Lโaltro malfattore, figura del discepolo
Lโultima domenica dellโanno liturgico celebra Cristo quale Signore e re dellโuniverso. E nellโannata C tale regalitร รจ espressa dallโepisodio detto del โbuon ladroneโ, tratto dal racconto della passione di Gesรน nel terzo vangelo (Lc 23,35-43). Prima di commentare il testo รจ necessaria una premessa riguardante proprio lโespressione sempre ripetuta di โbuon ladroneโ. La dizione piรน aderente al testo รจ โlโaltro malfattoreโ. A differenza di Marco e Matteo che definiscono lฤstaรญ (โbrigantiโ: Mc 15,27; Mt 27,38.44) i due uomini crocifissi con Gesรน, Luca parla di kakoรปrgoi (โmalfattoriโ). Il raro termine รจ tipico di Luca per designare i due condannati alla crocifissione insieme con Gesรน (23,32.33.39). Meglio dunque tralasciare lโinterpretazione moraleggiante che ha partorito il โbuon ladroneโ e restare fedeli al testo evangelico che assicura che quellโuomo non abita la sfera della bontร , ma della malvagitร , come specifica la prima parte (kakรณs) del termine kakoรปrgos.
Questโuomo รจ un malfattore, uno che ha operato il male, senza che sia specificato il delitto o i delitti di cui si รจ macchiato. Il testo lo definisce โlโaltroโ (ho hรฉteros: Lc 23,40) malfattore, in quanto prende la parola dopo che il suo compagno di condanna ha bestemmiato Gesรน. Dunque cosรฌ, semplicemente, lo si puรฒ chiamare: lโaltro malfattore. Accanto poi alla dimensione del โmaleโ, Luca sottolinea quella del โfareโ, presente nella seconda parte del composto kakoรปrgos, โmal-fattoreโ, evocando a piรน riprese il fare o non-fare il male, lโagire o non-agire ingiustamente: Lc 23,31.32.33.34.39.41. Si pensi, in particolare, alle parole di Gesรน che invocano il perdono per coloro che โnon sanno quello che fannoโ (v. 34) e a quelle dellโaltro malfattore che, rivolgendosi al ladrone che bestemmia Gesรน, gli ricorda che la pena a cui essi sono sottoposti รจ commisurata a quanto hanno commesso (โriceviamo il degno [castigo] di ciรฒ che abbiamo fattoโ) mentre Gesรน โnon ha fatto nulla di maleโ (v. 41).
Avvenuta la crocifissione (Lc 23,33-34), Luca annota che โil popolo stava lร e contemplavaโ (v. 35). Non si tratta di un guardare mosso da volgare curiositร o da compiacimento maligno. Lโatteggiamento indicato dal verbo theorรฉo, โcontemplare, guardare riflettendoโ, qui usato, comparirร anche piรน avanti (nella forma del sostantivo theorรญa) come atteggiamento del popolo che, osservando il crocifisso, perviene al pentimento (Lc 23,48). Si tratta dunque di un atteggiamento connotato in senso positivo verso Gesรน. In contrasto con lโattitudine del popolo, Luca elenca le derisioni, gli scherni e le bestemmie rispettivamente dei capi, dei soldati e di uno dei co-crocifissi con Gesรน (vv. 35-39). Ciรฒ che viene rimproverato a Gesรน e deriso di lui รจ la qualitร messianica: โCristo di Dioโ (v. 35), โre dei Giudeiโ (v. 37), โCristoโ (v. 39). Agli occhi e nella mente di chi gli rivolge le accuse di usurpare il titolo di Messia, la sua incapacitร di salvarsi dimostra che egli รจ un falso messia. Per loro โsalvare la propria vitaโ รจ il sigillo dellโautentica messianicitร . Invece, รจ esattamente lโauto-salvezza ciรฒ che รจ impossibile nello spazio cristiano e che contraddice radicalmente la salvezza cristiana. Gesรน aveva annunciato: โChi vuole salvare la propria vita, la perderร , ma chi perderร la propria vita per me, la salverร โ (Lc 9,24). Ma prima di annunciare che chi perderร la vita a causa sua, la salverร , egli stesso รจ passato attraverso lโesperienza del perdere la
propria vita. Mettere in salvo la propria vita รจ la grande tentazione a cui Gesรน si รจ opposto giร durante le tentazioni inaugurali del suo ministero (cf. Lc 4,1-13). Ed รจ la tentazione perenne del cristiano e della chiesa. Infatti, vale anche per la chiesa il detto di Gesรน per cui chi vuole salvare se stesso, ovvero chi fa di se stesso un fine, il proprio fine, perde se stesso. La regalitร di Gesรน รจ derisa (v. 35: Luca riprende il verbo ekmukterรญzein presente anche in Sal 22[21],8) dai capi religiosi; รจ ridicolizzata, schernita, presa in giro dai soldati romani (v. 36: verbo empaรญzein, cf. Lc 14,29; 18,32; 22,63), รจ insultata, ingiuriata, oltraggiata da uno dei condannati accanto a lui (v. 39: Luca utilizza il verbo blasphemeรฎn, giร usato in 22,65, che significa โoltraggiareโ, ma che, a orecchie cristiane, suona come bestemmia perchรฉ si rivolge contro il Figlio di Dio).
Insomma, la regalitร di Gesรน o รจ rifiutata con disprezzo e derisione (vv. 35-36) o รจ cercata per essere sfruttata a proprio vantaggio (v. 39). Dal punto di vista teologico e spirituale si puรฒ affermare che Gesรน abita lo scandalo del Messia perduto che puรฒ cosรฌ raggiungere chiunque si trovi in situazioni di perdizione. Del resto, noi sappiamo che condizione indispensabile per incontrare e aiutare lโaltro nella sua sofferenza, รจ condividere qualcosa della sua impotenza e debolezza. Scrive Dietrich Bonhoeffer: โCristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza e della sua sofferenza โฆ La Bibbia rinvia lโuomo allโimpotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente puรฒ aiutareโ. La regalitร di Gesรน capovolge dunque la logica di potenza che regge le regalitร umane.
Dopo le parole irriverenti del co-crocifisso ecco che, inaspettatamente, e in un testo proprio del vangelo lucano, entra in scena lโaltro condannato pronunciando parole che ne fanno la figura del discepolo cristiano. Egli innanzitutto opera la correzione fraterna โrimproverandoโ (v. 40: vb. epitimรกo) lโaltro condannato che insulta Gesรน, e mettendo cosรฌ in atto la parola di Gesรน: โSe tuo fratello pecca, rimproveraloโ (Lc 17,9: epitรญmฤson autรด); inoltre egli appare esempio di assunzione di responsabilitร : riconosce il male che ha commesso e ne accetta le conseguenze, ovvero accetta di pagarne il prezzo (v. 41a); quindi compie una confessione di fede riconoscendo lโinnocenza e la giustizia di Gesรน (v. 41b); infine si rivolge umilmente a Gesรน con la preghiera, la supplica, riconoscendone la regalitร escatologica: โGesรน, ricordati di me, quando verrai nel tuo Regnoโ (v. 42). Egli appare cosรฌ quale immagine dei credenti e della chiesa che, nella storia, sono chiamati a testimoniare la regalitร di Cristo condividendo le sofferenze del Crocifisso, invocando la venuta del Regno, e attendendo il Veniente nella gloria.
Il rimprovero verte sullโassenza di timore di Dio da parte del malfattore blasfemo: โNon hai alcun timore di Dio, tu che pure sei sotto la stessa condanna?โ (Lc 23,40). La prossimitร della morte dovrebbe suscitare il timore di Dio, Colui che ha il potere di condannare o di salvare: โNon abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare piรน nulla. Vi mostrerรฒ chi dovete temere: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sรฌ, vi dico, temete costuiโ (Lc 12,4-5). Questo รจ il pensiero dellโaltro malfattore. ร interessante il fatto che il richiamo al timore di Dio sia suscitato dalla bestemmia contro Gesรน. Lโatteggiamento blasfemo del co-crocifisso รจ tanto piรน scandaloso in quanto egli si trova nella stessa situazione di Gesรน, condannato alla stessa pena. Come era scandaloso il comportamento spietato del servo che, dopo aver visto condonato il proprio enorme debito, aveva fatto gettare in prigione un con-servo (sรฝndoulos: Mt 18,28), un servo come lui, per un debito risibile (Mt 18,23-35), cosรฌ qui รจ scandaloso lโatteggiamento del condannato a morte che ingiuria chi condivide la sua stessa sorte. Potremmo pensare che la condivisione della stessa sorte, soprattutto se di miseria, dovrebbe essere condizione di comprensione dellโaltro e dunque di vicinanza a lui, ma il testo suggerisce che non basta il materiale trovarsi nella stessa situazione disgraziata per entrare in sentimenti di empatia: occorre invece assumere un altro sguardo nei confronti del male. Cosรฌ, proprio la situazione del malfattore blasfemo rende il suo bestemmiare Gesรน ancora piรน gratuito di quello dei capi giudei e dei soldati.
Nel v. 41 lโaltro malfattore esprime il riconoscimento della colpevolezza sua e del suo compagno e manifesta la certezza dellโinnocenza di Gesรน. Questi, infatti โnon ha fatto nulla di fuori posto (รกtopos)โ, cioรจ di sconveniente, di illegale, di male. Nel v. 42, poi, egli si rivolge a Gesรน con sorprendente intimitร (il vocativo โGesรนโ non accompagnato da specificazioni come โmaestroโ o โSignoreโ รจ unico nel NT) riconoscendolo nella sua funzione messianica e non chiedendogli nulla di particolare se non il ricordo quando verrร come re. โRicordati di meโ: lโaffidarsi al ricordo di
Gesรน รจ una forma di confessione di fede in lui. La sua supplica si riferiva alla venuta del Signore alla fine dei tempi quando avranno luogo la resurrezione degli uomini e il giudizio finale. La risposta di Gesรน, nel v. 43, afferma che giร oggi, subito dopo la morte, il suo destino personale troverร un compimento salvifico nella vita con Cristo in paradiso. La salvezza viene evocata con linguaggio mitico (โil paradisoโ) ed esistenziale (โcon meโ). Anzi, la vera novitร cristiana, che interpreta il dato tradizionale giudaico del paradiso, รจ la comunione con Cristo, lโessere con Cristo. Questa la salvezza. Il senso dellโespressione โcon me in paradisoโ รจ dunque questo: con me, cioรจ in paradiso. Essere in paradiso altro non sarร che essere con Cristo. Dirร Ambrogio: โla vita รจ stare con Cristo, perchรฉ dove cโรจ Cristo, lร cโรจ anche il Regnoโ.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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