UNA STORIA CHE CONTINUA
Secondo i dati più recenti di Open Doors, nel mondo circa 380 milioni di cristiani vivono in situazioni di persecuzione grave o estrema. Comunità intere costrette a nascondersi, chiese distrutte, famiglie spezzate. Pensiamo ai massacri quotidiani in Nigeria, ma anche ad altre regioni dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia. Cristiani uccisi non perché violenti, non perché armati, ma semplicemente perché cristiani perseguitati.
Santo Stefano, la cui festa celebriamo oggi, è il primo anello di una catena che attraversa i secoli. Chiamarlo protomartire rischia quasi di farci pensare a qualcosa di lontano, di concluso, di archiviato nei primi secoli della Chiesa. In realtà, Stefano non è il primo di una serie finita, ma – come abbiamo visto – il primo di una storia che continua ancora oggi.
Gesù ci aveva avvisati: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome». Gesù non nasconde il prezzo della sequela, però garantisce: «Chi persevererà fino alla fine sarà salvato». I martiri cristiani – da Stefano fino a oggi – non sono morti invano. La loro morte non è una sconfitta, ma una testimonianza di fede.
Essere cristiani non vuol dire uccidere per i propri ideali, semmai – ed è questo che li distingue radicalmente da altre religioni o ideologie – essere pronti, se necessario, a dare la vita per la fede.
