Dare un luogo al futuro
La prima lettura (Is 25,6-10a) e il vangelo (Mt 22,1-14) di questa domenica sono attraversati da un annuncio escatologico, che riguarda cioรจ le cose ultime. Piรน precisamente, Isaia intravede la fine della fine, la morte della morte: il profeta mette in scena lโimmagine di un Dio che elimina la morte per sempre, mentre Matteo, nei versetti finali della sua parabola-allegoria (una visione teologica della storia della salvezza), preannuncia il giudizio finale e intravede la fine della storia (soprattutto Mt 22,13). Le letture ci pongono di fronte a due umanissime immagini per evocare lโatto con cui Dio mette fine alla storia compiendo la storia: il banchetto e le nozze. La realtร piรน divina รจ espressa con le immagini piรน umane: convivialitร e nuzialitร , cibo e eros.
Sono immagini che al loro cuore hanno la relazione, lโincontro, lโamore, la celebrazione della vita attorno a una tavola e nellโabbraccio nuziale. La vita spirituale suscitata dallโagire del Dio dโIsraele e compiuta dal Messia Gesรน, si realizza non con un distanziamento dallโumano, quasi che fosse questa la via per divenire piรน spirituali, ma come un fare ciรฒ che Dio stesso ha fatto: divenire umani, assumere la propria umanitร come compito da realizzare. Ha scritto suor Maria di Campello: โLe persone spirituali considerano difettosa, contaminata la via umana, e cercano come perfetta la via soprannaturale; per me la via umana รจ la via segnata da Gesรนโ.
In particolare, lโimmagine del banchetto, cosรฌ dettagliata nel testo profetico, ricorda la centralitร del cibo e dellโatto del mangiare che ha pure una funzione spirituale molto rilevante. Ha scritto Jacques Trublet: โIl mangiare occupa nellโAT e nella Scrittura in genere, un posto piรน importante della preghiera; e per un libro considerato religioso, cโรจ di che sorprendersi. Il pasto impegna e coinvolge infinitamente piรน energie e realtร rispetto al semplice nutrirsi. ร uno dei luoghi in cui lโebreo manifesta la propria differenza e afferma la propria identitร โ. E anche il cristiano, che nel pasto eucaristico ha il momento celebrativo centrale della sua fede, trova motivo di riflessione e di approfondimento in queste parole.
Lโimmagine profetica del Dio che ammannisce un banchetto per tutti i popoli, preparando cibi succulenti e vini raffinati, rinvia allโamore di Dio per lโumanitร . Preparare da mangiare per qualcuno significa amarlo, significa dirgli: โIo voglio che tu vivaโ, โIo non voglio che tu muoiaโ. Ma se il nostro cibarci ci fa vivere, ma non ci libera dal morire, Isaia aggiunge che Dio โeliminerร la morteโ, anzi, letteralmente, โdivorerร , inghiottirร la morteโ (Is 25,8).
Il cibo che Dio prepara sarร mangiato dai convitati umani, mentre Dio mangerร , inghiottirร la morte stessa. Quella morte che tutti inghiottiva (Nm 16,32-34; Dt 6,11; Sal 106,17), ora viene lei stessa inghiottita da Dio. Il Dio che prepara da mangiare per tutti i popoli e inghiotte la morte compie una promessa di vita per lโumanitร intera, vita che sarร โper sempreโ (Is 25,8). Lโestensione dellโazione di Dio รจ universale nello spazio e nel tempo. Il banchetto preparato da Dio รจ simbolo di una realtร altra da quella terrena, una realtร
in cui Dio regna, non lโuomo. Va notato, per non essere tratti in inganno, che lโespressione โSignore degli esercitiโ non si riferisce a eserciti o armate terrestri, ma alle schiere celesti, agli astri e parla dunque della sovranitร universale e cosmica di Dio. Il Dio che qui รจ in scena รจ infatti il Signore universale, di tutti i popoli, non del solo popolo dโIsraele. Lโazione di Dio riguarda lโuniversalitร umana: โtutti i popoliโ (vv.6.7), โtutte le gentiโ (v7), โogni voltoโ (v. 8), โtutta la terraโ (v. 8). Non potrebbe essere diversamente trattandosi di eliminare quella morte che contraddistingue ogni essere umano e stende la sua ombra in ogni luogo e in ogni tempo.
La visione profetica intravede dunque il raduno escatologico universale โsu questo monteโ (vv. 6.7.10), ovvero sul monte del Tempio di Gerusalemme. Il verbo inghiottire non si riferisce poi solo alla morte (v. 8), ma anche al โvelo che copriva la faccia di tutti i popoliโ e alla โcoltre distesa su tutte le gentiโ (la Bibbia CEI traduce il verbo balac, โinghiottireโ, con โstrappareโ nel v. 7a, e con โeliminareโ in 8a).Si tratta del velo che nasconde il volto di chi รจ in lutto (2Sam 19,5, dove indica il lutto di Davide per il figlio Assalonne) e del sudario che avvolge e copre pietosamente un cadavere. Splendida รจ poi lโimmagine โ ripresa nellโApocalisse giovannea (Ap 7,17; 21,4) โ del Dio che โasciugherร le lacrime su ogni voltoโ (Is 25,8). Isaia parla della morte non astrattamente ma facendo riferimento a esperienze concrete.
In particolare, puรฒ parlare del Dio che consola lโumanitร asciugando le lacrime da ogni volto solo chi questa esperienza lโha vissuta, chi ha saputo farsi vicino a chi era nel lutto e ha manifestato la prossimitร e lโamore che a noi umani sono possibili in tali situazioni. Cosรฌ come dietro allโimmagine del Dio che โfarร scomparire la vergogna del suo popolo da tutta la terraโ (v. 8), vi รจ lโesperienza spesso abrasiva, dolorosissima, annichilente, della vergogna. O almeno di quella vergogna che รจ una morte, la vergogna che induce lโuomo a coprirsi il volto, a voler scomparire, a immaginare di sprofondare ed essere inghiottito nelle viscere della terra. Essendo evidente che vi รจ anche una vergogna vitale che funziona come fondamentale regolatore dei comportamenti umani. Insomma, nella successione intenzionale attuata da Isaia e che vede il susseguirsi di velo, sudario, morte, lacrime, vergogna, la morte รจ la realtร centrale che stende la sua potenza e la sua ombra sulle altre immagini che rinviano al piano sociale (velo, sudario) e al piano emotivo (lacrime, vergogna), al piano collettivo e al piano individuale.
Rispetto al testo di Isaia, possiamo dire che la pagina evangelica in un certo senso ci fa compiere un passo indietro, ovvero un ritorno e un rientro nella realtร storica che conosce il trionfo della morte, il suo imperversare, anzi, il dilagare della violenza mortifera. La parabola evoca lโevento pasquale messianico simbolizzato dalle nozze del figlio del re (v. 2); quindi parla del rifiuto opposto ai missionari cristiani da parte di Israele rappresentato dagli invitati indifferenti o violenti fino allโomicidio (vv. 3-6); quindi della distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. (il re irato che fa perire gli uccisori e incendia la loro cittร : v. 7); poi allude allโestensione della missione cristiana ai pagani, simbolizzati dagli invitati che si trovano ai crocicchi delle strade (vv. 8-10); infine fa riferimento al giudizio che incombe sui nuovi invitati, dunque sulla chiesa stessa (lโuomo che non ha lโabito nuziale: vv. 11-13).
Lโidea sottostante, tipica di Matteo, รจ quella della reversibilitร della storia: ciรฒ che รจ avvenuto a Israele puรฒ avvenire alla chiesa. La chiesa รจ anchโessa situata nellโorizzonte del giudizio di Dio. Nessun privilegio rispetto a Israele, nessuna esenzione dallโottemperare alle esigenze del Regno, nessuna garanzia di salvezza per la chiesa.
La pagina di Matteo impressiona per il traboccare della violenza: uccisioni di uomini giusti, di profeti, di innocenti, anzi, di buoni cosรฌ come di cattivi (Mt 22,10), in eventi bellici e criminosi in cui gli assassini di oggi diventano le vittime di domani. Tra il re di questa parabola e gli invitati a nozze vi รจ quasi una gara di violenza o forse un contagio, la perversa generazione di violenza da parte della violenza, una riproduzione della violenza in una mimesi mortifera: se alcuni di questi invitati โpresero i servi del re, li insultarono e li ucciseroโ (Mt 22,6), ecco che il re reagisce inviando le sue truppe, facendo uccidere quegli assassini e dando alle fiamme la loro cittร (Mt 22,7). Ma chi fa uccidere gli assassini, non รจ forse assassino anche lui?
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Se la pagina matteana evoca il giudizio finale, possiamo noi trarre indicazioni su come reagire nellโoggi storico allโimperversare di questo meccanismo di violenza mortifera? Come possiamo far risplendere nel nostro oggi, qui e ora, la visione del domani del Regno? Possiamo desumere una prassi esistenziale per lโoggi dal futuro del Regno, ovvero, da quella visione universalistica di pace, comunione, convivialitร di cui parla il banchetto escatologico e il raduno di tutti i popoli alla stessa tavola? Sรฌ, vivendo lโoggi sorretti dalla visione, che diviene prassi, della fraternitร e sororitร universali.
Questa visione non sarร mai storicamente realizzata, รจ unโutopia, รจ la meta che coincide con il cammino. Ma la chiesa รจ chiamata a dare un luogo al futuro facendosi eutopia, cioรจ luogo, esperienza storica, che si caratterizzi per ciรฒ che รจ significato e implicato dal prefisso โeuโ, bene. Spazio di condivisione e convivialitร , di partecipazione e solidarietร , di scambio delle storie e delle narrazioni, che dร senso allโoggi e apre al futuro. Lโeutopia รจ luogo di salvezza dellโumano, dove lโumano, o meglio la singola persona umana, รจ considerata nella sua piena dignitร per il suo semplice essere un umano. E se qualcuno fa spallucce e dice che tutto questo รจ solo utopia, si puรฒ rispondere con le parole dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano: โLโutopia รจ come lโorizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. Lโorizzonte รจ irraggiungibile. E allora a cosa serve lโutopia? A questo: serve per continuare a camminareโ.
Per gentile concessione del Monastero di Bose