Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 26 Luglio 2020

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Una radicalitร  gioiosa

Come giร  nelle due precedenti domeniche, anche la liturgia della XVII domenica del tempo Ordinario dellโ€™annata A presenta un brano evangelico tratto da quel capitolo tredicesimo del vangelo secondo Matteo che contiene essenzialmente delle parabole. E le prime due parabole – brevissime – che aprono la pericope liturgica, la parabola del tesoro (Mt 13,44) e quella della perla (Mt 13,45-46), sono spesso presentate come parabole gemelle. Ma accanto alle analogie che balzano allโ€™occhio giร  a una prima lettura, si devono cogliere anche le differenze che una lettura attenta fa emergere tra le due. Entrambe parlano del โ€œRegno dei cieliโ€ (vv. 44.45), ma con immagini diverse. Ci si potrebbe chiedere perchรฉ il proliferare di immagini paraboliche per parlare dellโ€™unica e medesima realtร  del regnare di Dio. Non basta una sola parabola per parlare del Regno perchรฉ le parabole non definiscono il Regno, che, appunto, รจ al di lร  di ogni definizione. Le parabole, invece, da un lato, accennano a quellโ€™agire di Dio che รจ eccedente la misura – tanto di ragionevolezza quanto di immaginazione – umana, e dallโ€™altro, ne evocano lโ€™impatto sugli umani. Solo dunque una pluralitร  di parabole puรฒ rendere adeguatamente conto di una realtร  che eccede la misura umana. Le parabole devono pertanto essere narrate lโ€™una accanto allโ€™altra e lโ€™una dopo lโ€™altra per evocare nella loro pluralitร  lโ€™evento inesauribile del Regno di Dio. Come esiste una pluralitร  di vangeli e non uno solo, cosรฌ esiste una pluralitร  di parabole e non una sola. E come i vangeli presentano aspetti differenti e in tensione tra di loro, cosรฌ le parabole non devono solo essere addizionate lโ€™una allโ€™altra, ma completarsi lโ€™una con lโ€™altra, correggersi lโ€™una con lโ€™altra, dispiegare le loro peculiaritร  e diversitร  suggerendo al lettore-ascoltatore una pluralitร  di vie con cui Dio si manifesta allโ€™uomo e con cui lโ€™uomo puรฒ accogliere lโ€™irruzione di Dio nella sua vita. Insomma, questo pluralismo rispetta e onora il mistero di Dio e degli umani. Onora la pluralitร  delle forme della presenza di Dio nella storia.

In entrambe le parabole lโ€™uomo che ha โ€œtrovatoโ€ o un tesoro o una perla reagisce a tale scoperta vendendo tutto ciรฒ che ha per acquistare quel bene. Ma lโ€™uomo che trova il tesoro lo trova senza cercarlo, mentre il mercante che trova la perla di grande valore รจ un cercatore: egli โ€œva in cerca di belle perleโ€ (kaloรนs margarรญtas). Centrale, e comune alle due parabole, รจ il โ€œtrovareโ€, il ritrovamento, non nel senso di ritrovare, di recuperare ciรฒ che si era perduto (come nella parabola della pecora perduta e della moneta perduta: Lc 15,4-7.8-10), ma nel senso della scoperta, di un novum che irrompe nella vita e nella vicenda di una persona e che ha il potere di sconvolgerne e trasformarne lโ€™esistenza. Nella prima parabola, tuttavia, questo ritrovamento sembra fortuito, mentre nella seconda avviene a seguito di una ricerca. E se la ricerca dice una mancanza e una sete, essa ha a che fare con il desiderio. Lโ€™effetto sorpresa del ritrovamento sembra pertanto maggiore nella prima parabola, dove, in effetti, a differenza della parabola della perla, si specifica la reazione emotiva di colui che ha trovato il tesoro e, โ€œpieno di gioiaโ€, vende tutti i suoi averi e compra quel campoโ€ (v. 44). Nella seconda parabola il ritrovamento รจ preceduto dalla ricerca, ma la perla trovata sorprende il cercatore stesso. Egli cercava belle perle e ora trova una perla preziosissima. La parabola presenta il passaggio dalle molte perle allโ€™unica e sola perla il cui valore supera tutte le altre. Si passa da un ordine di tipo quantitativo a un ordine qualitativo. La perla trovata eccede la ricerca stessa del mercante, supera la sua attesa, e sembra rendere non piรน necessaria la ricerca di altre โ€œbelle perleโ€. La parabola non dice cosa questโ€™uomo faccia della perla trovata, come la utilizzi, ma solo che essa acquisisce per lui un valore immenso: essa ha valore di per sรฉ, tanto che egli vende tutto per acquistarla. รˆ come se, metaforicamente, qui fossimo di fronte alla scoperta di ciรฒ che dร  valore a tutto, al senso che dร  senso a tutti sensi che noi possiamo accordare al vivere. Questa scoperta trasforma anche la ricerca e il desiderio del cercatore: ha valore trasformativo. Trovando la perla preziosissima (polรฝtimon), il mercante trova altro da ciรฒ che cercava. Chi cerca, desidera, e chi desidera, immagina lโ€™oggetto del desiderio. Qui la perla trovata opera per questโ€™uomo il passaggio dallโ€™immaginazione alla realtร  e lo conduce a una trasformazione esistenziale. A uno sconvolgimento esistenziale. Entrambi i protagonisti delle due parabole, per accogliere ciรฒ che hanno trovato sono condotti a uno spogliamento, a uno spossesso: vendono tutti i loro averi. Capiamo che dietro al tesoro e alla perla si cela il vangelo stesso, il tesoro per cui vale la pena di vendere tutto, di lasciare tutto e seguire Gesรน. Ciรฒ che nella parabola รจ espresso con il verbo โ€œtrovareโ€ altrove, nel vangelo, รจ espresso con il verbo โ€œincontrareโ€. Non dirร  forse Gesรน al giovane ricco che aveva incontrato: โ€œVaโ€™, vendi quanto possiedi, dร llo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimiโ€(Mt 19,21)? A questo punto possiamo ricomprendere le due parabole aiutandoci con unโ€™antica invocazione: โ€œTu il tesoro, Tu la perla preziosa; O Signore, Tu hai incontrato me, non io ho trovato Te; Tu hai conquistato e afferrato me, non io ho acquistato Te; o mio Tu, io sono tuoโ€. Il vero soggetto delle parabole non รจ lโ€™uomo che ha acquistato il campo o il mercante che ha acquistato la perla, ma proprio il tesoro, proprio la perla preziosa; essi sono la luce che dร  nuovo senso e orientamento alla vita e in nome e in vista di cui si puรฒ vendere tutto, abbandonare tutto. E farlo nella gioia. La radicalitร  cristiana รจ autentica se sigillata dalla gioia. Anzi, la gioia รจ costitutiva di tale radicalitร , perchรฉ questa va vissuta come grazia e nel rinnovarsi di una quotidiana gratitudine: noi siamo grati di essere nella gioia.

Lโ€™esperienza di chi trova il tesoro o la perla e vende tutto per essi รจ lโ€™esperienza di chi sente la parola di Dio che gli dice: โ€œTu sei prezioso ai miei occhi e io ti amoโ€ (Is 43,4). รˆ questo amore il segreto della gioia della radicalitร  di una vita cristiana, รจ questo amore il bene prezioso da custodire e salvaguardare, รจ questo amore del Signore e per il Signore che puรฒ rinnovare vite tentate da vecchiezza, stanchezza, insensibilitร , cinismo, indifferenza, demotivazione. A noi che nella preghiera diciamo al Signore: โ€œSei tu il mio Signore, nessun bene per me al di fuori di teโ€ e โ€œSei tu il mio unico beneโ€ (Sal 16,2) e ancora โ€œIn te, o Dio, gioisce il mio cuore, esulta il mio intimoโ€ (Sal 16,9), รจ chiesto di metterci alla prova se Cristo abita in noi (cf. 2Cor 13,5). E questo perchรฉ noi abitiamo lร  dovโ€™รจ il nostro tesoro: รจ il tesoro che ci colloca, che ci situa. Se Cristo abita in noi, noi dimoriamo in Cristo e allora possiamo gioire di gioia indicibile nel cammino verso il Regno. Cโ€™รจ solo da riscoprire ogni giorno la preziositร  del dono ricevuto combattendo la tentazione del banale, dello scontato, del โ€œtutto รจ dovutoโ€.

Una terza parabola segue quelle del tesoro e della perla. Si tratta ancora di una parabola del Regno ma espressa con immagini tratte dal mondo della pesca (Mt 13,47-48). Questa ulteriore parabola ha anchโ€™essa qualcosa da insegnare circa il Regno di Dio. Lโ€™immagine รจ quella di pescatori che, con una rete a strascico gettata nel lago di Genesaret (chiamato โ€œmareโ€ in Mt 13,1 e 4,18), raccolgono ogni genere di pesci. Trascinata a terra la rete, avviene una cernita tra i pesci buoni e quelli cattivi, ovvero quelli commestibili e quelli impuri o non commestibili. I primi vengono racconti in canestri, i secondo gettati via (letteralmente: gettati โ€œfuoriโ€). I vv. 49-50 propongono unโ€™interpretazione escatologica della parabola: si parla espressamente di โ€œfine del mondoโ€ (o della storia) e, riprendendo essenzialmente il momento della cernita dei pesci, si annuncia la realtร  del giudizio finale. Questa parabola, la settima e ultima nel capitolo tredicesimo di Matteo, presenta la prospettiva del giudizio finale come punto di osservazione che suggerisce al lettore la gravitร  e serietร  della situazione e lโ€™urgenza di una scelta nellโ€™oggi storico. Di fronte al regnare di Dio che si รจ manifestato nella persona e nel ministero di Gesรน, occorre una scelta per orientare la propria vita sulla scia del rabbi di Nazaret.

Il discorso in parabole si conclude con una domanda di Gesรน ai suoi discepoli sulla comprensione di โ€œtutte queste coseโ€ (v. 51; cf. Mt 13,34), cioรจ, i โ€œmisteri del Regno dei cieliโ€ (Mt 13,11). La risposta affermativa dei discepoli li assimila al seme seminato sul terreno buono: infatti questi โ€œรจ colui che ascolta la parola e la comprendeโ€ (Mt 13,23). La replica di Gesรน รจ forse una maniera discreta con cui Matteo appone la propria firma e rappresenta se stesso come scriba divenuto discepolo di Gesรน, colui che รจ il Regno di Dio in persona. Ma questa parola diviene anche un invito alla sapienza rivolto al discepolo affinchรฉ sappia integrare nuovo e antico, in cui il nuovo รจ espressione nellโ€™oggi dellโ€™antico e lโ€™antico รจ fondamento del nuovo. Principio che vale certamente per il primo Testamento riletto e attualizzato nel Nuovo, ma anche per le stesse parole evangeliche che devono essere riespresse in ogni epoca in modo nuovo. Anche oggi.

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A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose


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