p. Raniero Cantalamessa – Commento al Vangelo per il 22 Novembre 2020

E di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti

Siamo giunti all’ultima Domenica dell’anno liturgico, in cui celebriamo la festa di Cristo Re. Il Vangelo ci fa assistere all’ultimo atto della storia umana: il giudizio universale.

“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra”.

Che differenza tra questa scena e quella in cui Cristo è giudicato. Allora, tutti seduti -Anna, Caifa, Pilato- e lui in piedi, incatenato; ora tutti in piedi e lui seduto sul trono. In questo mondo, gli uomini e la storia giudicano il Cristo; in quel giorno, Cristo giudicherà gli uomini e la storia. Egli “pesa” uomini e popoli. Davanti a lui si decide chi sta e chi cade. Non c’è appello. Egli è l’istanza suprema. Questa è la fede immutabile della Chiesa che nel suo Credo continua a proclamare: “E di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine”.

In tanti millenni di vita sulla terra, l’uomo si è assuefatto a tutto; si è adattato a ogni clima, immunizzato da ogni malattia. A una cosa non si è assuefatto mai: all’ingiustizia. Continua a sentirla come intollerabile. Ci ribelliamo all’idea che il male, il sopruso debbano rimanere impuniti e trionfanti per sempre. È a questa sete di giustizia che risponderà il giudizio. Si farà una buona volta chiarezza su tutto!

Senza la fede nel giudizio finale, tutto il mondo e la storia divengono incomprensibili, scandalosi. Al visitatore che giunge in Piazza San Pietro, a Roma, il colonnato del Bernini appare, a prima vista, uno spettacolo abbastanza confuso. I quattro ordini di colonne che cingono la piazza si presentano “disparati”. Ma si sa che c’è un punto, segnato in terra da un cerchio, nel quale bisogna collocarsi. Da quel punto di osservazione il colpo d’occhio cambia completamente. Appare una mirabile armonia; i quattro ordini di colonne si allineano come per incanto, quasi fossero una colonna sola. Miracolo della prospettiva. È un simbolo di ciò che avviene in quella piazza più grande che è il mondo. In esso tutto ci appare confuso, assurdo, frutto più di un capriccio del caso che di una provvidenza divina. Bisogna collocarsi nel punto giusto per non smarrirsi e intravedere un ordine dietro il tutto, e questo punto giusto è il giudizio di Dio.

Come cambiano aspetto le vicende umane, viste da questa angolatura, anche quelle in atto nel mondo d’oggi! Ci giungono ogni giorno notizie di atrocità contro i deboli e gli inermi che rimangono impunite. Abbiamo visto uomini accusati di crimini orrendi, difendersi con il sorriso sulle labbra, tenere in scacco giudici e tribunali, farsi forti della mancanza di prove. Come se, facendola franca davanti ai giudici umani, avessero risolto tutto. Vorrei dire loro: Non illudetevi; non avete fatto nulla! Il vero giudizio deve ancora cominciare. Doveste anche finire i vostri giorni in libertà, temuti, onorati, perfino con uno splendido funerale religioso, non avreste fatto nulla. Il vero Giudice vi aspetta dietro la porta, e a lui non la si fa. Dio non si lascia corrompere. Pentitevi, ma sul serio, non solo ipocritamente, per godere, dopo il delitto, dell’impunità.

Il Vangelo di oggi ci dice anche come si svolgerà il giudizio:

“Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Che sarà dunque di coloro che, non solo non hanno dato da mangiare a chi aveva fame, ma glielo hanno tolto; non solo non hanno ospitato il forestiero, ma lo hanno reso ospite e forestiero; non solo non hanno visitato il carcerato, ma lo hanno messo ingiustamente in carcere, sequestrato, seviziato, ucciso?

Ma non illudiamoci neppure noi. La cosa non riguarda solo alcuni pochi criminali. È possibile che si instauri un senso generale di impunità, per cui si fa a gara nel violare la legge, nel corrompere o lasciarsi corrompere, con la scusa che lo fanno tutti, che è la prassi comune. Ma intanto la legge non è stata mai abrogata. Ed ecco che un giorno qualcuno comincia un’inchiesta ed è una ecatombe. Ma chi si ferma a riflettere che questa è, di fatto, la situazione in cui viviamo un po’ tutti, inquisiti e inquisitori, nei confronti della legge di Dio? Si violano allegramente i comandamenti di Dio, uno dopo l’altro, compreso quello che dice di non uccidere (per non parlare neppure di quello che dice di non commettere adulterio), con il pretesto che tanto lo fanno tutti, che la cultura, il progresso, perfino la legge umana, ormai lo consentono. Ma Dio non ha mai inteso abrogare né i comandamenti né il Vangelo, e questo generale senso di sicurezza è tutto fittizio ed è un terribile inganno.

Sul piano politico, tutti reagiamo indignati appena viene avanzata la proposta di un “colpo di spugna” che cancelli tutte le responsabilità penali; ma poi questo è quello che tacitamente pretendiamo da Dio, sul piano spirituale: un colpo di spugna su tutto. Tanto -si dice- Dio è buono e perdona tutto. Se no che Dio è? Senza pensare che, se Dio scendesse a patti con il peccato, crollerebbe la distinzione tra bene e male e con essa l’universo intero.

Non dobbiamo lasciar cadere nell’oblio le parole che le generazioni passate ci hanno tramandato: Die irae dies illa…. “Giorno d’ira, quel giorno…Ci sarà da tremare quando il Giudice apparirà per vagliare tutto con rigore”. Che è successo al popolo cristiano? Un tempo si ascoltavano queste parole con salutare tremore. Ora la gente va al teatro dell’opera, ascolta la Messa da Requiem di Verdi o di Mozart, si appassiona alle note del Dies irae, esce canticchiandole e mimandone forse i movimenti con il capo. Ma l’ultima cosa a cui ognuno pensa è che quelle parole lo riguardano personalmente, che è anche di lui che si sta parlando.

Si è parlato molto del restauro del giudizio universale di Michelangelo. Ma c’è un altro giudizio universale da restaurare al più presto, quello dipinto non su pareti di mattoni, ma sui cuori dei cristiani. Anch’esso infatti è tutto sbiadito e sta andando in rovina. “L’aldilà (e con esso il giudizio) è diventato uno scherzo, un’esigenza così incerta che ci si diverte perfino al pensiero che c’era un tempo in cui questa idea trasformava l’intera esistenza” (S. Kierkegaard).

Ho visto da ragazzo la scena di un film che non ho dimenticato più. Un ponte della ferrovia è crollato su un fiume in piena; da una parte e dall’altra penzolano nel vuoto i due tronconi di binari. Il guardiano del più vicino passaggio a livello, accortosi, corre incontro al treno che arriva a tutta velocità, sul fare della sera e, stando in mezzo ai binari, agita una lanterna, gridando disperatamente: “Ferma, ferma; indietro, indietro!”. Quel treno ci rappresenta al vivo. È l’immagine di una società che avanza spensierata, al ritmo di Rock ‘n roll, inebriata delle sue conquiste, senza rendersi conto della voragine aperta davanti ad essa. La Chiesa si sforza di gridare come quel guardiano: Indietro, indietro!, ma chi le da ascolto?

Qualcuno può tentare di consolarsi, dicendo che, dopo tutto, il giorno del giudizio è lontano, forse milioni di anni. Ma è ancora Gesù che, dal Vangelo, gli risponde: “Stolto, chi ti assicura che questa notte stessa non ti verrà chiesto il conto della tua vita?”
Il tema del giudizio si intreccia, nella liturgia di questa domenica, con quello di Gesù Buon pastore. Nel Salmo responsoriale si dice:

“Il Signore è il mio pastore; non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare”

Il senso è chiaro: ora Cristo si fa trovare da noi come Buon Pastore, un giorno sarà costretto a essere nostro Giudice. Ora è il tempo della misericordia, allora sarà il tempo della giustizia. Sta a noi, finché siamo in tempo, scegliere chi vogliamo incontrare. Io mi auguro che il tempo che abbiamo passato insieme in questo anno a riflettere sul Vangelo ci abbia aiutato a conoscere meglio il Buon Pastore e così a non temere il Giudice.

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