HomeVangelo del Giornop. Giovanni Nicoli - Commento al Vangelo del 7 Marzo 2024

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 7 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Lc 11, 14-23

Qualsiasi cosa abbia bisogno di essere portata a compimento significa che è incompiuta e vuota. Non si tratta di negare ciò che è stato detto ed affermato prima, si tratta invece di dare senso a quanto detto. O si continua a parlare facendo i ripetitori o i pappagalli di qualsiasi cosa mandata a memoria, oppure si comincia a dare sostanza a quanto viene detto.

Gesù è uno che parla con autorità, non come gli scribi e i farisei, sottolinea la gente. Ciò significa che prima di tutto è uno che crede a quanto trasmette. Non ha imparato la lezioncina ed è andato poi a comunicarla a quanti incontra. Ciò che comunica l’ha fatto suo, ha riempito di senso. Un senso che non accetta il dato che la legge possa donare salvezza, pur essendo giusta. Non esiste legge al mondo che abbia avuto la forza di cambiare il cuore di qualcuno, magari qualche atteggiamento esterno per paura di qualche ritorsione, ma il cuore, che è l’unica cosa che realmente interessa Dio: beh questa è tutta un’altra questione.

Ciascuno di noi ha il proprio filtro attraverso il quale raccoglie, nella massa di fatti quotidiani, quelli che sono più idonei a confermare i propri pregiudizi. Leggiamo i fatti a partire da un filtro, che è la nostra esperienza, che non sempre risulta essere oggettiva.

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Di fronte a questo modo di agire da parte di alcuni che hanno assistito alla guarigione di un muto indemoniato, Gesù reagisce e reagisce spiegando e contrattaccando. Non si manifesta per niente tollerante, anzi la sua risposta è di quelle che noi riteniamo molto intollerante. Ma cosa significa essere tolleranti? Tollerare significa pazientare, sopportare comportarsi con pazienza e permettere.

L’intolleranza nel nostro mondo è ritenuto un atteggiamento negativo. Tolleranza ci porta a subire un atteggiamento nei confronti del quale noi non siamo d’accordo. Certe cose che noi non sopportiamo perché giudichiamo negative, noi le tolleriamo facendo finta di niente o mentendo a noi stessi dicendo che va bene così, che è l’età, che è perché la persona poverina non può riuscirci a capire queste date cose. La intolleranza non è di per sé negativa.

C’è gente che non accetta che uno faccia qualche cosa di apprezzabile, vedi quei tali del vangelo di oggi, o che venga riconosciuto un merito o un’abilità. Normalmente in questi casi scatta la critica sciocca, il disfattismo e persino la denigrazione rabbiosa.

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Di fronte a questi casi noi chiediamo tolleranza dicendo magari che sono persone che hanno vissuto una storia di privazione e che ora compensano con una vita da parolai e con la violenza verbale.

La tolleranza verso la stupidità finisce per mancare di rispetto alla serietà dei più, significa cambiare il tema della riunione o perdere un’occasione importante; significa demotivare e diffondere una convinzione che non c’è nulla da fare e che tutto è sullo stesso piano: la serietà sullo stesso piano della superficialità, l’onestà sullo stesso piano della delinquenza.

Troppo spesso in nome del diritto di tutti di intervenire, si giustifica chi si alza per distruggere e criticare col solo scopo di bloccare un lavoro costruttivo. L’intolleranza ci direbbe che bisognerebbe prendere la frusta e scacciare fuori dalla sala questi tali, visto che da soli non se ne andrebbero. Quante ore di catechismo andate buche per uno o due di questi fringuelli che avrebbero bisogno di un po’ di sana intolleranza per capire che quello che stanno facendo non va.

La tolleranza a tutti i costi rischia di dare il governo del mondo in mano ai cretini che gestiscono poi con arroganza in nome di una tolleranza diventata la malattia della democrazia. La tolleranza può permettere che la zizzania sommerga il trifoglio soffocando anche la democrazia. La vera tolleranza è sia sopportazione, permissione, come levare e disapprovare. È l’indignarsi per qualcosa di non degno, di sconveniente, di non apprezzato.

Noi tolleriamo un atteggiamento che non apprezziamo, diversamente vi sarebbe condivisione, gioia, non certo sopportazione. L’indignazione prima che violenza, esprime sofferenza di chi constata qualche cosa che non è degno. È sana intolleranza non violenta. Sana intolleranza che combatte il far finta di non vedere, il fingere che non esistano contrasti, il volere ridurre a tutti i costi i contrasti. Una sana intolleranza contro il dispotismo della televisione che dà il silenzio assenso ad ogni comportamento dei figli. Una intolleranza contro il ménage dell’andare avanti come se tutto andasse bene.

Gesù da sempre poco attento alla visibilità e alla necessità di essere accettato a tutti i costi, ha fatto sentire la sua intolleranza verso l’ingiusto e il fariseismo, è bene che anche noi cominciamo a fare sentire, liberi dai problemi di auditel, la nostra intolleranza per una cultura che sa solo di cassetta. Forse è tempo di intolleranza. È tempo che parlino coloro che sono sempre stati zitti o zittiti dall’arroganza della insensatezza.

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