p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 31 Gennaio 2020

La parabola del seme è una parabola liberante, se la accogliamo nel cuore come un seme viene accolto nel terreno. L’uomo che getta il seme, che “dorma o che vegli”, non cambia nulla, infatti “di notte o di giorno” il seme germoglia e cresce. Il Regno di Dio, che è più grande della Chiesa, è come il seme: cresce da sé, senza che l’uomo possa farci nulla. In molti momenti c’è da dire che grazie a Dio questo avviene, perché sembra che l’uomo sia più abile a distruggere che a costruire. Comunque sia la parte dell’uomo che contempla nel sonno e nella veglia il seme che germoglia senza neanche vederlo, è una bella azione contemplativa che è premessa per ogni azione buona e bella.

Gesù è il seme, il Messia, che gli ebrei aspettavano trionfante a Gerusalemme dove si sarebbero radunate tutte le genti. Un Messia di successo. La sua vita invece è un unico fallimento e il suo Regno è destinato alla sepoltura con Lui condannato a morte, senza che si veda nascere qualcosa. La fede è cieca, nel senso che non vede. I discepoli fino a che vedevano Gesù non riuscivano a credere alla sua missione di dono nella croce e nella risurrezione. Quando Gesù è morto e risorto e non l’hanno più visto perché asceso al cielo, hanno cominciato a credere. La fede non è questione di vedere, non è questione né di miracoli né di successi, non è questione di numeri, la fede è seme che gettato nel terreno scompare e nel buio della terra lavora, lavora morendo e marcendo per potere germogliare. La mietitura è roba dell’altra vita, è cosa che viene alla luce quando noi veniamo alla Luce morendo a questo mondo e vivendo nel seno del Padre Materno che ci attende a braccia aperte.

Dunque più che i successi, più che i risultati, ci interessa il desiderio di dono gratuito, come il seme che muore, come un genitore che dona la vita e poi il figlio se ne va di casa per farsi la sua vita e diventare come il genitore, donatore di vita.

Il Regno è opera di Dio non del nostro affannarci. Anzi normalmente quando ci affanniamo rischiamo di remare contro il Regno di Dio, volendo risolvere ciò che è irrisolvibile. Certe realtà, forse sarebbe meglio dire tutte, sono solo da amare con gratuità, sono realtà dove buttare lì la nostra vita e poi andare via. È la legge della vita che noi ancora ci intestardiamo a non capire e che non riusciamo a fare nostra perché ci sembra di perdere, di buttare via quello che siamo e quello che abbiamo.

È inutile che il contadino si dia da fare nel campo: non farebbe che calpestare ciò che è stato seminato, e noi spesso questo facciamo. È inutile che tiri l’erba per farla crescere: la strapperebbe solo. Le nostre manie di efficientismo e di crescita ci portano solo morte, morte del cuore e morte della vita. Guardiamo le nazioni che sono maggiormente cresciute quanta morte hanno portato con sé: gli Stati Uniti hanno sterminato chi già viveva là perché avevano un concetto sacro della Terra, cosa che noi europei invece avevamo già perso e che, sbarcando là, non riuscivamo a cogliere se non le grandi ricchezze che la terra custodiva; che cosa sta succedendo in Cina, la più popolosa nazione del mondo, con una crescita stratosferica e con un inquinamento da fare invidia alla Russia dei bei tempi andati: la gente ci muore sotto e non solo per il corona virus,  ma anche per qualcosa di più grande.

La sapienza di Gesù contadino che getta il seme, se stesso, e attende che muoia per portare frutto, è una sapienza profondamente umana ed ecologica, non è inquinante come la follia del nostro sviluppo a tutti i costi. Che sviluppo sia poi ho dei seri dubbi.

“Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno” (Sal 127, 2). La tradizione più soft pensa che i salmi furono scritti nel VI° a.C., vale a dire 2.600 anni fa e noi non l’abbiamo ancora capita, anzi ci siamo messi a fare proprio il contrario di questa sapienza ecologica che è sapienza di un Dio Madre che si prende cura di noi pazientando e attendendo che anche noi giungiamo a maturazione, a germogliare.

Questa parabola ci dice in fondo una cosa molto semplice, anche se molto difficile da capire per noi testoni: afferma la priorità assoluta del Padre mandando alla malora ogni forma di efficientismo disumanizzante. Ogni forma di efficientismo religioso che cerca di far crescere il Regno di Dio con la propria attività, secondo criteri mondani che regolano i rapporti di produzione. Stai fermo, contempla il sole che sorge sul campo e la pioggia che lo irriga e attendi: la Madre terra presto o tardi, non importa quando ma siamo sicuri che avverrà, darà i suoi frutti di vita.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI


L’uomo getta il seme e dorme; il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 4, 26-34 In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. Parola del Signore

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