Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 3 Maggio 2020

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Gesรน, la porta aperta sulla vita

La quarta domenica di Pasqua contempla il Risorto quale pastore della chiesa. Il pastore indica al gregge la via da percorrere e il Cristo-Pastore indica alla chiesa la via che essa deve seguire. La pagina evangelica dellโ€™annata A (Gv 10,1-10) รจ tratta dal capitolo decimo del vangelo secondo Giovanni, ma non contiene ancora lโ€™esplicita affermazione di Cristo quale โ€œpastoreโ€ (รจ solo al v. 11 che si incontra lโ€™autorivelazione โ€œIo sono il buon pastoreโ€), insiste invece sullโ€™immagine della porta (โ€œIo sono la portaโ€: v. 9). Ovvero, la pagina evangelica dichiara che Cristo รจ la porta attraverso cui deve passare il cammino del discepolo: si tratta di un cammino spirituale di ascolto, sequela e conoscenza del Signore (vv. 3-4).

Lโ€™immagine della porta ha una forte valenza simbolica e antropologica che forse, in giorni di confinamento domestico a causa del coronavirus, cogliamo con maggiore forza. Quando gli stipiti della porta di casa diventano come novelle colonne dโ€™Ercole che รจ quasi tabรน valicare, ecco che la normalitร  ripetitiva dellโ€™uscire di casa e del rientrarvi a piacimento viene posta in discussione e ci conduce a riflettere su quegli atti di entrare e uscire che lโ€™abitudine ci ha resi scontati. La mobilitร  della porta rende il limite del riparo costruito dallโ€™uomo, sia esso casa o qualunque altro edificio, un limite che non imprigiona ma che รจ a servizio della libertร  sia quando protegge lโ€™intimitร  della persona allโ€™interno sia quando la apre alle relazioni allโ€™esterno. Immagine di chiusura e apertura, di intimitร  e di relazione, di protezione e di esposizione (di inspirazione e di espirazione), la potenza antropologica del simbolo della porta viene applicata dal quarto evangelista a Cristo stesso. Infatti, attraverso la porta che รจ Cristo stesso, si entra e si esce (v. 9). Entrare e uscire รจ tipica formula polare semitica che indica una totalitร , tutta la vita umana riassunta nei due atti fondamentali di entrare e uscire: dalla nascita, lโ€™uscita dal seno materno, allโ€™uscire ed entrare in casa e negli spazi della vita, fino allโ€™uscita definitiva con la morte. Il simbolo della porta applicato a Cristo indica dunque il compito del cristiano di vivere ricominciando sempre la sequela di Cristo, ovvero passare attraverso la porta che รจ Cristo. La vita in abbondanza portata da Gesรน (v. 10) รจ questa nostra unica vita innestata in Cristo e in lui risignificata.

Come la porta segna un dentro e un fuori, opera dunque un discrimen, essa, applicata a Cristo attua anche un giudizio: โ€œChi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da unโ€™altra parte, รจ un ladro e un briganteโ€ (v. 1). Il pastore del gregge entra nellโ€™ovile attraverso la porta, non ha certo bisogno di entrate secondarie, di sotterfugi: egli entra per la via diretta e visibile, non per vie nascoste. Chi entra, o forse meglio, penetra, allโ€™interno per altre vie, รจ un malfattore che viene non per pascere, ma per rubare e sottrarre, per portare morte e non vita. Lโ€™immagine pastorale diviene cristologica giร  nel v. 10 dove Gesรน afferma di sรฉ di essere venuto per dare la vita in abbondanza. Ma se il pastore Gesรน รจ venuto perchรฉ gli uomini abbiano la vita in abbondanza, ladri e briganti invece vengono per โ€œrubare, sacrificare (la Bibbia CEI traduce โ€œuccidereโ€) e far perireโ€ (Gv 10,10). Di costoro Gesรน dice che โ€œsono venuti prima di meโ€, ma questo non va inteso in senso cronologico, quasi che si riferisse ai personaggi della prima alleanza. Ignazio di Antiochia ha compreso bene: โ€œCristo รจ la porta del Padre, attraverso la quale entrano Abramo, Isacco e Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesaโ€ (Ai Filadelfesi IX,1). Si tratta invece dei falsi messia che si presentano agli uomini avanzando la pretesa di essere dei salvatori: quandโ€™anche venissero dopo (cronologicamente) rispetto a Gesรน, essi rientrerebbero nel novero degli usurpatori qui intravisti. Il criterio discriminante che dice lโ€™autenticitร  della missione รจ nel sottrarre per sรฉ o nel donare, nel portare morte o nel portare vita, nel servire la vita di ogni singola pecora (il pastore chiama ogni pecora โ€œper nomeโ€, con attenzione profonda alla singolaritร  di ciascuno), di ogni individuo, o nel servirsene e nellโ€™usare per sรฉ, nellโ€™abusare, nello sfruttare le persone per i propri fini. In particolare viene condannato il sacrificare: ovvero, il togliere vita in nome di Dio, il servirsi delle persone per scopi religiosi fino ad annientarle, lโ€™usare il nome di Dio e la religione per fare violenza, il togliere la libertร  alle persone dando forma nuova agli antichi sacrifici umani.

Il testo evangelico parla di unโ€™uscita, di un esodo che il Cristo pastore fa fare alle sue pecore, a coloro che sono suoi: vv. 3-4. Il vocabolo usato da Giovanni per indicare lโ€™ovile, il recinto delle pecore (10,1) non รจ il termine usuale per indicare questa realtร , ma il termine aulรฉ, che indica il vestibolo del tempio (cf. Es 27,9; 2Cr 6,13; 11,16; Ap 11,2), lโ€™atrio del tempio. Anzi, in v. 4 si parla di cacciare fuori, ekballein, con il verbo usato anche in Gv 2,13-22 quando si tratta della cacciata dal tempio delle pecore e degli animali per i sacrifici. Come detto, al v. 10 si parla di โ€œsacrificareโ€, e i sacrifici si fanno al tempio. E come qui vengono denunciati ladri e briganti, altre volte, riprendendo il profeta Geremia che denunciava che il tempio era diventato spelonca di briganti, di ladri, di lestaรฌ (Ger 7,11), Gesรน aveva pronunciato parole simili sul tempio e su coloro che lo avevano ridotto a luogo di commercio e di compravendita, di affari economici (Mc 11,17). Insomma Giovanni vuole dire che non รจ il tempio ma il corpo di Gesรน, la vita di Gesรน culminata nella sua morte e resurrezione, che dร  accesso alla comunione con Dio, รจ la porta che immette nella vita con il Padre. Questo il senso giร  delle parole profetiche di Gv 2,19-22, quando Gesรน parlava del tempio del suo corpo. Lโ€™esodo infatti non รจ solo un movimento negativo, di uscita, di presa di distanza, bensรฌ anche di ingresso, รจ un movimento esistenziale totale. Ormai tutta la vita, colta come sequela di Gesรน Cristo, รจ un movimento di esodo, di liberazione e salvezza. Si tratta di passare attraverso la porta che รจ Cristo stesso: allora uno โ€œentrerร  e uscirร โ€, cioรจ vivrร  pienamente la sua vita umana in Cristo, trovando nutrimento in Cristo. Se poi Cristo รจ la โ€œportaโ€ che conduce alla salvezza (Gv 10,9) e se la porta fa parte dellโ€™edificio a cui permette lโ€™accesso, Gesรน รจ al tempo stesso il mediatore della salvezza e la salvezza stessa. Gesรน รจ la Via verso il Padre, ma รจ anche la Vita (Gv 14,6): in Gesรน troviamo la vita del Padre.

La figura del pastore domina i vv. 2-4 ed รจ di fatto presente anche nel v. 5, che definisce lโ€™estraneo in maniera puramente negativa negando riguardo a lui ciรฒ che prima รจ stato affermato del pastore (se โ€œil pastore cammina davanti alle sue pecore ed esse lo seguono perchรฉ conoscono la sua voceโ€, invece le pecore โ€œnon seguiranno un estraneo, ma fuggiranno via da lui perchรฉ non conoscono la voce di un estraneoโ€). Emerge la forte densitร  teologica del linguaggio: i temi della voce del pastore, delle pecore che lo seguono e che conoscono la sua voce, sono troppo evocatori nel IV vangelo per essere semplicemente i tratti descrittivi di una parabola, in cui i vari elementi del discorso (recinto, porta, pecore, custode, pastore, ladro, ecc.) rinviano a una scena di vita pastorale quotidiana nel mondo palestinese. In realtร  nel testo giovanneo i riferimenti agli usi consueti nella vita pastorale palestinese sono trasformati e applicati a un altro contesto piรน densamente teologico e rivelativo. Il passaggio diviene esplicito a partire dal v. 7 (e fino al v. 18) in cui Gesรน parla alla prima persona, a differenza del discorso enigmatico dei vv. 1-5 in cui il discorso รจ alla terza persona.

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Se la nostra pagina evangelica contiene un giudizio, in realtร  presenta anche una dimensione di consolazione per la comunitร  cristiana. Perchรฉ? Perchรฉ si afferma che, se anche vi sono falsi pastori, lupi vestiti da agnelli, falsi maestri e falsi dottori (il NT รจ pieno di questi pseudo: persone con responsabilitร  ecclesiale ma senza mandato, persone con ruoli di autoritร  che svolgono il ministero come esercizio di potere e non come servizio, o che cercano di spadroneggiare sulle coscienze altrui in forza della posizione che rivestono), e se vi sono, come dice Giovanni, salariati, banditi e ladri, cโ€™รจ perรฒ anche un sensus fidei fidelium, un senso delle pecore che sanno fiutare e discernere il vero dal falso pastore: โ€œUn estraneo le pecore non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perchรฉ non conoscono la voce degli estraneiโ€ (v. 5) . Non esiste solo lโ€™odore delle pecore, come ripete papa Francesco, ma esiste anche il fiuto delle pecore, la capacitร  di ascoltare la voce del Signore, di discernere la voce del vangelo nelle parole e nella testimonianza di chi se ne fa servo. Un antico testo cristiano afferma che criterio di discernimento del vero dal falso profeta รจ che abbia โ€œi modi del Signoreโ€ (Didachรฉ 11,8). Avere i modi del Signore significa conoscere e far proprie le modalitร  con cui, secondo i vangeli, Gesรน, il Signore, vive: lโ€™acquisizione del discernimento รจ data dalla conoscenza e dallโ€™assunzione dei modi del Signore grazie allโ€™assiduitร  con il vangelo.

A cura di Luciano Manicardi – Fonte


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