Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 22 Novembre 2020

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Il nostro sguardo a giudizio

La pagina evangelica che chiude lโ€™annata liturgica A รจ costituita dallo straordinario affresco del giudizio universale che Matteo dipinge con la sua penna (Mt 25,31-46). Non si tratta di una parabola ma di una grandiosa visione giudiziale. Al centro vi รจ il Figlio dellโ€™uomo descritto come giudice escatologico che siede sul seggio del giudizio di fronte a cui si presentano โ€œtutte le gentiโ€ (Mt 25,32), ovvero la totalitร  dei popoli della terra: Israele e le genti. Costruita riprendendo immagini dal Primo Testamento (Dn 7,13-14; Zc 14,5), la scena รจ escatologica: il Figlio dellโ€™uomo (v. 31), assistito dai suoi angeli (v. 31), il re (vv. 34.40), opererร  il giudizio mediante una separazione. Cosรฌ come altre volte il giudizio finale รจ espresso dallโ€™immagine della separazione del grano dalla zizzania (Mt 13,24-30.36-43) e dei pesci buoni da quelli cattivi (Mt 13,47-50). Si tratta di una visione in cui il Cristo appare come re e come Giudice di tutta lโ€™umanitร . E il giudizio universale sarร  anche un giudizio personalissimo, di ciascuno. Al neutro plurale pร nta tร  รฉthne, del v. 32 corrisponde nello stesso versetto il plurale maschile โ€œliโ€ separerร . Separerร , come specifica il testo, โ€œgli uni dagli altriโ€ (v. 32). E forse, separa allโ€™interno stesso di ciascun uomo, se รจ vero, come annota Ambrogio, che โ€œil medesimo uomo รจ in parte salvato e in parte condannatoโ€ (In Ps. CXVIII Exp., 57). Lโ€™universalitร  e totalitร  non รจ solo nel senso dellโ€™estensione, ma anche della profonditร  che raggiunge il cuore umano: si tratta del giudizio di tutti gli uomini, ma anche di tutto lโ€™uomo.

Colpisce poi che la grandiosa visione che abbraccia lโ€™intera umanitร  si accompagni allo sguardo posato su ciascuno e, in particolare, su quelle persone che normalmente sono le piรน invisibili: poveri, malati, carcerati, affamati, assetati, stranieri, ignudi โ€ฆ Non a caso il nostro testo li chiama โ€œminimiโ€ (vv. 40.45). La logica รจ quella del tutto nel frammento. La caritร  verso il bisognoso, il gesto di condivisione che รจ cosรฌ semplice, umano, quotidiano, alla portata di tutti, credenti e non credenti, diviene ciรฒ su cui si esercita il giudizio finale. Lโ€™esempio di Martino di Tours, secondo la narrazione agiografica di Sulpicio Severo, รจ emblematico. Dopo aver diviso con la spada il suo mantello per coprire la nuditร  di un povero mendicante alle porte di Amiens, in un rigido inverno, Martino ebbe la visione in sogno di Cristo che gli diceva: โ€œMartino, tu mi hai rivestito con il tuo mantelloโ€. Cristo รจ identificato con il povero, come nella nostra pagina evangelica. Un gesto cosรฌ elementarmente umano, cosรฌ poco sensazionale e prodigioso viene narrato come un grande miracolo e indirizza il giudizio escatologico. Venanzio Fortunato commenta la medesima scena con queste parole: โ€œFra entrambi i poveri รจ diviso il calore e il freddo, il freddo e il caldo diventano oggetto di scambio, lโ€™uno riceve una parte del tepore, lโ€™altro prende una parte del freddo: una stessa povertร  รจ condivisa da due personeโ€.

La pagina di Matteo ci pone di fronte allo sguardo di Cristo che vede ciรฒ che gli umani non vedono o faticano a vedere. E questo sguardo non solo dร  rilievo agli invisibili della storia, che sono spesso anche i senza voce, ma spiazza anche i destinatari del giudizio che restano tutti sorpresi nel ricevere la rivelazione di ciรฒ che hanno o non hanno fatto. Sia i benedetti che i maledetti dicono: โ€œQuando mai ti abbiamo visto affamato o malato e abbiamo fatto o non abbiamo fatto?โ€ (vv. 37.38.39.44). E cosรฌ lo sguardo del Giudice escatologico interpella anche noi sullo sguardo e sul giudizio che portiamo sugli altri. Il giudizio del Figlio dellโ€™uomo giudica il tipo di sguardo che abbiamo sul povero e sul bisognoso. Giudica il nostro giudicare lโ€™altro per cui il carcerato รจ uno che ha ricevuto ciรฒ che si merita, lo straniero รจ uno che disturba la nostra tranquillitร , il malato รจ uno che sconta i suoi peccati, il povero uno che potrebbe lavorare di piรน โ€ฆ Il giudizio divino giudica il nostro chiudere le viscere a chi รจ nel bisogno (cf. 1Gv 3,17). Giudica il nostro sguardo che vede nellโ€™altro un colpevole e non una vittima. Lo sguardo che Gesรน ha sempre avuto nei suoi incontri con tante persone nel corso sua vita ha sempre visto la sofferenza degli umani ben piรน e ben prima che il loro peccato.

Lโ€™universalitร  del giudizio emerge anche dal fatto che si fonda sulla valutazione di gesti umani, umanissimi, fatti (o non fatti) da credenti e da non credenti. I semplici gesti di aiuto, caritร  e vicinanza espressi in Mt 25,31-46 (dar da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, vestire chi รจ nudo, visitare chi รจ in carcere e chi รจ malato, vestire chi รจ nudo, accogliere chi รจ straniero) costituiscono una sorta di grammatica elementare dellโ€™umana relazione con lโ€™altro. Una grammatica senza la quale non si potrร  mai comporre una frase veramente cristiana. Il volto supplice dellโ€™altro mi interpella: lโ€™uomo รจ colui che risponde di un altro uomo.

Se il giudizio si fonda sulla tradizione ben nota al mondo giudaico delle โ€œopere di misericordiaโ€ (tradizione che vi vedeva una imitatio Dei, un fare agli altri ciรฒ che Dio stesso ha fatto per lโ€™uomo), qui la novitร  consiste nel fatto che il Giudice si identifica con i destinatari delle azioni misericordiose: โ€œTutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli piรน piccoli, lโ€™avete fatto a meโ€ (v. 40). Se tutti sono spiazzati e sorpresi dalle parole del Giudice escatologico (vv. 39.44: โ€œQuando mai ti abbiamo visto โ€ฆ?โ€), noi dobbiamo rilevare che ben diversa รจ la sorpresa dei benedetti e quella dei maledetti: cโ€™รจ una ignoranza benedetta del bene che si compie e cโ€™รจ una ignoranza nefasta del male che si compie (o del bene che non si compie). E in effetti questa pagina evangelica pone lโ€™accento su quella dimensione del nostro peccare che รจ la piรน diffusa: lโ€™omissione. Chi mai, infatti, puรฒ sfuggire allโ€™omissione? Chi mai puรฒ dire in assoluta certezza di aver fatto davvero tutto ciรฒ che era in suo potere di fronte a una determinata situazione di bisogno? Nรฉ vale il dire di non aver visto: i nostri occhi si chiudono di fronte a visioni di sofferenti e i nostri orecchi si chiudono di fronte a chi cerca di dire il proprio dolore. Temiamo il contagio. Da dove dunque attingere la forza per reggere il peso del bisogno altrui e non lasciarcene schiacciare, come pure puรฒ avvenire? Perchรฉ cโ€™รจ anche un aiutare senza discernimento e un amare senza intelligenza. Unโ€™indicazione viene da abba Antonio: โ€œChi pecca contro il prossimo, pecca contro se stesso; chi fa torto al suo prossimo, pecca contro se stesso; chi fa del bene al suo prossimo, fa del bene a se stesso e chi sa amare se stesso, ama anche gli altriโ€. E lโ€™Antico Testamento: โ€œA partire da te intendi i desideri del tuo prossimoโ€ (Sir 31,15). Il nostro desiderio ci puรฒ istruire su come fare il bene agli altri: il desiderio di bene che noi vorremmo ricevere e conoscere, ci puรฒ dire qualcosa sugli altri e sul loro bisogno. Gesรน dice: โ€œTutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, voi fatelo a loroโ€ (Mt 7,12). E amando lโ€™altro amerรฒ anche il Signore. Quanti racconti nella letteratura monastica (ma anche nella letteratura tout court, come nello splendido racconto di Tolstoj dal titolo Dove cโ€™รจ lโ€™amore, cโ€™รจ Dio) in cui facendo il bene in maniera semplice e quotidiana a un misero, dando da bere a una persona assetata, dando riparo a una persona smarrita, portando sulle spalle un anziano, si scopre di aver fatto questo a Cristo stesso. Non perchรฉ quella persona non fosse un vecchio o un assetato o uno che ha perso la strada, ma perchรฉ Dio รจ in quellโ€™amore, in quella uscita da sรฉ in totale gratuitร . โ€œL’amore per Dio, scrive Gustavo Gutierrez, non puรฒ far altro che esprimersi nell’amore per il prossimoโ€.

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Negli esempi di aiuto e prossimitร  enumerati nel testo evangelico vi รจ un aspetto spesso trascurato nella riflessione: lโ€™attitudine di lasciarsi aiutare, di lasciarsi avvicinare, toccare, curare, servire. La capacitร  e lโ€™umiltร  di lasciarsi amare fattivamente. Una capacitร  che rivela una dimensione di povertร  piรน radicale della malattia o della fame o della nuditร  e che si chiama umiltร . Lโ€™umiltร  che puรฒ nascere dalle umiliazioni operate dalla vita o procurate dagli uomini. E lasciarsi amare fattivamente significa lasciarsi toccare, affidare il proprio corpo malato o affamato o nudo alle cure di un altro. Del resto, la caritร  รจ attenzione e sollecitudine per il corpo dellโ€™altro. E poichรฉ il corpo รจ la realtร  umana piรน spirituale, รจ attraverso il contatto con il corpo ferito, mancante, sofferente, bisognoso, che noi ricreiamo le condizioni di dignitร  dellโ€™uomo ferito, offeso e ingiuriato dalla vita. Nello stesso tempo, noi affermiamo la nostra personale dignitร  umana prendendoci cura di lui. Ma anche chi si lascia avvicinare cosรฌ intimamente da esporsi nel proprio bisogno allโ€™attiva caritร  delle mani e del cuore di altri, osando la propria povertร , attua unโ€™apertura essenziale allโ€™altro e allโ€™essere amato. E cosรฌ avviene uno scambio di doni, un incontro tra due povertร , la reciprocitร  di un movimento di amore che, questo sรฌ, รจ effettivamente un miracolo. Un miracolo che puรฒ accadere quotidianamente.

A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose


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