Donare abbassandosi
Il vangelo di questa domenica รจ ancora tratto dal capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni. La dichiarazione di Gesรน โIo sono il pane disceso dal cieloโ (Gv 6,41) provoca la reazione scandalizzata dei suoi interlocutori i quali cominciano a mormorare contro di lui. Il richiamo alla vicenda dei figli dโIsraele nel deserto, giร presente in Gv 6 nellโevocazione del dono della manna, prosegue ora con lโaccenno alla mormorazione degli interlocutori di Gesรน analogamente a quanto fecero i figli dโIsraele durante lโesodo: Es 16,7.8.9.12; 17,3; Nm 14,27.29; 17,6.25; Sal 106,25. In questi testi veterotestamentari la mormorazione รจ linguaggio di contestazione e protesta rivolto contro le autoritร del popolo, le guide, ma in veritร indirizzato contro Dio stesso. Le proteste dei figli dโIsraele per la scarsitร di cibo durante il cammino nel deserto e la nostalgia del tempo in cui erano ancora in Egitto e โmangiavano pane a sazietร โ (cf. Es 16,3) diventa mormorazione contro Mosรจ il quale reagisce cosรฌ: โQuando il Signore vi darร alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietร , sarร perchรฉ il Signore ha inteso le mormorazioni con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signoreโ (Es 16,8).
La pericope evangelica indica due dimensioni della mormorazione: essa รจ โcontroโ qualcuno (Gv 6,41: โI Giudei si misero a mormorare contro di luiโ) e avviene โtraโ (Gv 6,43: โNon mormorate tra voiโ). Dimensione oppositiva e complottistica si fondono nella mormorazione. Il vocabolo รจ onomatopeico ed evoca il borbottio dellโacqua che scorre, un brusio. ร una lagnanza nascosta, fatta di spalle, vile, una contestazione non aperta, ma che mugugna nellโombra contro qualcuno sussurrando allโorecchio di altri al fine di creare dei complici. Essa si situa allโopposto della parresรญa, che รจ invece linguaggio chiaro, aperto, alla luce del sole, coraggioso, schietto. La mormorazione รจ dunque un discorrere ostile, che esprime disaccordo, riprovazione e malumore. Essa, tuttavia, non viene espressa ad alta voce, chiaramente, bensรฌ tenuta nascosta, celata, sussurrata. Piรน simile a un rumore indistinto che a una voce umana, essa si nutre di non chiarezza.
La mormorazione รจ un classico e grave male comunitario. Un vizio ben conosciuto nella chiesa e soprattutto nelle vite comunitarie, un vizio capace di incrinare la soliditร della comunitร e di guastare i rapporti fraterni seminando diffidenza e sospetto. Nel nostro testo giovanneo รจ lโatteggiamento di chi si rifiuta di credere: il mormoratore รจ colui che resiste alla fede (cf. Gv 6,41-42). Il mormoratore puรฒ correggersi con la preghiera. Pregare per gli altri impedisce di farli oggetto di mormorazione. Nella mormorazione, infatti, Dio sparisce dallโorizzonte con cui penso lโaltro. Nella preghiera, invece, penso lโaltro davanti a Dio. Spesso รจ il peccato, e ancor prima, lโatteggiamento psicologico, dellโinferiore verso il superiore, del sottomesso nei confronti dellโautoritร . Come tale, nellโAntico Testamento compare frequentemente come parola diretta contro Mosรจ (Es 17,3) o contro Mosรจ ed Aronne (Nm 17,6). In questo senso, potrebbe essere vista come una forma di ribellione, di rivolta, ma in veritร essa resta subalterna e perdente. Esprime una frustrazione e un malessere, ma non elimina le cause del malessere e non le cerca nรฉ le individua nemmeno. Di fatto, รจ inutile e sterile.
Come Dio aveva risposto alle mormorazioni dei figli dโIsraele nel deserto donando loro la manna, cosรฌ Gesรน risponde alle mormorazioni dei suoi interlocutori con il dono di se stesso: โIo sono il pane vivo disceso dal cieloโ (Gv 6,51). Il dono di Dio non costringe, ma รจ unโofferta che suscita la libertร del destinatario. E come la manna รจ dono e domanda (man hu: โche cosโรจ?โ: Es 16,15), cosรฌ il dono che Gesรน รจ, suscita a sua volta domande sulla sua identitร (โchi รจ?โ: cf. Gv 6,42). Cosรฌ, le domande incredule di coloro che conoscendo lโorigine umana di Gesรน, la sua famiglia (โCostui non รจ forse Gesรน, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?โ: Gv 6,42), non accedono alla fede in lui quale rivelatore di Dio, non manifestano solamente il peccato di chi le formula, ma esprimono anche il carattere non coercitivo e non obbligante del dono che Gesรน รจ e fa. Il vero dono si espone alla libertร del destinatario, anche al possibile rifiuto. Anche allโumiliazione dellโindifferenza o del rigetto.
I due verbi discendere e dare, che nel nostro testo esprimono la relazione di Gesรน con gli uomini, in veritร indicano le due modalitร costanti dellโesistenza di Gesรน. Gesรน dร vita scendendo e donando. Gesรน รจ il pane disceso dal cielo, cioรจ la sua origine รจ in Dio, ma discendere รจ la normalitร del suo comportarsi nei confronti dei discepoli e delle persone che istruisce, cura, perdona. Gesรน narra la condiscendenzadi Dio nel suo continuo farsi vicino agli uomini. Gesรน รจ dono di Dio allโumanitร (cf. Gv 3,16), Gesรน dona la sua vita per i suoi (cf. Gv 15,13), ma anche il dono non รจ restringibile a un momento solo della vita di Gesรน, bensรฌ รจ la modalitร stessa del suo vivere quotidiano: Gesรน fa del vivere un donare. Questo interpretare la vita come attivo donare, come amare, come spendere la vita per gli altri, รจ ciรฒ che vince la morte e consente di trovare la propria vita, giร ora, nella comunione con il Dio che รจ amore (cf. 1Gv 4,8.16).
La vita di Gesรน, potremmo dire, รจ una prassi quotidiana di resurrezione, essendo una vita segnata dallโamore, una vita cioรจ in cui โdonare aโ e โscendere versoโ sono atti quotidiani. La โvita eternaโ (cf. Gv 6,47.51), la vita che trova continuitร nellโeternitร , la vita piรน profonda del mero esistere, la vita che si sottrae allo sbriciolarsi del tempo, la vita che non puรฒ andar persa perchรฉ si travasa in coloro che vengono amati e perchรฉ si innesta in Colui che ha insegnato che cโรจ un dare che non รจ un perdere, ma un entrare nellโineffabile gioia del donare gioia, รจ quella sotto il segno dellโamore e inizia giร qui e ora. Amare รจ risorgere, ed รจ consentire ad altri di rialzarsi, di ricominciare, di โrisorgereโ, appunto.
La resurrezione รจ lโatto che compie giร ora, nellโoggi, il credente. E questo proprio con lโatto di fede: โChi crede ha la vita eternaโ (Gv 6,47). La fede รจ sempre gesto di morte a sรฉ per vivere in Cristo, per trovare la saldezza della propria vita in un atto di affidamento di sรฉ a Cristo. La fede รจ intrinsecamente abitata da una dinamica pasquale, รจ un atto di morte e resurrezione. Essa attualizza nel credente la morte e la resurrezione di Cristo. Da questo punto di vista la fede รจ rischio mortale e possibilitร impensata di vita. Rischio mortale perchรฉ il credente pone la stabilitร del proprio essere e del proprio vivere (โSe non crederete non avrete stabilitร โ: Is 7,9) in Colui che non vede e di cui altri gli hanno dato testimonianza (e qui emerge lโintrinseca dimensione ecclesiale-comunitaria del credere); rischio perchรฉ questo movimento esige lโuscita da se stessi e la perdita di rilevanza del proprio io e delle sue pretese per vivere nello spazio dellโamore gratuito e preveniente di Dio. Il rischio grande della fede รจ nel credere lโamore.
Proprio il quarto evangelista lo ha ben capito: โDio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perchรฉ chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eternaโ (Gv 3,16). Lโamore che Dio ha manifestato nella vita, morte e resurrezione di Gesรน Cristo, รจ il cuore della fede, la scaturigine delle energie di resurrezione per il credente. Chi รจ dunque il credente? O, se vogliamo, che cosa crede il credente? Sempre Giovanni lo esprime nella sua prima lettera: โNoi abbiamo creduto allโamore che Dio ha per noiโ (1Gv 4,16). La fede cristiana รจ sempre, in radice, credere allโamore di Dio per noi. Quellโamore che ha trovato forma ed รจ divenuta storia nella vita di Gesรน di Nazaret, di colui che, โavendo amato i suoi che erano nel mondo, li amรฒ fino alla fineโ (Gv 13,1).
Ma ancora. Se Dio รจ allโorigine e al termine della missione di Gesรน, รจ anche allโorigine della fede del credente: โNessuno puรฒ venire a me se non lo attira il Padreโ (Gv 6,44). Questa attrazione รจ specificata come ascolto e insegnamento ricevuto (cf. Gv 6,45), termini che rinviano alla Scrittura, โcattedraโ da cui il Padre fa sentire la sua voce e rivolge agli uomini tutti (Gv 6,45; 12,32) lโinvito a credere in colui che egli ha mandato. Grazie allโascolto della parola di Dio contenuta nella Scrittura il credente diverrร un teodidatta. Ma il riferimento non รจ solo alla Scrittura. La cattedra, in questo caso, รจ anche il Maestro. Ovvero, la Parola fatta carne in Gesรน di Nazaret dice che ormai la parola e la vita di Gesรน ammaestrano lโuomo e sono fonte di ammaestramento e di insegnamento.
E di un insegnamento che viene da Dio. Colui che dice โNessuno puรฒ venire a me se non lo attira il Padreโ (Gv 6,44) รจ lo stesso che dice: โNessuno viene al Padre se non per mezzo di meโ (Gv 14,6). Siamo al cuore del paradosso della fede cristiana come lo esprime il IV vangelo: nessuno puรฒ venire al Figlio e aderire a Lui senza aver ricevuto lโinsegnamento del Padre; ma nessuno puรฒ imparare dal Padre se non attraverso il Figlio e lโascolto del Figlio. Lโazione dello Spirito santo, del Paraclito, scioglie il paradosso, lui che, inviato dal Padre, insegna e ricorda tutto ciรฒ che Gesรน ha detto, ma le parole che Gesรน insegna non sono sue, ma del Padre che lo ha mandato (cf. Gv 14,24).
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del: Monastero di Bose



