Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 15 Ottobre 2023

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Dare un luogo al futuro

La prima lettura (Is 25,6-10a) e il vangelo (Mt 22,1-14) di questa domenica sono attraversati da un annuncio escatologico, che riguarda cioรจ le cose ultime. Piรน precisamente, Isaia intravede la fine della fine, la morte della morte: il profeta mette in scena lโ€™immagine di un Dio che elimina la morte per sempre, mentre Matteo, nei versetti finali della sua parabola-allegoria (una visione teologica della storia della salvezza), preannuncia il giudizio finale e intravede la fine della storia (soprattutto Mt 22,13). Le letture ci pongono di fronte a due umanissime immagini per evocare lโ€™atto con cui Dio mette fine alla storia compiendo la storia: il banchetto e le nozze. La realtร  piรน divina รจ espressa con le immagini piรน umane: convivialitร  e nuzialitร , cibo e eros.

Sono immagini che al loro cuore hanno la relazione, lโ€™incontro, lโ€™amore, la celebrazione della vita attorno a una tavola e nellโ€™abbraccio nuziale. La vita spirituale suscitata dallโ€™agire del Dio dโ€™Israele e compiuta dal Messia Gesรน, si realizza non con un distanziamento dallโ€™umano, quasi che fosse questa la via per divenire piรน spirituali, ma come un fare ciรฒ che Dio stesso ha fatto: divenire umani, assumere la propria umanitร  come compito da realizzare. Ha scritto suor Maria di Campello: โ€œLe persone spirituali considerano difettosa, contaminata la via umana, e cercano come perfetta la via soprannaturale; per me la via umana รจ la via segnata da Gesรนโ€.

In particolare, lโ€™immagine del banchetto, cosรฌ dettagliata nel testo profetico, ricorda la centralitร  del cibo e dellโ€™atto del mangiare che ha pure una funzione spirituale molto rilevante. Ha scritto Jacques Trublet: โ€œIl mangiare occupa nellโ€™AT e nella Scrittura in genere, un posto piรน importante della preghiera; e per un libro considerato religioso, cโ€™รจ di che sorprendersi. Il pasto impegna e coinvolge infinitamente piรน energie e realtร  rispetto al semplice nutrirsi. รˆ uno dei luoghi in cui lโ€™ebreo manifesta la propria differenza e afferma la propria identitร โ€. E anche il cristiano, che nel pasto eucaristico ha il momento celebrativo centrale della sua fede, trova motivo di riflessione e di approfondimento in queste parole.

Lโ€™immagine profetica del Dio che ammannisce un banchetto per tutti i popoli, preparando cibi succulenti e vini raffinati, rinvia allโ€™amore di Dio per lโ€™umanitร . Preparare da mangiare per qualcuno significa amarlo, significa dirgli: โ€œIo voglio che tu vivaโ€, โ€œIo non voglio che tu muoiaโ€. Ma se il nostro cibarci ci fa vivere, ma non ci libera dal morire, Isaia aggiunge che Dio โ€œeliminerร  la morteโ€, anzi, letteralmente, โ€œdivorerร , inghiottirร  la morteโ€ (Is 25,8).

Il cibo che Dio prepara sarร  mangiato dai convitati umani, mentre Dio mangerร , inghiottirร  la morte stessa. Quella morte che tutti inghiottiva (Nm 16,32-34; Dt 6,11; Sal 106,17), ora viene lei stessa inghiottita da Dio. Il Dio che prepara da mangiare per tutti i popoli e inghiotte la morte compie una promessa di vita per lโ€™umanitร  intera, vita che sarร  โ€œper sempreโ€ (Is 25,8). Lโ€™estensione dellโ€™azione di Dio รจ universale nello spazio e nel tempo. Il banchetto preparato da Dio รจ simbolo di una realtร  altra da quella terrena, una realtร 

in cui Dio regna, non lโ€™uomo. Va notato, per non essere tratti in inganno, che lโ€™espressione โ€œSignore degli esercitiโ€ non si riferisce a eserciti o armate terrestri, ma alle schiere celesti, agli astri e parla dunque della sovranitร  universale e cosmica di Dio. Il Dio che qui รจ in scena รจ infatti il Signore universale, di tutti i popoli, non del solo popolo dโ€™Israele. Lโ€™azione di Dio riguarda lโ€™universalitร  umana: โ€œtutti i popoliโ€ (vv.6.7), โ€œtutte le gentiโ€ (v7), โ€œogni voltoโ€ (v. 8), โ€œtutta la terraโ€ (v. 8). Non potrebbe essere diversamente trattandosi di eliminare quella morte che contraddistingue ogni essere umano e stende la sua ombra in ogni luogo e in ogni tempo.

La visione profetica intravede dunque il raduno escatologico universale โ€œsu questo monteโ€ (vv. 6.7.10), ovvero sul monte del Tempio di Gerusalemme. Il verbo inghiottire non si riferisce poi solo alla morte (v. 8), ma anche al โ€œvelo che copriva la faccia di tutti i popoliโ€ e alla โ€œcoltre distesa su tutte le gentiโ€ (la Bibbia CEI traduce il verbo balac, โ€œinghiottireโ€, con โ€œstrappareโ€ nel v. 7a, e con โ€œeliminareโ€ in 8a).Si tratta del velo che nasconde il volto di chi รจ in lutto (2Sam 19,5, dove indica il lutto di Davide per il figlio Assalonne) e del sudario che avvolge e copre pietosamente un cadavere. Splendida รจ poi lโ€™immagine โ€“ ripresa nellโ€™Apocalisse giovannea (Ap 7,17; 21,4) โ€“ del Dio che โ€œasciugherร  le lacrime su ogni voltoโ€ (Is 25,8). Isaia parla della morte non astrattamente ma facendo riferimento a esperienze concrete.

In particolare, puรฒ parlare del Dio che consola lโ€™umanitร  asciugando le lacrime da ogni volto solo chi questa esperienza lโ€™ha vissuta, chi ha saputo farsi vicino a chi era nel lutto e ha manifestato la prossimitร  e lโ€™amore che a noi umani sono possibili in tali situazioni. Cosรฌ come dietro allโ€™immagine del Dio che โ€œfarร  scomparire la vergogna del suo popolo da tutta la terraโ€ (v. 8), vi รจ lโ€™esperienza spesso abrasiva, dolorosissima, annichilente, della vergogna. O almeno di quella vergogna che รจ una morte, la vergogna che induce lโ€™uomo a coprirsi il volto, a voler scomparire, a immaginare di sprofondare ed essere inghiottito nelle viscere della terra. Essendo evidente che vi รจ anche una vergogna vitale che funziona come fondamentale regolatore dei comportamenti umani. Insomma, nella successione intenzionale attuata da Isaia e che vede il susseguirsi di velo, sudario, morte, lacrime, vergogna, la morte รจ la realtร  centrale che stende la sua potenza e la sua ombra sulle altre immagini che rinviano al piano sociale (velo, sudario) e al piano emotivo (lacrime, vergogna), al piano collettivo e al piano individuale.

Rispetto al testo di Isaia, possiamo dire che la pagina evangelica in un certo senso ci fa compiere un passo indietro, ovvero un ritorno e un rientro nella realtร  storica che conosce il trionfo della morte, il suo imperversare, anzi, il dilagare della violenza mortifera. La parabola evoca lโ€™evento pasquale messianico simbolizzato dalle nozze del figlio del re (v. 2); quindi parla del rifiuto opposto ai missionari cristiani da parte di Israele rappresentato dagli invitati indifferenti o violenti fino allโ€™omicidio (vv. 3-6); quindi della distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. (il re irato che fa perire gli uccisori e incendia la loro cittร : v. 7); poi allude allโ€™estensione della missione cristiana ai pagani, simbolizzati dagli invitati che si trovano ai crocicchi delle strade (vv. 8-10); infine fa riferimento al giudizio che incombe sui nuovi invitati, dunque sulla chiesa stessa (lโ€™uomo che non ha lโ€™abito nuziale: vv. 11-13).

Lโ€™idea sottostante, tipica di Matteo, รจ quella della reversibilitร  della storia: ciรฒ che รจ avvenuto a Israele puรฒ avvenire alla chiesa. La chiesa รจ anchโ€™essa situata nellโ€™orizzonte del giudizio di Dio. Nessun privilegio rispetto a Israele, nessuna esenzione dallโ€™ottemperare alle esigenze del Regno, nessuna garanzia di salvezza per la chiesa.

La pagina di Matteo impressiona per il traboccare della violenza: uccisioni di uomini giusti, di profeti, di innocenti, anzi, di buoni cosรฌ come di cattivi (Mt 22,10), in eventi bellici e criminosi in cui gli assassini di oggi diventano le vittime di domani. Tra il re di questa parabola e gli invitati a nozze vi รจ quasi una gara di violenza o forse un contagio, la perversa generazione di violenza da parte della violenza, una riproduzione della violenza in una mimesi mortifera: se alcuni di questi invitati โ€œpresero i servi del re, li insultarono e li ucciseroโ€ (Mt 22,6), ecco che il re reagisce inviando le sue truppe, facendo uccidere quegli assassini e dando alle fiamme la loro cittร  (Mt 22,7). Ma chi fa uccidere gli assassini, non รจ forse assassino anche lui?

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Se la pagina matteana evoca il giudizio finale, possiamo noi trarre indicazioni su come reagire nellโ€™oggi storico allโ€™imperversare di questo meccanismo di violenza mortifera? Come possiamo far risplendere nel nostro oggi, qui e ora, la visione del domani del Regno? Possiamo desumere una prassi esistenziale per lโ€™oggi dal futuro del Regno, ovvero, da quella visione universalistica di pace, comunione, convivialitร  di cui parla il banchetto escatologico e il raduno di tutti i popoli alla stessa tavola? Sรฌ, vivendo lโ€™oggi sorretti dalla visione, che diviene prassi, della fraternitร  e sororitร  universali.

Questa visione non sarร  mai storicamente realizzata, รจ unโ€™utopia, รจ la meta che coincide con il cammino. Ma la chiesa รจ chiamata a dare un luogo al futuro facendosi eutopia, cioรจ luogo, esperienza storica, che si caratterizzi per ciรฒ che รจ significato e implicato dal prefisso โ€œeuโ€, bene. Spazio di condivisione e convivialitร , di partecipazione e solidarietร , di scambio delle storie e delle narrazioni, che dร  senso allโ€™oggi e apre al futuro. Lโ€™eutopia รจ luogo di salvezza dellโ€™umano, dove lโ€™umano, o meglio la singola persona umana, รจ considerata nella sua piena dignitร  per il suo semplice essere un umano. E se qualcuno fa spallucce e dice che tutto questo รจ solo utopia, si puรฒ rispondere con le parole dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano: โ€œLโ€™utopia รจ come lโ€™orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. Lโ€™orizzonte รจ irraggiungibile. E allora a cosa serve lโ€™utopia? A questo: serve per continuare a camminareโ€.

Per gentile concessione del Monastero di Bose