Monastero di Bose: Commento al Vangelo del 11 novembre 2016

Mt  25,31-46 (memoria liturgica)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Coprire la nudità dell’altro. Gesto del Cristo che si china, nella sua condiscendenza, su un’umanità sfinita dalla miseria e piagata dalla povertà. Gesto del Cristo che diviene gesto della Chiesa, pagina di vangelo che prende carne nelle mani di quanti sanno vedere nel volto degli ultimi – di chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato o carcerato – nel volto di ogni altro, il volto di un fratello in umanità, riflesso e icona del volto del Figlio.

[ads2]In san Martino, di cui oggi celebriamo la memoria, in questo soldato del IV secolo, divenuto uno dei padri del monachesimo occidentale e poi vescovo di Tours, le parole di Gesù attestate dalla nostra pagina evangelica sono state tradotte nella concretezza di un gesto e si sono fatte vita vissuta: «Ad un povero incontrato sulla porta di Amiens, che si era rivolto a lui, Martino divide in parti uguali il riparo della clamide e con fede fervente lo mette sulle membra intirizzite. L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo, il freddo e il caldo diventano un nuovo oggetto di scambio e una sola povertà è sufficiente divisa a due persone» (Venanzio Fortunato, Vita Martini I,56-62).

Vestire la nudità dell’altro – come d’altronde ogni altra opera di misericordia – implica innanzitutto l’attenzione all’altro, la capacità di «vedere» l’altro, di accorgersi di lui, traendolo fuori dall’anonimato dell’invisibilità cui è confinato dalla sua miseria: è incontro di sguardi, volto nel volto, occhio contro occhio; è intrecciarsi di mani, di mani vuote, tese e supplici, di mani capaci di condividere anche solo quel poco che si ha: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do» (At 3,6).

Il vangelo vissuto, nel quotidiano dei giorni, si incarna nei gesti ordinari della cura e della delicatezza, che possono diventare stra-ordinari momenti di tenerezza, di carità concreta, di dono gratuito: così chi apre le sue mani per soccorrere la vulnerabilità dell’altro, si scoprirà non impoverito, ma «unito al Signore da una tenerissima misericordia» – come scrisse Sulpicio Severo di Martino – così da appartenergli con ogni fibra della nostra esistenza e gustare la gioia di essere davvero «suoi»: «Signore, che hai nutrito la tua Chiesa con l’Eucaristia, sacramento dell’unità, concedi a noi tuoi fedeli di vivere in perfetto accordo con te, perché obbedendo alla tua volontà sull’esempio di san Martino, gustiamo la gioia di essere veramente tuoi».

fratel Emanuele della comunità monastica di Bose

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