p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 22 Marzo 2020

Guardiamo l’apparenza

Non sempre vogliamo vedere come stanno veramente le cose. Forse perché abbiamo paura di portarne il peso, forse perché sogniamo che prima o poi la realtà cambi da sola. Arriviamo a capire che una relazione si è usurata solo quando è troppo tardi, proprio perché non abbiamo voluto vedere quello che stava accadendo. Chiudiamo gli occhi davanti alle ingiustizie o alle situazioni drammatiche del nostro tempo, perché in questo modo non ce ne sentiamo responsabili. Noi vediamo per lo più l’apparenza, il nostro sguardo preferisce fermarsi alla superficialità delle cose (cf 1Sam 16,7).

Sapere è vedere

In effetti fin dall’antichità vedere e sapere sono sempre stati profondamente legati, addirittura nella lingua greca questa relazione è dentro le parole stesse: «io so» (οἶδα), espressione che troviamo anche nel testo del vangelo di questa domenica, si esprime in greco usando l’aoristo del verbo vedere (ὁράω). Sapere qualcosa, quindi, significa averla vista.

E sempre nel mondo greco, in quella che è la tragedia per antonomasia, L’Edipo Re di Sofocle, troviamo ancora una volta questa relazione stretta tra vedere e sapere: nella città di Tebe c’è una pestilenza e la gente chiede a Edipo, diventato Re di quella città, di salvarli. Tutti vedono in Edipo il salvatore possibile, ma non sanno che Edipo è la causa del flagello. Edipo infatti, ignorando che il Re Laio fosse suo padre, lo ha ucciso, e ha sposato, senza saperlo, Giocasta, che in realtà è sua madre. Sarà l’indovino Tiresia, cieco, a svelare, costretto da Edipo, la verità su questa storia: proprio Tiresia che è cieco vede come stanno veramente le cose.

Tenebre e luce

Vedere la realtà è una grande responsabilità, ha sempre delle conseguenze, e non avviene mai da un momento all’altro. Siamo tutti in qualche modo ciechi, per questo il cammino spirituale che Gesù vuole aiutarci a percorrere è un itinerario che ci porta pian piano a vedere meglio, cioè a conoscere meglio noi stessi, ma soprattutto a conoscere sempre più profondamente chi è Lui.

È vero, spesso siamo nelle tenebre, siamo dentro una notte profondamente oscura, ma proprio lì Gesù ci raggiunge. Non cancella la notte, ma si fa luce per accompagnarci. Il male fa parte di questa storia umana, ma è anche il luogo dove emerge la forza di Dio, che trasforma ogni storia di male in una storia di salvezza: «Gesù rispose: “Non ne hanno colpa né lui né i suoi genitori, ma è così perché in lui si possano manifestare le opere di Dio”. (Gv 9,3)

Ricreati

Ogni volta che Gesù ci ridona la vista per riprendere il cammino opera in noi una nuova creazione. Il fango e la saliva ricordano il gesto d’amore originario della Trinità: Dio trae l’uomo dal fango e mette dentro di lui un alito di vita. Quando il Signore ci apre gli occhi, ci dona una nuova vita, ci fa nascere di nuovo. Anche per questo, il racconto del cieco nato è stato riletto già dalla prima comunità cristiana in chiave battesimale: l’itinerario compiuto da quest’uomo è immagine del cammino di ogni uomo che si avvicina alla fede e rinasce.

Gesù infatti invita quest’uomo a immergersi nella piscina di Siloe: l’immersione è il gesto battesimale (baptizo vuol dire appunto ‘immergo’) e questa immersione avviene a Siloe, che, dice Giovanni, vuol dire ‘Inviato’. Forse è solo una suggestione, ma l’inviato per eccellenza è Gesù stesso, l’inviato del Padre. Il cieco nato è quindi invitato a immergersi in Gesù per rinascere. Così ogni neofita è invitato a scendere nella vasca battesimale, per incontrare Gesù e consegnare a lui l’uomo vecchio. Nel battesimo consegniamo a Gesù la parte peggiore di noi, il nostro peccato.

Piano piano

Le cose non cambiano da un momento all’altro, gli occhi non guariscono magicamente, l’incontro con Gesù, la conoscenza di Lui, richiede un cammino progressivo. Abbiamo bisogno di tempo. Il testo di Giovanni ci presenta un cammino progressivo attraverso il quale il cieco, guarito, arriva a conoscere Gesù sempre meglio. Queste tappe sono rese nel testo attraverso i titoli che il cieco guarito attribuisce a Gesù: all’inizio parla di Gesù semplicemente come un uomo («Rispose: “Quell’uomo, che chiamano Gesù”» Gv 9,11); poi ai Farisei che lo interrogano dice che è un profeta («Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”». Gv 9,17); ma alla fine quando Gesù lo incontra, avendo saputo che è stato cacciato fuori dalla sinagoga, il cieco guarito arriva a fare la sua professione di fede, Gesù ormai è per lui il Signore («Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». Gv 9,38).

Colpevolmente ciechi

Se è vero che si può vedere sempre meglio, è anche vero che davanti a Gesù siamo chiamati a prendere posizione e a deciderci, altrimenti diventiamo sempre più ciechi. A volte infatti ci ostiniamo nelle nostre visione della realtà e pur di non ammettere che le cose sono diverse da come le abbiamo immaginate, preferiamo non vedere. Ci rendiamo ciechi per non essere smentiti nelle nostre attese. Avviene così per i Farisei e i Giudei che non si lasciano sorprendere da Dio: si aspettano che Dio operi dentro la ristrettezza dei loro confini.

Ma ci sono anche coloro che non vogliono vedere per paura. Sono coloro che non vogliono compromettersi. Vedere vuol dire scomodarsi, uscire dalle proprie fantasie. I genitori di quest’uomo si sono resi colpevolmente ciechi: non vogliono diventare testimoni della verità. Hanno paura di perdere quei diritti che venivano assicurati dalla sinagoga. In effetti è vero: quando accettiamo di vedere la realtà, quando siamo disposti a conoscere Gesù, ne diventiamo testimoni. Ed essere testimoni vuol dire inevitabilmente compromettersi.

Una porta si riapre

Il protagonista di questo testo è immagine di ogni discepolo e del cammino che siamo chiamati a percorrere. Quest’uomo ha visto come stanno veramente le cose ed è disposto persino a pagare il prezzo della verità. Diventa testimone, si compromette e per questo viene buttato fuori dalla sinagoga. Il discepolo deve mettere in conto il rifiuto, l’incomprensione, l’umiliazione. Prendere posizione per Gesù, dal punto di vista del mondo, costa.

Quest’uomo, dunque, viene buttato fuori dalla comunità, potremmo dire, forse, dal mondo, dal contesto sociale. E, possiamo immaginare anche che, buttato fuori dalla sinagoga, egli abbia sentito il tonfo della porta che si chiudeva alle sue spalle. Gesù viene a sapere che è stato cacciato fuori e si mette a cercarlo. È lì che si compie il cammino: quando ci lasciamo trovare da Dio. Ma è anche bello leggere questo episodio alla luce dei versetti che vengono immediatamente dopo: all’inizio del capitolo 10, Gesù comincia a parlare di se stesso come la porta del recinto, che rimane sempre aperta e che fa entrare nella vita piena!

Leggersi dentro

  • In che modo sto cercando di approfondire il mio cammino di conoscenza del Signore?
  • Quanto sono disposto a compromettermi per Gesù e quanto invece faccio finta di non conoscerlo?

don gaetano piccoloP. Gaetano Piccolo S.I.
Compagnia di Gesù (Societas Iesu)Fonte


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