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p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 19 Novembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 25, 14-30

La parabola dei talenti si situa all’interno del capitolo 25 del vangelo di Matteo, l’ultimo dei cinque grandi discorsi del vangelo. E’ raccolta di parole di Gesù sulle ‘cose ultime’, sulla venuta del Signore Gesù alla fine dei tempi come sposo (cfr. la parabola delle dieci vergini, Mt 25,1-13) sul giudizio della storia (il Figlio dell’uomo davanti alle genti: Mt 25,31-46).

L’atmosfera di questo capitolo cap. 25 indica innanzitutto che l’intera storia è orientata ad un incontro, ad un venire. E’ il Signore che verrà come sposo e sarà lui giudice della storia. L’orizzonte è quello del dono e dell’accoglienza, è invito prender parte alla gioia del Signore. In rapporto a questo movimento che precede e si pone come dono è annunciata l’urgenza di ua decisione che investe il presente e si attua nella concretezza della vita: ‘ogni volta che avete fatto queste cose ad uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me’ (Mt 25,40).

La storia intera è diretta verso un fine e questo orientamento può essere custodito e coltivato nell’agire del quotidiano. La storia non è destinata al buio, al nulla o alla catastrofe ma ad un incontro di comunione. Così la chiamata fondamentale ai discepoli è quella di preparare la venuta del Signore, nel custodire in modo attivo, con gli occhi aperti, l’attesa. E’ questo il senso profondo del ‘vegliare’: “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,12). In tale contesto si colloca il richiamo a non perdere le occasioni, a non vivere nella distrazione che porta ad assopirsi, a non custodire olio nelle lampade (Mt 25,10).

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La parabola dei talenti  è scandita in tre movimenti: l’affidamento dei beni a tre servi, il diverso comportamento dei tre durante l’assenza del padrone, infine la parte più estesa, il rendiconto al ritorno del padrone dal viaggio. La distribuzione dei beni è stata fatta dal padrone ‘secondo le capacità di ciascuno’, non quindi secondo criteri di discriminazione ma a tutti in modo uguale e diversificato allo stesso tempo. E tutto converge verso la conclusione: la lode ai servi, detti ‘buoni e fedeli’ si contrappone al rimprovero rivolto al terzo inoperoso, che per paura è andato a nascondere il talento affidatogli.

Spesso la parabola è stata letta sottolineando necessità di porre a frutto le proprie capacità: i talenti vengono così identificati con i doni di natura, di formazione o di cultura che devono essere fatti fruttificare. Così il termine ‘talenti’ nel linguaggio comune è entrato ad indicare le doti di una persona, le sue capacità e il suo ingegno e c’è chi ne ha di più e chi ne ha di meno… Ma proprio tale interpretazione piega la parabola ad un pensiero di efficienza e di visibilità delle opere.

Le parabole peraltro sono da leggere non a partire dai singoli elementi ma nel quadro dell’intera dinamica della narrazione guardando al punto focale dell’intero racconto. Il vertice può essere individuato nel dialogo finale: i primi due servi ricevono una lode. Il terzo viene rigettato non perché abbia compiuto qualcosa di sbagliato ma perché non ha fatto nulla e soprattutto perché egli stesso non è uscito dalla condizione di paura, da quel blocco in cui egli ha rinchiuso il rapporto con il padrone. A partire da una esperienza che poteva essere compresa da chi ascoltava (l’allontanamento di un possidente e l’affidamento dei suoi beni) Gesù introduce il riferimento ad un altro livello.

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‘Entra nella gioia del tuo padrone’ è infatti l’invito fondamentale rivolto ai servi, chiamati come ‘buoni e fedeli’: è un rapporto che va ben oltre la possibilità umana di relazione tra un padrone e i suoi servi. Gesù introduce a sorgere i termini di un rapporto con Dio stesso da vivere in modo nuovo. I talenti non sono tanto le doti personali di ciascuno, ma racchiudono l’abbondanza di un dono che è gratuito e senza limite: un talento infatti era unità di misura per metalli preziosi, ed indicava decine di chili d’oro; a livello monetario equivaleva a circa 6000 dramme o denari quando la retribuzione giornaliera di un operaio era circa di un denaro al giorno.

I talenti rinviano così ad un affidamento – anche un solo talento è ricchezza immensa – e ad un dono spropositato che richiede accoglienza graziosa e responsabilità. Il servo bloccato nella paura non si è lasciato coinvolgere dall’autentica ricchezza di una relazione. Nutre nel cuore il sospetto: “So che sei un uomo esigente…”. Ha considerato il talento non come dono affidato, ma lo tiene come cosa estranea, non sua. Non comprende che il talento affidatogli è dono di una relazione da cui lasciarsi coinvolgere con libertà.

La grande chiamata è quella di cambiare idea di Dio, convertirsi a scorgere il volto di chi generosamente affida e non fa calcoli ponendo in mano tesori e ponendo fiducia, che sogna rapporti non di servitù ma di confidenza e dono, preoccupato solo di condividere l’invito ‘entra nella gioia’. La parabola contiene così un richiamo a vigilare: l’attesa del Signore che viene e ritornerà implica un nuovo modo di pensare a Dio il Padre: è uscire dalla paura per vivere la via della fiducia di chi è guardato con benevolenza. Gesù presenta il volto del Padre che offre innumerevoli occasioni per incontrare il suo amore.

Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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