Il Sacco di San Francesco contiene realmente pane

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Se non fosse offensivo per il Poverello d’Assisi bisognerebbe dire che san Francesco l’ha messo nel sacco a tutti. Ma non nel senso che è riuscito a ingannare qualcuno. Al contrario: una reliquia legata alla sua memoria da un’antica tradizione, alla prova della scienza si è rivelata “autentica”. O meglio, coincide come età e come uso. Stiamo parlando del “Sacco di San Francesco”, frammenti di tessuto conservati presso il monastero di Folloni, vicino a Montella, in Campania.  

Secondo la tradizione, il sacco di pane si sarebbe materializzato sulla soglia del monastero di Folloni nell’inverno del 1224, inviato direttamente da San Francesco che in quel momento si trovava in Francia, grazie all’aiuto di un angelo per sfamare i monaci assediati dalla neve e dai lupi. E dunque a corto di provviste. A corroborare l’attribuzione al Poverello di Assisi, la presenza sul tessuto di un giglio, simbolo della Francia e dunque della provenienza miracolosa. 

Gli esami  

Chiese e monasteri d’Italia e del mondo sono zeppi di reliquie o di presunte reliquie sulla cui autenticità nessuno è in grado di dire alcunché, data l’enorme diffusione del fenomeno e il fatto che venivano considerate reliquie anche le stoffe che erano state soltanto a contatto con la tomba del santo o con una reliquia a lui appartenuta. Nel caso del “Sacco di San Francesco”, invece, le analisi scientifiche hanno prodotto risultati incoraggianti per i devoti di questa tradizione. È stato pubblicato nei giorni scorsi uno studio su “Radiocarbon”, rivista della Cambridge University Press, condotto dalle professoresse Ilaria Degano e Maria Perla Colombini dell’Università di Pisa insieme con i ricercatori della University of Southern Denmark, e della Leiden University nei Paesi Bassi, dal quale emergono due certezze riguardanti il sacco. 

«La datazione al radiocarbonio posiziona il campione con elevata probabilità tra il 1220 e il 1295, confermando quindi l’età della reliquia – spiega Ilaria Degano – Le analisi che poi abbiamo effettuato tramite gascromatografia con rivelazione a spettrometria di massa hanno rivelato la presenza di ergosterolo, che è appunto un marcatore molecolare noto negli studi archeometrici come indicatore di lievitazione per la produzione di birra o pane». 

Insomma, la stoffa del sacco ha l’età giusta e per di più ha contenuto del pane. «È molto interessante dal punto di vista analitico – spiega ancora la ricercatrice – che un marcatore molecolare riesca a conservarsi in campioni così antichi, ma per essere sicuri dei risultati ed escludere il rischio di contaminazione abbiamo anche esaminato altri oggetti conservati insieme alla reliquia nei quali infatti non abbiamo trovato alcuna traccia di ergosterolo». 

La studiosa dell’università di Pisa ha ammesso: «Inizialmente ero scettica perché i composti organici come questi si degradano con il passare del tempo, per l’azione dei batteri. Invece il composto è presente nelle fibre del sacco e non negli altri materiali presenti nel medaglione che custodisce i frammenti». 

Il trasporto  

Siamo dunque di fronte a una conferma che riguarda la data e la tradizione secondo la quale quell’umile contenitore di stoffa grezza aveva trasportato del pane. Nulla ovviamente la scienza può dire sul misterioso teletrasporto dalla Francia al Sud Italia grazie all’angelo. Ma la coincidenza ha voluto che la notizia sul “Sacco di San Francesco”, uscita un po’ in sordina una settimana fa, ha trovato grande diffusione lunedì 2 ottobre: nel giorno in cui la Chiesa cattolica fa memoria della festa dei Santi Angeli custodi. 

Fonte – Vatican Insider