I discepoli hanno ricevuto lo Spirito e sono stati liberati dalla paura dei Giudei. Ma non sanno ancora che fare. Si ritirano sul lago di Tiberiade e si rimettono a pescare: a fare quello che hanno sempre fatto, a fare quello che sanno fare. Sono stati liberati ma non sanno ancora che farsene di questa liberazione. E ritornano al loro solito quotidiano. Ma sembra non siano piรน capaci neppure di pescare: in quella notte, infatti, non presero nulla.
Gesรน ritorna a loro e li invita a pescare di nuovo, forse li sta invitando a diventare ciรฒ che sono diventati ma che non sanno ancora di essere? Pescatori di uomini?
Per aprire loro gli occhi a riconoscerlo li invita a pescare di nuovo e celebra con loro lโeucaristia sulla spiaggia, li invita a mangiare donando loro pane e pesce.
E poi? Poi chiede a Simone di Giovanni, Simon Pietro, di rinnovare la sua fede non fatta di teorie ma di azioni pratiche: mi ami tu? Sรฌ, o Signore, รจ la risposta di Pietro. Segue lโinvito chiaro di Gesรน: ama le mie pecore, cioรจ i tuoi fratelli.
ร la chiusura del vangelo di Giovanni e, come giร abbiamo detto, รจ una chiusura aperta. Noi siamo chiamati ad esprimere il nostro amore nella vita e noi siamo chiamati, soprattutto, a comprendere che la scrittura del vangelo non รจ finita.
Il vangelo di Giovanni non puรฒ contenere tutto quello che รจ stato fatto, tutto quello che sarร fatto. Perchรฉ il vangelo di Giovanni siamo ognuno di noi con la nostra vita. Vita fatta di tradimenti e di professioni di fede, fatta di gesti di amore e di gesti di rivalsa, fatta di istituzione e di profezia e mistica. Il vangelo di Giovanni continua nella chiesa, continua nella vita di ognuno di noi.
Il vangelo continua al di lร delle nostre curiositร e del nostro volere inscatolare la vita. Pietro ha ascoltato da Gesรน quello che dovrร fare e come morirร . Ma si preoccupa di Giovanni: che ne sarร di lui? O forse รจ incuriosito da questo outsider che ha costellato di vicinanza la sua vita e la vita di Gesรน?
La risposta di Gesรน รจ chiara: non รจ cosa che interessa a te. Come non puรฒ essere cosa che interessa ognuno di noi la curiositร morbosa che a volte ci assale nei confronti dellโaltro. Lโaltro, grazie a Dio, rimane un mistero nel senso bello della parola. Per quanto noi ci arrabattiamo per conoscerlo e inscatolarlo nei nostri schemi, lโaltro ci sfugge di mano โgrazie a Dio, ripeto- perchรฉ lโaltro รจ qualcosa di piรน, sempre qualcosa di piรน rispetto a quello che posso comprendere io. Lโaltro รจ continuamente in evoluzione, in bene o in male, e non dipende dai nostri schematismi o dai nostri pregiudizi. Lโaltro รจ in evoluzione perchรฉ la vita รจ evoluzione e perchรฉ lo Spirito che agisce in lui รจ come il vento: non sappiamo di dove venga e neppure dove vada, ma porta vita, questo sappiamo.
Mistero rimango anche io per me stesso: per quanto mi conosco, la mia vita รจ sempre piรน in lร . Sia che io mi esalti sia che io mi svaluti, sia che io mi abbatta, sia che io sia felice, la mia vita รจ sempre piรน in lร . Per quanto io mi conosca la mia vita รจ sempre piรน in lร . La mia vita rimane un bel mistero che si svela e che si vela ogni giorno allo stesso tempo. In questo svelamento e velamento della mia vita, io continuo a scrivere un vangelo sempre aperto e sempre incompiuto.
Cโรจ una bellezza da riscoprire in tutto questo velamento e svelamento di me e dellโaltro: la bellezza della contemplazione. Non tanto, dunque, una conoscenza per possedere e per capire e per inscatolare e per sapere, ma una bellezza da contemplare. Come un fiore che sboccia, come una farfalla che vola: guardare e non toccare รจ la cosa piรน bella che possiamo fare se non vogliamo fare morire.
Riscoprire la bellezza di questa contemplazione che ci libera dal desiderio di possedere e ci fa scoprire la bellezza del contemplare la ricchezza del rimanere a bocca aperta: ebbene tutto questo รจ vita che si snoda e vangelo che si scrive sulle nostre carni, al di lร di quello che pensiamo, crediamo e diciamo.
La contemplazione di noi stessi e degli altri, diventa un continuo camminare in relazione a Cristo che ama chi dona con gioia, che diventa gioia perchรฉ nellโamore, che diventa speranza quando amore non cโรจ.
Questo in fondo รจ impastare il nostro pane quotidiano che Cristo stesso ci impasta ma che poi noi stessi dobbiamo impastare; questo รจ lo scrivere pagine nuove ogni giorno, di un vangelo che non รจ mai concluso.
Sapendo che โbisogna macinare a lungo le parole e morire in silenzio per far cuocere il pane del cieloโ (Bobin, Cristo come i papaveri).
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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