Adesso è venuto il momento di passare alla seconda parte del mio discorso che sarà molto più breve: che cosa aggiunge l’aggettivo “Carismatico” al nome “Rinnovamento”. Anzitutto è importante dire che “carismatico” deve rimanere un aggettivo e non diventare mai un sostantivo. In altre parole, si deve evitare assolutamente da parte nostra l’uso del termine “i carismatici”, per indicare le persone che hanno fatto l’esperienza del Rinnovamento. Semmai si usi il termine di “cristiani rinnovati”, non di carismatici. L’uso di questo nome suscita giustamente risentimento perché crea discriminazione tra i membri del corpo di Cristo, quasi che alcuni siano dotati di carismi e altri no.
Io non voglio fare qui un insegnamento sui carismi dei quali si ha tante occasioni di parlare. Il mio intento è di mostrare come , anche in quanto realtà carismatica, il Rinnovamento è una corrente di grazia destinata a tutta la Chiesa. Per illustrare questa affermazione è necessario dare un rapido sguardo alla storia dei carismi nella Chiesa.
Cosa era successo, in realtà, ai carismi dopo la loro tumultuosa apparizione agli inizi della Chiesa? I carismi non erano scomparsi tanto dalla vita della Chiesa, quanto piuttosto dalla sua teologia. Se ripercorriamo la storia della Chiesa, avendo in mente le varie liste di carismi del Nuovo Testamento, dobbiamo concludere, che, ad eccezione forse del “parlare in lingue” e della “interpretazione delle lingue”, nessuno dei carismi è andato del tutto perduto.
La storia della Chiesa è piena di evangelizzatori carismatici, di doni di sapienza e di scienza (basta pensare ai dottori della Chiesa), di storie di guarigioni miracolose, di uomini dotati di spirito di profezia, o di discernimento degli spiriti, per non parlare di doni quali visioni, rapimenti, estasi, illuminazioni, anch’ essi annoverati tra i carismi.
Allora, dov’è la novità che ci permette di parlare di un risveglio dei carismi nella nostra epoca? Cos’era assente prima? I carismi, dall’ambito loro proprio dell’utilità comune e della “organizzazione della Chiesa”, erano stati progressivamente confinati nell’ambito privato e personale. Non entravano più nella costituzione della Chiesa.
Nella vita della primitiva comunità cristiana i carismi non erano fatti privati, erano ciò che, unitamente all’autorità apostolica, delineavano la fisionomia della comunità. Apostoli e profeti erano le due forze che insieme guidavano la comunità. Ben presto l’equilibrio tra le due istanze –quella dell’ufficio e quella del carisma- si rompe a vantaggio dell’ufficio. Il carisma viene ormai conferito con l’ordinazione e vive con esso. Un elemento determinante fu il sorgere delle prime false dottrine, specie di quelle gnostiche. Fu questo fatto a far pendere sempre più l’ago della bilancia verso i detentori dell’ufficio, i pastori. Un altro fatto fu la crisi del movimento profetico diffuso da Montano in Asia Minore nel II secolo che servì a screditare ancor più un certo tipo di entusiasmo carismatico collettivo.
Da questo fatto fondamentale derivano tutte le conseguenze negative circa i carismi. I carismi vengono relegati ai margini della vita della Chiesa. Si ha notizia, ancora per qualche tempo, del persistere, qua e là, di alcuni di essi. Sant’Ireneo, per esempio, dice che esistono ancora a suo tempo “molti fratelli della Chiesa che hanno carismi profetici, parlano tutte le lingue, manifestano i segreti degli uomini per il loro vantaggio e spiegano i misteri di Dio” . Ma è un fenomeno che va esaurendosi. Scompaiono soprattutto quei carismi che avevano come terreno di esercizio il culto e la vita della comunità: il parlare ispirato e la glossolalia, i cosiddetti carismi pentecostali. La profezia viene a ridursi al carisma del magistero di interpretare autenticamente e infallibilmente la rivelazione. (Questa era la definizione della profezia nei trattati di ecclesiologia che si studiavano al mio tempo).
Si cerca di giustificare anche teologicamente questa situazione. Secondo una teoria spesso ripetuta da san Giovanni Crisostomo in poi, fino alla vigilia del Vaticano II, certi carismi sarebbero stati riservati alla Chiesa nel suo “stato nascente”, ma in seguito sarebbero “cessati”, come non più necessari all’economia generale della Chiesa .
Altra conseguenza inevitabile è la clericalizzazione dei carismi. Legati alla santità personale, essi finiscono per essere associati quasi sempre ai rappresentanti abituali di questa santità: pastori, monaci, religiosi. Dall’ambito dell’ecclesiologia, i carismi passano a quello dell’agiografia, cioè allo studio della vita dei santi. Il posto dei carismi è preso dai “Sette doni dello Spirito” che all’inizio (in Isaia 11) e fino alla Scolastica, non erano che una categoria particolare di carismi, quelli promessi al re messianico e in seguito a coloro che hanno il compito del governo pastorale.
Questa è la situazione alla quale il Concilio Vaticano II ha voluto rimediare. In uno dei documenti più importanti del Vaticano II leggiamo il noto testo:
“Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il Popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma ‘distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui’ (cf. 1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi opere ed uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole: ‘A ciascuno…la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio’ (1 Cor 12,7). E questi carismi, straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adattati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione” .
Questo testo non è una nota marginale all’interno dell’ecclesiologia del Vaticano II; ne è piuttosto il coronamento. È il modo più chiaro e più esplicito di affermare che accanto alla dimensione gerarchica e istituzionale, la Chiesa ha una dimensione pneumatica e che la prima è in funzione e a servizio della seconda. Non è lo Spirito che è a servizio dell’istituzione, ma l’istituzione a servizio dello Spirito. Non è vero, come faceva notare polemicamente il grande ecclesiologo del secolo XIX Johannes Adam Moehler che “Dio ha creato la gerarchia e così ha provveduto più che sufficientemente ai bisogni della Chiesa fino alla fine del mondo” . Gesù ha affidato la sua Chiesa a Pietro e agli altri apostoli, ma la ha affidata prima ancora allo Spirito Santo: “Egli vi insegnerà, egli vi guiderà alla verità, egli prenderà del mio e ve lo darà…” (cf. Gv 16, 4-15).
A questo punto, concluso il Concilio e raccolti in un volume i suoi decreti, il pericolo di emarginare i carismi si ripresentava sotto altra forma, non meno pericolosa: quella di rimanere un bel documento che gli studiosi non si stancano di studiare e i predicatori di citare. Il Signore ha ovviato, lui stesso, a questo pericolo facendo vedere con i propri occhi,, a colui che aveva fortemente voluto quel testo sui carismi, che essi erano tornati non solo nella teologia, ma anche nella vita del popolo di Dio. Quando, per la prima volta, nel 1973, il cardinal Leo-Joseph Suenens, sentì parlare del Rinnovamento Carismatico Cattolico, apparso negli Stati Uniti, stava scrivendo un libro intitolato “Lo Spirito Santo, fonte delle nostre speranze”, ed ecco cosa racconta nelle sue memorie:
“Smisi di scrivere il libro. Pensai che era una questione della più elementare coerenza prestare attenzione all’azione dello Spirito Santo, per quanto essa potesse manifestarsi in modo sorprendente. Ero particolarmente interessato dalla notizia del risveglio dei carismi, dal momento che il Concilio aveva invocato un tale risveglio”.
Ed ecco cosa scrisse dopo aver costatato con i propri occhi quello che stava succedendo nella Chiesa:
“Improvvisamente, san Paolo e gli Atti degli apostoli sembrano diventare vivi e divenire parte del presente; quello che era autenticamente vero nel passato, sembra accadere di nuovo sotto i nostri occhi. È una scoperta della vera azione dello Spirito Santo che è sempre all’opera, come Gesù stesso ha promesso. Egli mantiene la sua parola. È di nuovo una esplosione dello Spirito di Pentecoste, una gioia che era diventata sconosciuta alla Chiesa” .
Adesso è chiaro, credo, perché dico che anche come realtà carismatica, il Rinnovamento è una corrente di grazia destinata e necessaria a tutta la Chiesa. E’ la Chiesa stessa che, nel Concilio, lo ha definito. Resta solo di passare dalla definizione alla attuazione, dai documenti alla vita. E questo è il servizio che CHARIS, in totale continuità con il RCC del passato, è chiamato a rendere alla Chiesa.
Non si tratta soltanto di fedeltà al Concilio, ma di fedeltà alla missione stessa della Chiesa. I carismi, si legge nel testo conciliare, sono “ utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa”. (Forse sarebbe stato più giusto scrivere “necessari”, al posto di “utili”). La fede, oggi come al tempo di Paolo e degli apostoli, non si trasmette “con discorsi persuasivi di sapienza, ma con la manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (cf. 1 Cor 2, 4-5; 1 Ts 1,5). Se un tempo, in un mondo divenuto, almeno ufficialmente, “cristiano”, si poteva pensare che non c’era più bisogno di carismi, di segni e prodigi, come all’inizio della Chiesa, oggi non più. Noi siamo tornati ad essere più vicini al tempo degli apostoli che a quello di san Giovanni Crisostomo. Essi dovevano annunciare il Vangelo a un mondo pre-cristiano; noi, almeno in occidente, a un mondo post-cristiano.
Ho detto fin qui che il RC è una corrente di grazia necessaria a tutta la Chiesa Cattolica. Devo aggiungere che esso lo è doppiamente per alcune chiese nazionali che assistono da tempo a una dolorosa emorragia dei propri fedeli verso altre realtà carismatiche. E’ risaputo che uno dei motivi più comuni di tale esodo è il bisogno di una espressione della fede più rispondente alla propria cultura: con più spazio dato alla spontaneità, alla gioia e al corpo; una vita di fede in cui la religiosità popolare sia un valore aggiunto e non un surrogato della signoria di Cristo.
Si fanno analisi pastorali e sociologiche del fenomeno e si ipotizzano rimedi, ma si stenta a rendersi conto che lo Spirito Santo ha già provveduto lui, in maniera grandiosa, a questo bisogno. Non si può più continuare a vedere il RCC come parte del problema dell’esodo dei cattolici, anziché parte della soluzione del problema. Perché questo rimedio sia veramente efficace non basta, però, che i pastori approvino e incoraggino il RC, rimanendone accuratamente fuori. Occorre accogliere nella propria vita la corrente di grazia. A questo ci spinge l’esempio del Pastore della Chiesa universale, anche con l’istituzione di CHARIS.
Termino con una riflessione sull’esercizio dei carismi. Accenno ad alcuni degli atteggiamenti o virtù che più direttamente contribuiscono a mantenere sano il carisma e a farlo servire “per l’utilità comune”. La prima virtù è l’obbedienza. Parliamo, in questo caso, di obbedienza soprattutto all’istituzione, a chi esercita il servizio dell’autorità. I veri profeti e carismatici, nella storia della Chiesa cattolica anche recente, sono stati quelli che hanno accettato di morire alle loro certezze, obbedendo e tacendo, prima di vedere le loro proposte e critiche accolte dall’istituzione. I carismi senza l’istituzione sono votati al caos; l’istituzione senza i carismi è votata all’immobilismo.
L’istituzione non mortifica il carisma, ma è quella che assicura al carisma un futuro e anche un… passato. Cioè, lo preserva dall’esaurirsi in un fuoco di paglia, e mette a sua disposizione tutta l’esperienza dello Spirito fatta dalle precedenti generazioni. È una benedizione di Dio che il risveglio carismatico nella Chiesa cattolica sia nato con una forte spinta alla comunione con la gerarchia e che il magistero pontificio abbia riconosciuto in esso “una chance per la Chiesa” e “i primi segni di una grande primavera per la cristianità” . Questa obbedienza ci dovrebbe essere tanto più facile e doverosa oggi che l’autorità suprema della Chiesa non si limita più a lodare e incoraggiare la corrente di grazia del RC, ma ne ha sposato con tutta evidenza la causa e la propone con insistenza a tutta la Chiesa.
Un’altra virtù vitale per un costruttivo uso dei carismi è l’umiltà. I carismi sono operazioni dello Spirito Santo, faville del fuoco stesso di Dio affidate agli uomini. Come si fa a non bruciarsi le mani con esso? Ecco il compito dell’umiltà. Essa permette a questa grazia di Dio di passare e di circolare dentro la Chiesa e dentro l’umanità, senza disperdersi o contaminarsi.
L’immagine della “corrente di grazia” che si disperde nella massa, si ispira chiaramente al mondo dell’elettricità. Ma parallela alla tecnica dell’elettricità è la tecnica dell’isolante. Più è alta la tensione e potente la corrente elettrica che passa attraverso un filo, più deve essere resistente l’isolante che impedisce alla corrente di provocare corti circuiti. L’umiltà è, nel RC e nella vita spirituale in genere, il grande isolante che permette alla corrente divina della grazia di passare attraverso una persona senza dissiparsi, o, peggio, provocare fiammate di orgoglio e di rivalità. Gesù ha introdotto lo Spirito nel mondo umiliandosi e facendosi obbediente fino alla morte; noi potremo contribuire a diffondere lo Spirito Santo nella Chiesa allo stesso modo: rimanendo umili e obbedienti fino alla morte, la morte del nostro “io” e dell’uomo vecchio che è in noi.
Come assistente ecclesiastico, ho cercato di dare, con questo insegnamento, il mio contributo per una corretta visione del RC nella storia e nel presente della Chiesa. Saranno però il moderatore e i componenti del comitato internazionale a dover sostenere il peso maggiore di questo nuovo inizio. A tutti loro esprimo la mia fraterna amicizia e la mia incondizionata collaborazione, finché il Signore mi darà ancora la forza di farlo.
La lettera agli Ebrei raccomandava ai primi cristiani: “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio” (Eb 13, 7). Noi dobbiamo fare lo stesso, ricordando con affetto e gratitudine coloro che per primi hanno vissuto e promosso la nuova Pentecoste: Patti Mansfield, Ralph Martin, Steve Clark, Kevin e Dorothy Ranaghan e tutti gli altri che in seguito hanno servito il RCC nell’ICCRS , nella Catholic Fraternity e in altri organi di servizio.
Termino con una parola profetica. È la parola che il profeta Aggeo rivolse ai capi e al popolo di Israele nel momento in cui si accingevano a ricostruire il tempio:
Ora, coraggio, Zorobabele – oracolo del Signore -, coraggio, Giosuè, figlio di Iosadàk, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese – oracolo del Signore – e al lavoro, perché io sono con voi” (Ag 2,4).
Coraggio Jean-Luc e membri del comitato, coraggio popolo tutto del RCC, coraggio fratelli di altre Chiese cristiane che siete tra noi, e al lavoro perché io sono con voi, dice il Signore!”
Articolo aggiornato il 27 Giugno 2019 22:45
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