HomeVangelo del Giornop. Giovanni Nicoli - Commento al Vangelo del 14 Aprile 2024

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 14 Aprile 2024

Domenica 14 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Lc 24,35-48

Gesù Risorto appare ai discepoli riuniti a Gerusalemme, Lui si fa presente in mezzo a loro per donare loro la pace. Quella pace che nasce dalla sua presenza. Credere il Risorto è credere e sperimentare la presenza. Sì, questa è la fede cristiana, questa è la fede pasquale: credere la presenza del Signore.

Si conclude l’episodio dei due discepoli di Emmaus che, incontrato Gesù e riconosciutolo come Risorto dopo che aveva spezzato il pane e spiegato le Scritture, ritornano a Gerusalemme dove trovano riuniti “i Dodici e gli altri che erano con loro”. Luca suggerisce che è la comunità il luogo dove si conosce e celebra la risurrezione.

Se i due di Emmaus sono solo destinatari e ascoltatori di questo annuncio, possono riunirsi al gruppo mediante il racconto di ciò che hanno vissuto: “Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Questo è il versetto con cui inizia il vangelo oggi. La fede pasquale è annunciata: è annuncio e racconto, sono le due forme con cui il credente dà ragione del suo incontro con il Risorto e lo incontra realmente.

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Anche lo smarrimento, la confusione in cui erano caduti i due discepoli di Emmaus, li aveva portati a perdere la loro speranza. Vengono recuperati mediante la narrazione che ha al suo cuore ciò che è accaduto lungo la via: la venuta del Signore.

I due discepoli stanno narrando la loro vicenda che Gesù in persona stette in mezzo a loro. Il Cristo si fa presente nell’annuncio ma anche nel racconto. La narrazione rende presente il Signore stesso e rende partecipi dell’evento narrato coloro che ascoltano.

Eppure, tutti quanti i presenti non accedono alla fede nel Risorto. Tanto coloro che già annunciavano la risurrezione quanto quelli che l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane non credono alla sua presenza. Come ogni comunità cristiana, anche quella dei Dodici unisce proclamazione di fede e dubbio, gioia pasquale e non fede. Eppure “per la gioia non credevano”. Non basta neppure che Gesù sia visto, ascoltato, toccato e che mangi davanti a loro perché i discepoli giungano alla fede: occorrerà ancora l’apertura della loro mente all’intelligenza delle Scritture.

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Senza le Scritture non si dà fede pasquale. Non è sufficiente toccare il corpo del Risorto. Gesù condivide con i suoi discepoli il cibo e poi apre la loro mente alla comprensione delle Scritture svegliando anche la loro memoria: “Sono queste le parole che vi dissi quando ancora ero con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Centrale è l’importanza delle Scritture per accedere alla fede pasquale.

“Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”. Fondata sull’evento pasquale, la chiesa trova nelle Scritture la testimonianza e la profezia di quell’evento e anche del suo stesso essere. “Di questo voi siete testimoni”: di questo e non di altro, si potrebbe aggiungere. Gesù afferma che il compimento delle Scritture è il suo corpo crocifisso e risorto.

Sia la sua parola che il suo corpo indicano al credente la via dell’intelligenza al mistero pasquale di Cristo. L’apertura che Gesù attua è apertura della mente, del cuore, degli occhi perché il mistero pasquale è mistero dell’amore che vince la morte e conduce l’uomo ad amare con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze, con tutta la propria persona.

La Scrittura illumina il corpo di Cristo, il corpo del credente e della comunità cristiana rendendoli capaci di amore. Quell’amore che si manifesta come coraggio di conversione, di cambiamento, come accoglienza della remissione dei peccati e perdono reciproco. Di questo voi siete testimoni: la parola è rivolta a noi. È il nostro compito, è la nostra testimonianza.

Si tratta di una testimonianza che la comunità può dare solo se animata da “quello che il Padre mio ha promesso”: lo Spirito santo. È una testimonianza il cui soggetto è lo Spirito santo nella chiesa. Lo Spirito santo radica la chiesa nell’evento pasquale e ne vivifica la testimonianza e l’annuncio rinnovandolo sempre.

Il testo evangelico ci suggerisce anche altro. Il Risorto che si fa presente in mezzo ai discepoli non si fa riconoscere dal volto, ma dalle mani e dai piedi, cioè dagli arti trafitti nella crocifissione. Gli arti che portano i segni dei chiodi. Il Risorto mostra la carne umana ferita, che è stata oggetto di violenza e di ingiustizia.

Questo è ciò che l’incarnazione ha dato a Dio: l’umana esperienza della sofferenza, dell’essere vittima, della morte. In Cristo Dio ha fatto esperienza dell’uomo nella sofferenza fino alla morte e alla morte di croce. Ormai il Cristo va toccato, va cercato a tastoni nella carne umana posta sotto il segno del male, della sofferenza, dell’essere vittima. Il volto del risorto va ormai riconosciuto nei volti dei tanti poveri, oppressi, perseguitati, sofferenti e vittime della storia.

Il Cristo non è più uno spirito, il cristianesimo non è un’alienazione, una fuga spiritualistica, quando prende sul serio il dolore del mondo, il male dell’uomo, la sofferenza, l’ingiustizia che attraversa la storia e devasta le vite. Allora il credente scopre che anche la sua ricerca è a tastoni, come quella del non-credente, come quella delle genti che “cercano Dio a tastoni”.

Al Crocifisso-Risorto che ha arricchito la vita di Dio con la povertà, la sofferenza, le piaghe dell’uomo, deve rispondere il cristiano che fa esperienza di Dio nell’incontro con il sofferente, nel volto del disperato, della vittima dell’ingiustizia. Al credente viene chiesto di confessare il Risorto, di credere il Dio che salva, il Dio della vita, mentre vediamo e tocchiamo la carne sofferente, piagata e umiliata dell’uomo.

Anche la fede, a quel punto, è ricerca a tastoni: l’esperienza pasquale non è luce abbagliante che sconfigge le tenebre, ma spiraglio luminoso in un continuum di oscurità, è esperienza di tenebra che non riesce a sconfiggere la luce, è alternanza di luce e tenebra. A quel punto, la fede è domanda più che risposta, non è arrogante certezza ma ricerca umile, segnata dall’enigma, traversata da un perché insolubile rivolto a Dio dal Crocifisso.

Quando si prendono sul serio non le preoccupazioni per sé, ma le sofferenze di Dio nel mondo, può nascere la testimonianza cristiana. È la testimonianza del Risorto il cui corpo è piagato e ferito. Il corpo del Risorto può essere incontrato nei corpi dei sofferenti che sono accanto a noi.

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