prendano parte al Sacrificio e mangino la cena del Signore “. Il ministero della Parola, se rettamente compreso, porta ai Sacramenti e alla vita cristiana, quale viene praticamente vissuta nella comunità visibile della Chiesa e nel mondo.

Difatti i Sacramenti vengono celebrati in collegamento con la proclamazione della Parola di Dio e così sviluppano la fede, corroborandola mediante la grazia. I Sacramenti non possono, perciò, essere sottovalutati, poiché, per loro mezzo, la parola giunge al suo effetto più pieno, cioè alla comunione del mistero di Cristo. I sacerdoti, anzi, devono adempiere il loro ufficio in modo che i fedeli ” si accostino con somma diligenza a quei Sacramenti, che sono destinati a nutrire la vita cristiana.

Ma l’evangelizzazione permanente e l’ordinata via sacramentale della comunità richiedono, per loro natura, la diaconia dell’autorità, cioè il servizio dell’unità e la presidenza della comunità nella carità. In tal modo, il rapporto reciproco che lega tra loro l’evangelizzazione e la celebrazione dei Sacramenti appare evidente nella missione della Chiesa. Una divisione tra l’una e l’altra attività dividerebbe il cuore della Chiesa stessa fino a mettere in pericolo la fede: così facendo, il presbitero, che è destinato al servizio dell’unità nella comunità, introdurrebbe una grave stortura nel suo ministero.

L’unità tra l’evangelizzazione e la vita sacramentale è sempre propria del sacerdozio ministeriale, e deve essere tenuta attentamente presente da ogni presbitero. Ma l’applicazione di questo principio alla vita e al ministero dei singoli va fatta con discrezione, in quanto l’esercizio del ministero sacerdotale deve spesso assumere in pratica forme diverse, per poter meglio rispondere alle situazioni particolari o nuove, nelle quali bisogna annunciare il Vangelo.

c) Sebbene la pedagogia della fede esiga che l’uomo sia gradualmente iniziato alla vita cristiana, tuttavia il Vangelo dev’essere sempre integralmente annunciato dalla Chiesa al mondo. Qualsiasi presbitero partecipa ad una speciale responsabilità nella predicazione di tutta la Parola di Dio e della sua interpretazione secondo la fede della Chiesa.

La proclamazione della Parola di Dio, che è l’annuncio, nella virtù dello Spirito, delle meraviglie operate da Dio ed è la chiamata degli uomini a partecipare al mistero pasquale e ad introdurlo come fermento nella storia concreta degli uomini, è azione di Dio, nella quale la virtù dello Spirito Santo raduna la Chiesa all’interno e all’esterno. Il ministro della Parola con l’evangelizzazione prepara le vie del Signore con grande pazienza e fede, adattandosi alle diverse condizioni della vita dei singoli e dei popoli, la quale si evolve più o meno rapidamente.

Spinta dalla necessità di aver riguardo agli aspetti sia personali che sociali dell’annuncio evangelico al fine di poter per ciò stesso rispondere ai problemi più fondamentali degli uomini, la Chiesa non solo predica ai singoli uomini che si convertano a Dio, ma, per quanto può, quasi come coscienza della società, si rivolge anche e parla a questa stessa società e adempie nei suoi confronti una funzione profetica, sempre preoccupandosi del suo proprio rinnovamento.

Per quanto, poi, concerne le esperienze della vita sia degli uomini in genere sia dei presbiteri, le quali devono essere tenute presenti e sempre interpretate alla luce del Vangelo, esse non possono essere né l’unica né la principale norma della predicazione.

d) La salvezza, che si opera attraverso i Sacramenti, non proviene da noi, ma discende da Dio, e ciò dimostra il primato dell’azione di Cristo, unico Sacerdote e Mediatore, nel suo corpo che è la Chiesa.

Poiché i Sacramenti sono in realtà sacramenti della fede, esigono una partecipazione consapevole e libera da parte di qualsiasi cristiano, che ha l’uso di ragione. Da questo si deduce chiaramente la grande importanza della preparazione e della disposizione alla fede per colui che riceve i Sacramenti; da questo si comprende anche la necessità della testimonianza della fede del ministro in tutta la sua vita, ma soprattutto nel modo di valutare e di celebrare gli stessi Sacramenti.

Ai Vescovi e _ nei casi previsti dal diritto _ alle Conferenze Episcopali è affidato il compito, secondo le norme fissate dalla Santa Sede, di promuovere autenticamente l’attività pastorale e il rinnovamento liturgico, che più si adattino a ciascuna regione, e anche di determinare i criteri circa l’ammissione ai Sacramenti. Tali criteri, che i presbiteri hanno il dovere di applicare, debbono altresì essere spiegati ai fedeli, in modo che colui che chiede un Sacramento sia maggiormente consapevole della propria responsabilità.

I presbiteri, coscienti del loro compito di riconciliare tutti gli uomini nell’amore di Cristo, e badando attentamente ai pericoli di scissioni, si adoperino con grande prudenza e carità pastorale per formare delle comunità imbevute di zelo apostolico, le quali rendano presente dappertutto lo spirito missionario della Chiesa. Le piccole comunità, che non si contrappongono alla struttura parrocchiale o diocesana, devono talmente inserirsi nella comunità parrocchiale e diocesana da essere al suo servizio come un fermento di spirito missionario. La necessità di rinvenire forme adatte perché sia portato efficacemente l’annuncio evangelico a tutti gli uomini secondo le diverse circostanze in cui si trovano, offre spazio per l’esercizio multiforme di ministeri inferiori al presbiterato.

2. Attività profane e politiche

a ) Il ministero sacerdotale, anche se viene paragonato con le altre attività, deve essere non soltanto considerato come un’attività più eccellente delle altre, benché questo suo ricco valore si possa pienamente comprendere soltanto alla luce della fede. Pertanto, come norma ordinaria, si deve attribuire tempo pieno al ministero sacerdotale. Per nulla, infatti, è da considerare quale fine principale la partecipazione alle attività secolari degli uomini, né può essa bastare ad esprimere la specifica responsabilità dei presbiteri. Questi, pur senza essere del mondo e senza prenderlo come esemplare, devono tuttavia vivere nel mondo, ponendosi come testimoni e dispensatori dell’altra vita.

Per determinare, nelle circostanze concrete, quale convenienza vi sia tra le attività profane ed il ministero sacerdotale, bisogna chiedersi se e come quelle funzioni e attività servano sia alla missione della Chiesa, sia agli uomini non ancora evangelizzati, sia, infine, alla comunità cristiana, a giudizio del Vescovo locale col suo presbiterio, e dopo aver consultato, in quanto è necessario, la Conferenza Episcopale.

Quando codeste attività, ordinariamente di spettanza dei laici, siano richieste dalla stessa missione evangelizzatrice del presbitero, devono essere poste in armonia con le altre attività di ministero, dal momento che si possono considerare, in quelle circostanze, come modalità necessarie di un vero ministero.

b ) I presbiteri, unitamente a tutta quanta la Chiesa, sono obbligati a scegliere, nella misura massima delle loro forze, una ben determinata linea di agire, quando si tratta di difendere i diritti fondamentali dell’uomo, di promuovere integralmente lo sviluppo delle persone, di favorire la causa della pace e della giustizia, e – beninteso – con i mezzi che siano sempre in accordo col Vangelo. Tutto ciò ha valore nell’ambito non soltanto individuale, ma anche sociale; di conseguenza, i presbiteri aiutino i laici nello sforzo di formare rettamente la loro coscienza.

In quelle circostanze, in cui diverse scelte politiche o sociali o economiche siano legittime, i presbiteri, come tutti i cittadini, hanno il diritto di fare le proprie scelte. Dato però che le scelte politiche, di per sé, sono contingenti e non interpretano mai in forma del tutto adeguata e perenne il Vangelo, il presbitero, che è testimone delle realtà future, deve mantenere una certa distanza da qualsiasi incarico o passione politica.

Per restare, però, un segno valido di unità ed essere in grado di annunciare il Vangelo nella sua pienezza, il presbitero può talvolta essere obbligato ad astenersi in questo campo dall’esercizio del proprio diritto. Inoltre, occorre far sì che la sua scelta non appaia ai cristiani come l’unica legittima, né diventi un motivo di scissioni tra i fedeli. I presbiteri tengano ben presente la maturità dei laici, che dev’essere grandemente stimata, quando si tratta della loro specifica sfera di azione.

L’assumere una funzione direttiva (leadership), o il militare attivamente in favore di un qualche partito politico dev’essere escluso da ogni presbitero, a meno che, in circostanze concrete ed eccezionali, ciò sia realmente richiesto dal bene della comunità, comunque col consenso del Vescovo, dopo aver consultato il Consiglio Presbiterale e, se è necessario, la Conferenza Episcopale.

Dev’essere, dunque, tenuta sempre presente la priorità della missione specifica, che impegna l’intera esistenza dei presbiteri, in modo che essi, facendo, con grande fiducia, la rinnovata esperienza delle cose che sono in Dio, possano efficacemente e gioiosamente annuciarle agli uomini, che appunto le aspettano.

3. Vita spirituale dei Presbiteri

Ogni sacerdote troverà nella sua stessa vocazione e nel suo ministero la ragione profonda per poter condurre la sua vita nell’unità e nel vigore dello spirito. Essendo, infatti, chiamato, come anche gli altri battezzati, ad essere conforme a Cristo (cf Rm 8,29), il presbitero partecipa inoltre, in modo speciale, come i Dodici, all’intimità con Cristo e alla sua missione di supremo Pastore: ” Egli costituì i Dodici, perché stessero con lui, e per mandarli a predicare ” (Mc 3,14). Nella vita sacerdotale non può esistere, pertanto, frattura tra l’amore di Cristo e lo zelo per le anime.

Come Cristo, unto dallo Spirito Santo, fu spinto dal suo profondo amore per il Padre a dare la propria vita per gli uomini, così il presbitero, consacrato dallo Spirito Santo e convenientemente configurato a Cristo sacerdote, si dedica all’opera del Padre, compiuta per mezzo del Figlio. E perciò la norma della vita sacerdotale è espressa, in sintesi, nelle parole di Gesù: ” Per essi io consacro me stesso, affinché siano anch’essi consacrati nella verità ” (Gv 17,19).

Sull’esempio, dunque, di Cristo, il quale era continuamente in preghiera, e per l’impulso dello Spirito Santo, nel quale gridiamo ” Abba, Padre “, i presbiteri devono darsi alla contemplazione della Parola di Dio e prenderne ogni giorno occasione per giudicare gli avvenimenti della vita alla luce del Vangelo, cosicché, rendendosi ascoltatori fedeli e attenti del Verbo, diventino ministri credibili della parola; siano assidui nella preghiera personale, nella Liturgia delle Ore, nell’uso abbastanza frequente del Sacramento della Penitenza, e soprattutto nella devozione verso il mistero dell’Eucaristia. La celebrazione eucaristica, sebbene possa avvenire senza la partecipazione dei fedeli, rimane tuttavia il centro della vita di tutta la Chiesa e il cuore dell’esistenza sacerdotale.

Con la mente rivolta alle cose celesti e partecipe della comunione dei Santi, il presbitero guardi molto spesso a Maria, Madre di Dio, la quale accolse il Verbo di Dio con fede perfetta, e la invochi ogni giorno per ottenere la grazia di conformarsi al suo Figlio.

Le attività apostoliche, dal canto loro, offrono un alimento indispensabile per il nutrimento della vita spirituale del presbitero: ” Rappresentando il Buon Pastore, nello stesso esercizio pastorale della carità troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale, che realizzerà l’unità nella loro vita e attività “. Difatti il presbitero, nell’esercizio del suo ministero, viene illuminato e rinvigorito dall’azione della Chiesa e dall’esempio dei fedeli. Le rinunce, imposte dalla stessa vita pastorale, lo aiutano sempre ad acquistare una più profonda partecipazione alla croce di Cristo e, quindi, a raggiungere una carità pastorale più pura.

La stessa carità dei presbiteri determinerà anche come adattare la loro vita spirituale a modi e a forme di santificazione, che più siano adatte e rispondenti agli uomini del proprio tempo e della propria cultura. Il sacerdote, desiderando di farsi tutto a tutti, per tutti fare salvi (cf 1 Cor 9,22), deve, ai nostri giorni, essere attento alla ispirazione dello Spirito Santo. Così non solo annuncerà il Vangelo col suo sforzo umano, ma sarà assunto come strumento valido dallo stesso Verbo, la cui parola è ” efficace e più penetrante di ogni spada a doppio taglio ” (Eb 4,12).

4. Il celibato

a) Fondamento del celibato

Il celibato dei sacerdoti concorda pienamente con la chiamata alla sequela apostolica di Cristo, ed anche con la risposta incondizionata del chiamato, il quale assume il servizio pastorale. Per mezzo del celibato, il sacerdote, seguendo il suo Signore, si dimostra più pienamente disponibile e, prendendo nel gaudio pasquale la via della Croce, desidera ardentemente di consumarsi in un’offerta che si può paragonare a quella eucaristica.

Se il celibato, poi, viene vissuto in spirito evangelico, nell’orazione e nella vigilanza, con povertà, in letizia, nel disprezzo degli onori ed in amore fraterno, esso è un segno che non può restare a lungo nascosto, ma proclama efficacemente Cristo agli uomini anche della nostra età.

Oggi, infatti, si dà poco credito alle parole, mentre la testimonianza di vita, che dimostra il carattere radicale del Vangelo, ha una grande forza di attrazione.

b) Convergenza dei motivi

Il celibato, in quanto opzione personale in favore di un bene più importante, anche puramente naturale, può promuovere la piena maturità e integrazione della personalità umana. Ciò vale a più forte ragione per il celibato prescelto per il Regno dei cieli, come chiaramente si scorge nella vita di tanti Santi e di tanti fedeli, i quali, vivendo una vita celibe, si consacrarono totalmente alla causa di Dio e degli uomini, promovendo insieme il progresso umano e cristiano.

Nella moderna cultura, in cui i valori spirituali sono molto annebbiati, il sacerdote celibe fa capire la presenza di Dio Assoluto, il quale ci invita a rinnovarci secondo la sua immagine. E là dove il valore della sessualità viene talmente esagerato da far dimenticare l’autentico amore, il celibato, scelto per il Regno di Cristo, richiama gli uomini alla profondità dell’amore fedele e manifesta il significato supremo della vita.

Inoltre, si parla giustamente del valore del celibato come di un segno escatologico. Superando ogni valore umano di carattere contingente, il sacerdote celibe si associa in modo speciale a Cristo, come al bene supremo ed assoluto, e manifesta in anticipo la libertà dei figli di Dio. Riconosciuto pienamente il valore di segno e di santità del matrimonio cristiano, il celibato, scelto per il Regno, dimostra più chiaramente quella fecondità spirituale, ossia quella potenza generatrice della Nuova Legge, per la quale l’Apostolo sa di essere, in Cristo, il padre e la madre delle sue proprie comunità.

Da questa speciale sequela di Cristo il sacerdote attinge le migliori energie per edificare la Chiesa; e tali energie non si possono conservare ed accrescere se non con una unione intima e permanente col suo Spirito. E questa unione con Cristo, il fedele Popolo di Dio la vuole riconoscere e la può discernere nei suoi pastori.

Per mezzo del celibato, i sacerdoti possono più facilmente servire a Dio con cuore indiviso e spendersi per le pecorelle, per poter essere più pienamente i promotori dell’evangelizzazione e dell’unità della Chiesa. In tal modo, i sacerdoti, sebbene siano numericamente pochi, col fulgore di questa splendida testimonianza di vita, godranno di una maggiore fecondità apostolica.

Il celibato sacerdotale, inoltre, non è soltanto la testimonianza individuale di una persona, ma, in virtù della particolare comunione che tra loro collega i membri del Presbiterio, riveste altresì una nota sociale, in quanto è testimonianza dell’intero ordine sacerdotale, destinata ad arricchire il Popolo di Dio.

c) Necessità di conservare il celibato nella Chiesa latina

Rimangono invariate le tradizioni delle Chiese Orientali, quali sono al presente in vigore nei diversi territori.

La Chiesa ha il diritto e il dovere di determinare la forma concreta del ministero sacerdotale, e perciò anche di scegliere i candidati più adatti, che siano dotati di determinate qualità umane e soprannaturali. Quando la Chiesa latina chiede il celibato come condizione sine qua non per il sacerdozio, non fa questo perché ritenga tale forma di vita l’unica via per il conseguimento della santità; ma lo fa considerando attentamente la forma concreta dell’esercizio del ministero nella comunità, per l’edificazione della Chiesa.

In ragione dell’intima e molteplice convenienza tra l’ufficio pastorale e la vita celibe, si mantiene la legge vigente: infatti, colui che liberamente vuole la totale disponibilità, che è la nota distintiva di tale ufficio, accetta altrettanto liberamente la vita celibe. Il candidato deve concepire questa forma di vita non come imposta dal di fuori, ma piuttosto come la manifestazione della sua libera donazione, che viene accettata e ratificata dalla Chiesa per mezzo del Vescovo. In questo modo, la legge diventa tutela e presidio della libertà, per la quale il sacerdote si dona a Cristo, e riesce quindi come un ” giogo soave “

d) Condizioni che favoriscono il celibato

Sappiamo bene che, nel mondo di oggi, il celibato è da ogni parte minacciato da particolari difficoltà, che, peraltro, i sacerdoti già più volte hanno sperimentato nel corso dei secoli. Ora essi possono superare queste difficoltà, se si promuovono le condizioni opportune, e cioè: l’incremento della vita interiore con l’aiuto della preghiera, dell’abnegazione, dell’ardente carità verso Dio e verso il prossimo, e con gli altri sussidi della vita spirituale; l’equilibrio umano attraverso un ordinato inserimento nella compagine delle relazioni sociali; i fraterni rapporti e i contatti con gli altri presbiteri e col Vescovo, adattando meglio, a tale scopo, le strutture pastorali, e anche con l’aiuto della camunità dei fedeli.

Bisogna riconoscere che il celibato, come dono di Dio, non può essere osservato se il candidato non è convenientemente preparato ad esso. E’ necessario che, fin da principio, i candidati tengano presenti le ragioni positive in favore della scelta del celibato, senza lasciarsi turbare da quelle obiezioni, il cui accumularsi e la cui continua pressione sono piuttosto il segno che ne è messo in pericolo l’originario valore. Essi, inoltre, ricordino che la virtù, con la quale Dio ci conforta, assiste sempre coloro che si sforzano di servirlo fedelmente e totalmente.

Il sacerdote, che ha lasciato l’esercizio del ministero, sia trattato con equità e con spirito fraterno, ma, anche se può aiutare nel servizio della Chiesa, non sia ammesso ad esercitare le attività sacerdotali.

e) La legge del celibato

La legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente conservata.

f) Circa l’ordinazione di uomini sposati

Sono state proposte due formule alle votazioni dei Padri:

Formula A: Salvo sempre il diritto del Sommo Pontefice, l’ordinazione presbiterale di uomini sposati non è ammessa, neppure in casi particolari.

Formula B: Spetta soltanto al Sommo Pontefice, in casi particolari, concedere per necessità pastorali, considerato il bene della Chiesa universale, l’ordinazione presbiterale di uomini sposati, di età matura e di comprovata probità.

II. I PRESBITERI NELLA COMUNIONE ECCLESIALE

1. Relazioni tra i presbiteri e il Vescovo

I sacerdoti saranno tanto più fedelmente attaccati alla loro missione, quanto più si conoscono e si dimostrano fedeli alla comunione ecclesiale. In tal modo, infatti, il ministero pastorale, che viene esercitato dai Vescovi, dai presbiteri e dai diaconi, diventa un segno eminente di questa comunione ecclesiale, in quanto essi hanno ricevuto lo speciale mandato di essere al servizio di questa comunione.

Ma affinché questo ministero diventi effettivamente un segno di comunione, bisogna considerare come sommamente importanti le condizioni concrete, in cui esso si esercita.

Il principio direttivo, espresso dal Concilio Vaticano II, nel Decreto Presbyterorum ordinis, per il quale, cioè, l’unità stessa della consacrazione e della missione richiede la comunione gerarchica dei presbiteri con l’ordine dei Vescovi, è considerato fondamentale per restaurare praticamente, o per rinnovare, con piena fiducia, la mutua relazione tra il Vescovo e il Presbiterio, a cui il Vescovo stesso presiede. Tale principio, però, deve essere più definitamente applicato soprattutto a cura dei Vescovi.

Il servizio dell’autorità, da una parte, e l’esercizio dell’obbedienza non meramente passiva, dall’altra, devono essere svolti in spirito di fede, con mutua carità, con filiale e amichevole fiducia, con dialogo continuo e paziente, cosicché la collaborazione e la responsabile cooperazione dei presbiteri col Vescovo riesca sincera, umana e, al tempo stesso, soprannaturale. Ma la libertà personale, che risponda alla propria vocazione e ai carismi ricevuti da Dio, ed insieme la comune solidarietà, ordinata al servizio della comunità e per il bene della missione da compiere, sono le due condizioni che devono configurare il modo caratteristico dell’azione pastorale della Chiesa; garante di queste condizioni è l’autorità del Vescovo, da esercitare in spirito di servizio.

Il Consiglio Presbiterale, che è per sua natura diocesano, è una forma di manifestazione istituzionalizzata della fraternità esistente tra i sacerdoti, fondata sul sacramento dell’Ordine.

L’attività di tale Consiglio non può essere pienamente configurata a norma di legge; la sua efficacia dipende soprattutto dallo sforzo ripetuto di ascoltare le opinioni di tutti per giungere al consenso col Vescovo, al quale spetta di prendere la decisione finale.

Se tutto ciò vien fatto con la massima sincerità e umiltà, superando qualsiasi unilateralità, si può giungere più facilmente a provvedere rettamente al bene comune.

Il Consiglio Presbiterale è un’istituzione nella quale i presbiteri, dato il continuo aumento delle varietà nell’esercizio dei ministeri, riconoscono di integrarsi a vicenda nel servizio dell’unica e medesima missione della Chiesa.

Spetta ad esso, tra gli altri compiti, ricercare gli obiettivi chiari e distintamente definiti, proporre le relative priorità, indicare i metodi, aiutare tutto ciò che lo Spirito vuole suscitare per mezzo degli individui e dei gruppi, favorire la vita spirituale, onde più facilmente si possa raggiungere la necessaria unità.

Bisogna trovare nuove forme di comunione gerarchica tra i Vescovi e i presbiteri, attraverso cui raggiungere una più ampia possibilità di mutuo contatto tra le Chiese locali; occorre cercare i modi di collaborazione dei presbiteri con i Vescovi negli organi e nelle iniziative sopradiocesane.

E’ necessaria la collaborazione dei presbiteri religiosi col Vescovo nel Presbiterio, anche se la loro opera fornisce un valido aiuto nel servizio della Chiesa universale.

2. Relazioni dei presbiteri tra di loro

Poiché i presbiteri sono vicendevolmente uniti per l’intima fraternità sacramentale e per la loro missione, e poiché collaborano concordemente alla stessa opera, una certa comunità di vita o un qualche tipo di convivenza, che può assumere diverse forme anche non istituzionali, sia promossa fra di essi, e sia anche prevista dal diritto con opportune norme, rinnovando le strutture pastorali, o trovandone di nuove.

Sono anche da incoraggiare le associazioni sacerdotali, le quali, nello spirito della comunione ecclesiale, riconosciute dalla competente autorità ecclesiastica, ” grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e all’aiuto fraterno “, cercano di promuovere gli scopi propri alla loro funzione, nonché ” la santità nell’esercizio del ministero “.

E’ auspicabile che, per quanto è possibile, siano cercati quei modi, anche se riescano alquanto difficili, con i quali le associazioni, che eventualmente dividano il clero in varie fazioni, possano essere ricondotte alla comunione e alla struttura ecclesiale.

Siano intensificati i rapporti dei sacerdoti religiosi con i sacerdoti diocesani, onde tra di essi si stabilisca un’autentica fraternità sacerdotale e si diano un aiuto scambievole, specialmente in campo spirituale.

3. Relazioni tra i presbiteri e i laici

I presbiteri ricordino di affidare ” con fiducia ai laici degli incarichi al servizio della Chiesa, lasciando loro libertà d’azione e il conveniente margine di autonomia, invitandoli anzi opportunamente a intraprendere di propria iniziativa delle opere per proprio conto “.

I laici ” parimenti, condividendo le loro preoccupazioni, si sforzino, per quanto è possibile, di essere di aiuto ai presbiteri, con la preghiera e con l’azione, in modo che essi possano superare più agevolmente le difficoltà ed assolvere con maggior efficacia i propri compiti “.

Bisogna aver sempre presente l’indole che è propria della comunione della Chiesa, al fine di accordare opportunamente sia la libertà personale, secondo i riconosciuti uffici e carismi di ciascuno, sia l’unità di vita e di azione del Popolo di Dio.

Il Consiglio Pastorale, in cui hanno parte chierici, religiosi e laici scelti con particolare cura, col suo studio e con la sua riflessione, offre gli elementi necessari, affinché la comunità diocesana possa predisporre in modo organico il lavoro pastorale, ed assolverlo in maniera efficace.

Quanto più cresce e si sviluppa la mutua responsabile cooperazione dei Vescovi e dei presbiteri soprattutto per mezzo dei Consigli Presbiterali, tanto maggiormente è da auspicare che venga istituito il Consiglio Pastorale nelle singole diocesi.

4. Questione economica

I problemi economici della Chiesa non possono essere adeguatamente risolti, se non siano ben considerati nel contesto della comunione e della missione del Popolo di Dio. E’ dovere di tutti i fedeli contribuire alle necessità della Chiesa.

Nel trattare questo genere di questioni, occorre aver presente non soltanto la solidarietà nell’ambito della Chiesa locale o della diocesi o dell’Istituto religioso, ma anche la condizione delle diocesi di una stessa regione o nazione, anzi di tutto il mondo, specialmente delle Chiese nei territori cosiddetti di missione, e delle altre regioni povere.

La retribuzione dei sacerdoti, che dev’essere certo determinata in spirito di povertà evangelica, ma, per quanto è possibile, equa e sufficiente, è un dovere di giustizia e deve anche comprendere la previdenza sociale. E’ necessario abolire, in tale settore, le eccessive sperequazioni, soprattutto fra i presbiteri di una stessa diocesi o circoscrizione, avuto anche riguardo alla comune condizione della gente di quella regione.

Sembra anche molto auspicabile che il popolo cristiano riceva pian piano una tale formazione, da far sì che i proventi dei sacerdoti siano disgiunti dagli atti di ministero, specialmente da quelli di natura sacramentale.

CONCLUSIONE

Per i sacerdoti, che esercitano il ministero dello Spirito (cf 2 Cor 3,4-12) nel cuore della comunione di tutta la Chiesa, si aprono nuove vie per dare una testimonianza profondamente rinnovata nel mondo di oggi.

Bisogna perciò guardare con fiducia cristiana all’avvenire ed implorare lo Spirito Santo perché, nonostante i pericoli ai quali la Chiesa non può far fronte con i mezzi puramente umani, grazie alla Sua guida e alla Sua ispirazione, si aprano le porte al Vangelo.

Riguardando costantemente gli Apostoli, specialmente Pietro e Paolo, come modelli ideali del rinnovamento del sacerdozio, noi dobbiamo render grazie a Dio Padre, perché ci è offerta l’occasione di manifestare, tutti, più fedelmente il volto di Cristo.

Vi sono ormai segni di una rinascita della vita spirituale, mentre, in tutto il mondo, gli uomini, trovandosi nell’incertezza del tempo presente, attendono di avere la pienezza della vita. Questo grande rinnovamento non può certo avvenire senza la partecipazione alla croce del Signore, poiché non vi è servo maggiore del suo padrone (cf Gv 13,16). Noi, dimenticando ciò che è dietro a noi, dobbiamo protenderci verso ciò che ci sta innanzi (cf Fil 3,13).

E’ necessario mostrare al mondo, con vera audacia, la pienezza del mistero, nascosta dai secoli in Dio, affinché gli uomini, partecipando ad essa, possano entrare in tutta la pienezza di Dio (cf Ef 3,20).

” Annunciamo a voi quella vita eterna, che era presso il Padre e si è manifestata a noi: ciò che abbiamo veduto e udito, lo annunciamo a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo, Gesù Cristo ” (1 Gv 1,2-3).

Fonte