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p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 26 Maggio 2024

Domenica 26 Maggio 2024
Commento al brano del Vangelo di: Mt 28, 16-20

“Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore Dio è lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro”.

La presenza di Dio è nella Bibbia delineata nella dimensione delle altezze dei cieli, il ‘lassù’ luogo del divino, ma anche e insieme nella dimensione del ‘quaggiù’, sulla terra, dove si svolge il cammino umano. Il Dio unico e vicino, il creatore, non è dominabile, non è limitato ad una sola dimensione. Non può essere confuso con un elemento della terra eppure è coinvolto nel quaggiù. Rivolge la sua parola, si comunica, chiama offrendo la sua alleanza: “…si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco come l’hai udita tu…?”

Non si rintraccia nella Bibbia una definizione di Dio. E’ presentato invece il racconto di una storia. Il popolo d’Israele scorge la sua origine nel rapporto nel rapporto di vita con il Dio unico e vicino. Trae vita dall’alleanza. L’agire di Dio è ascolto delle vittime. Egli sceglie non secondo criteri di potere o di grandezza. Rivolge il suo sguardo a Israele perché questo popolo piccolo e oppresso possa scoprire le vie della libertà e porre a servizio ciò che ha ricevuto in dono. Dio chiama non per costituire privilegi o gerarchie di merito, ma per una convocazione più ampia per un disegno di pace. Il Dio che scende e fa alleanza si apre ad una relazione, vuole comunicare il suo dono. La vicenda di Israele trae origine da questa fedeltà di Dio che si comunica: è il Dio geloso che si prende cura ed è appassionato: così la risposta di fede richiede un coinvolgimento di tutta la vita. La vicenda biblica è narrazione non tanto della ricerca umana di Dio, quanto del venire di Dio in cerca dell’uomo. Un venire che continuamente si offre in modi nuovi, con la chiamata di profeti, uomini e donne della Parola, che aprono a scorgere la presenza di Dio in orizzonti universali, più larghi delle nostre ristrette vedute.

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Gesù ha testimoniato nella sua vita la vicinanza con l’Abbà, il Padre. Nella preghiera di Gesù c’è una familiarità unica con Dio Abbà. Gesù si ritirava per stare con Lui in luoghi deserti e all’Abbàsi rivolge nel canto doi lode dicendo: “Tu hai rivelato queste cose ai piccoli…” E’ questo un dato fondamentale del suo cammino prima della Pasqua. Gesù si è affidato senza riserve all’Abbà, e si è rivolto a Lui sino alla fine: così nell’orto degli ulivi mettendo nelle sue mani la sua vita (Mc 14,36; cfr Gv 11,41; 17,1). Questa intimità è unica e si distingue dall’esperienza degli stessi discepoli. La prima comunità dopo la Pasqua indica Gesù come ‘Figlio’ (Mc 13,32; 12,6; Mt 11,27; 22,37; Lc 10,22), o ‘Figlio di Dio’ (Mc 1,1; Mt 16,16; 26,63), proprio per sottolineare tale relazione con l’Abbà al cuore nella sua vita.

Gesù ha comunicato ai suoi questa esperienza di abbandono fiducioso a Dio, alla sua volontà nella chiara coscienza di una missione da compiere. In lui ognuno è invitato a scoprirsi figlio, figlia del Padre e fratello, sorella di Gesù. Così Paolo dice: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo Abbà, Padre. Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio”

Rivolgersi all’Abbà  non è esito di sforzo umano: è piuttosto un dono che proviene a noi dal soffio dello Spirito, dono della Pasqua (cfr Gv 20,22). Lasciando spazio allo Spirito di Dio che agisce nel nostro spirito scopriamo quanto il grande suggeritore ci ricorderà in rapporto a Gesù (cfr. Gv 14,26). E’ così lo Spirito che consola (Gv 14,15). E’ Lui che introduce nella vita dell’Abbà, dono di amore e di comunione: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre… in quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (Gv 14,20). C’è un sapere esistenziale che respira della vita e delle profondità della fede che è vedere e conoscere nuovo.

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Il volto di Dio Trinità è radice della nostra esistenza ad immagine di un Dio relazione e amore. La vita di Dio è comunione, dono di sé, apertura all’altro. Il volto di Dio Padre Figlio e Spirito nella relazione è fonte e grembo della nostra vita. L’esperienza dell’amore, delle relazioni è traccia di un volto di Dio che è sempre altro, lassù, ma è Dio vicinissimo, quaggiù, sulla terra che si comunica, chiama e attrae ad un cammino nella comunione.

Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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