Il vangelo ci parla di gente affamata e assetata; ci parla di stranieri accolti in tempi in cui accogliere uno straniero era veramente cosa difficile, cosa che dovevano i singoli e non le autoritร ; ancora ci viene presentata della gente nuda nel corpo e nello spirito, a cui dare vestito, affetto; ci parla di malati di cui prendersi cura, non da abbandonare a se stessi; ci parla di carcerati da trattare non come bestie ma come persone da visitare, ora che forse non lo facciamo piรน, perchรฉ ci diciamo che รจ meglio andare allo zoo!
Tutto questo lo possiamo vedere nei confronti della realtร attuale, coronavirus compreso. Abbiamo basato le nostre campagne elettorali e le nostre leggi dello stato, sui confini da salvaguardare con muri e cordoni militari: forse abbiamo sbagliato tutto. Il virus non รจ interessato ai nostri confini, il virus li supera. Il virus ci dice che puoi condannare quanto vuoi la Cina e i cinesi, ma lui continua imperterrito per la sua strada a diffondersi.
I confini ci obbligano ad essere gente solitaria, illusa di salvaguardare la propria immunitร . Lโumanitร ci chiede di essere persone che vivono la solitudine come dono e la solitudine come dono รจ smettere di credere di potere costruire le nostre sicurezze e le nostre esistenze dentro i confini: non esiste immunitร , il virus non รจ interessato alle nostre leggi, non le legge e non le rispetta. Lui sรฌ andrebbe incarcerato, ma non si puรฒ. Tutto questo ci dice una cosa molto semplice: la nostra societร , non piรน abituata agli imprevisti e credulona nel credere che non vi sia nulla di non gestibile e da cui potersi difendere, รจ una societร cosiddetta liquida, vale a dire fragile. Ancor piรน fragile perchรฉ lโinfluenza รจ cosa liquida, che fluisce e scorre, non la puoi evitare, la puoi solo vivere.
Tutto questo ci dice che lโatteggiamento di amore che il vangelo ci suggerisce come via da vivere e per vivere la vita del Padre in noi e fra di noi, รจ la vera via della vita. Non sono i muri che ci salvano. Ciรฒ che i sanitari ci dicono di rimanere a un metro di distanza e a lavarsi spesso le mani evitando di toccarci, mi pare cosa buona, per quello che ci capisco io. Ma senzโaltro non ci dicono di rendere il nostro cuore cosa arida. Il papร che porta da mangiare e i panni per vestire alla figlia che รจ nella zona rossa di Codogno, lasciandoli a debita distanza, รจ cosa piena di cuore anche se loro due non si possono abbracciare.
Il contagio, con la paura che lo accompagna, รจ segno del nostro malessere che ci obbliga a non vedere chi ha fame e sete, chi รจ nudo ed รจ malato, e via discorrendo. Il contatto รจ invece il centro della nostra umanitร . Contatto fisico ma anche e soprattutto, per la situazione che stiamo vivendo, contatto di amore anche se a distanza. Un contatto che vive lโaltro come persona, non come nemico. Contatto che non smette di far battere il cuore per il bene comune. Contatto che mi mostra che la legge di chiusura coi muri รจ una prigione che mi costruisco da me anche se la voglio usare contro gli altri: lโunitร nellโaffrontare la vita, bella o brutta, drammatica o positiva che sia, รจ lโunica via che affronta e sconfigge la paura che presto o tardi diventa terrore. ร lโunica via di umanitร che ci permette di non terrorizzarci per il coronavirus, ma ci porta ad affrontarlo per quello che รจ, senza drammatizzare e senza dovere spendere tempo ed energie a trovare il colpevole, vivendo come falsa liberazione il โdargli allโuntoreโ di Manzoniana memoria: serve solo a fare altre vittime, non a vivere la cura della vita anche quando รจ nuda, affamata, assetata, malata e in carcere.
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Mettiamoci il cuore in pace: non esiste immunitร e non esistono muri e confini che tengano. Esiste solo quel contatto umano, anche se ad un metro di distanza, che mi parla di un cuore che pompa sangue al bene comune e che unico puรฒ diventare vitale. Solo cosรฌ le nostre scelte diventano scelte di vita che rendono la nostra vita, il nostro oggi, uno stare con il Signore in casa sua, perchรฉ ritorniamo a vedere la bellezza di stare con i fratelli, sani o malati che siano, poco importa. Ritorniamo a vivere non la realtร virtuale ma la virtรน della vita vera. Mettiamo da parte la smania del terrore che ci porta a vivere con paura le nostre insicurezze. Ritorniamo a cogliere le nostre insicurezze come realtร da vivere e non realtร da tenere lontane e di cui avere paura. Ritorniamo a crede che la cura degli altri รจ avere cura di se stessi. Non siamo isole e non siamo lupi: siamo fratelli e come tali siamo chiamati a viverci. Basta coi confini che uccidono quello che siamo, viviamo la bellezza della solidarietร che ci rende nuovi. Come san Martino che condivide il suo mantello col povero che incontra per strada: non gli chiede fogli di via o carte di identitร , lo incontra. Un incontro che fa ritornare il sole e rende tiepida di amore lโaria del giorno invernale. Questa รจ la via non di ricerca di sicurezze, ma di ricerca di umanitร che รจ fede e che รจ amore. ร vivere un contatto vero con lโaltro, anche mantenendo la distanza di un metro da lui.
Per questo vi dico: โper la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale piรน del cibo e il corpo piรน del vestito? Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domaniโ (Mt 6, 25.33).
Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli piรน piccoli, l’avete fatto a me.
