La liturgia delle ore – Monastero Benedettino sant’Anna

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Introduzione

‘Non ho tempo’, ‘quanto tempo impieghi?’, ‘mi dai un po’ del tuo tempo’, ‘quanto tempo abbiamo?’, queste e molte altre sono espressioni entrate nel quotidiano del nostro relazionarci al tempo,  in cui spesso il riferimento ad esso è come qualcosa da avere, possedere, conquistare o addirittura acquistare, “il tempo è diventato una funzione di potenzialità meccaniche, di qualcosa, cioè, che gli uomini poterono inventare, costruire, possedere, usare e controllare”. La relazione dell’uomo con il tempo nasce da un disagio esistenziale, resistiamo o ci arrendiamo, dominiamo o perdiamo il nostro vero sé in relazione al tempo, un disagio che deriva dall’inconsapevolezza della “dipendenza” della libertà dall’amore.

La società in cui viviamo si è appiattita sulla bidimensionalità ridotta del tempo,  perdendo la profondità, lo spessore, di una terza dimensione indispensabile affinché, esso  in pienezza riacquisti il proprio significato originario e originale. 

Ed è qui, in questo punto nevralgico che si inserisce un tempo ‘altro’, proprio mentre siamo in balia dell’oscillare nelle nostre giornate tra il tempo libero e il tempo del lavoro, la Liturgia delle Ore ci offre la possibilità di riscoprire il tempo donato, il tempo della gratuità, della festa, della celebrazione rituale, del rendimento di grazie, della lode.

La tridimensionalità del tempo e della libertà.

La Liturgia delle Ore è ciò che rivela e forma la postura cristiana nell’ordinario, nel feriale, nel quotidiano, allo scandire delle ore; come un pedagogo instancabile, attraverso la ritualità, la corporeità, l’ascolto, il canto, il silenzio, l’interruzione, il dialogo crea continuamente una dimensione altra, gratuita e donata nel tempo. 

Per poter cogliere la bellezza di questo “segreto” che la Liturgia delle Ore continuamente rigenera, è necessario analizzare il tempo in tutte e tre le sue dimensioni.

Disimpegnato, riposante, familiare, benefico, a volte salutista è il tempo che comunemente nel nostro parlare definiamo “tempo libero”, accostando due parole con contenuti complessi: tempo e libertà. 

In genere definiamo tutto il tempo libero quello che non è tempo del lavoro, il week-end settimanale, le ferie di agosto, un tempo disimpegnato, del “non far nulla”, o nel suo opposto un tempo che riempiamo di passioni, di hobby, di footing al mattino presto, di palestra serale, di collezioni, di cinema, svago, di code al centro commerciale. 

Rahner nel testo “Osservazioni teologiche sul problema del tempo libero” negli anni ’60 rifletteva che mentre per gli antichi il “tempo del lavoro” era sudore, fatica, esaurimento fisico e il “tempo della skolé” era quello del riposo, della ricreazione, ossia dello stare seduti, leggere, scrivere; noi abbiamo ribaltato completamente questo valore: lavoriamo otto ore seduti in ufficio, e poi appena usciamo saltiamo in bicicletta, o facciamo una corsa. Per cui viviamo forte la contraddizione di lavorare sotto forma del tempo libero, e di riposare sotto forma di lavoro, dimenticando completamente il senso del tempo nell’uno e nell’altro caso e della sua relazione con la libertà che ci contraddistingue. 

Il tempo libero corrisponde alla libertà politica, l’intangibilità di un possesso originario che è “dato”, uno “spazio aperto alla creatività pura”, un tempo che ci indica inevitabilmente la divina possibilità che l’uomo possa arrivare a ciò che originariamente è proprio di Dio.

La seconda dimensione è quella produttiva, efficiente, meccanica, tecnologica, strutturata, impiegata, è il tempo del lavoro, scandito dal timbrare il cartellino in entrata e in uscita, quello che ormai si è dilatato dall’ufficio alle case, tempo misurato, calcolato, in molti casi speriamo retribuito. E’ il lavoro che “permette l’intesa, l’incontro, la sincronizzazione tra gli uomini per la divisione e la circolazione dei beni e dei servizi” . ‘Il tempo è denaro’ è una delle affermazioni che entrata nel gergo comune prendiamo per ‘vera’, essa invece ci rivela un altro aspetto del rapporto che l’uomo post-moderno ha con il tempo, ossia che esso per avere valore, deve avere un valore economico, di denaro. Il tempo del lavoro invece, ha il suo valore dalla relazione che ha con la libertà, che in senso etico è ‘compito, dovere’, “ il lavoro ci ricorda in modo esemplare, che l’uomo non è libero ma lo diventa.”

Come l’uomo è iniziato al tempo, così è iniziato anche alla libertà, è necessario quindi “crescere nella consapevolezza che nel tempo entriamo solo grazie ad altri” e che la creatività dell’uomo è dono di grazia che si incontra con la storia, che ha bisogno di imparare, capire, conoscere; ci sarà sempre qualcuno che ci inizierà nella relazione, nello stare insieme, al tempo, alla libertà, al lavoro, alla vita. La capacità di poter dire il proprio passato nel presente per un progetto futuro fa dell’uomo un essere nel tempo, l’uomo è libero di essere se stesso o di negare se stesso, sempre in relazione al tempo, che è quindi il “poter essere della libertà”.

Piatto sarebbe il tempo se fosse solo un fatto o un compito, se fosse solo impegnato o disimpegnato, la terza dimensione è ciò che dà profondità, ritmo, colore, profumo e festa: è il tempo donato, grazioso e gratuito, festoso e rituale, altro e determinante.

Sul piano religioso la libertà è quindi mistero di Parola e dono per cui l’uomo diventa libero nella fede, nel momento in cui accoglie se stesso in un tempo donato, che nel servizio come espressione di amore, trova il suo senso più pieno. 

Il tempo della festa continuamente interrompe il dovere e l’hobby, per dargli senso, affinché quelle ore siano rivalorizzate, affinché in quelle ore l’uomo sia umanizzato. L’uomo non può vivere senza impegno e senza riposo, ma in nessuno dei due sarebbe pienamente se stesso se non avesse la festa, la celebrazione, per lasciarsi donare il proprio tempo.

La festa in qualsiasi contesto sociale, culturale, religioso ci troviamo è caratterizzata da alcuni elementi fondanti: primo, la dimensione comunitaria, nessun fa festa chiuso in camera da solo, secondo, una festa va preparata, ci si organizza perché ciascuno contribuisca alla piena realizzazione della festa, terzo, ogni festa è scandita da moneti ben precisi, conoscenza iniziale, il cibo, la danza, la musica e la ‘torta’ finale.

Abituati e quasi assuefatti dal binomio libero-lavoro, quando siamo di fronte alla festa non sappiamo bene dove collocarla, poiché apparentemente ci sembra libera, non è produttiva, non sto offrendo un servizio, ma al tempo stesso anche questa mi richiede un impegno, di comportarmi secondo certi riti, certi modi di mangiare diversi dagli altri giorni, tutta una serie di ‘regole’ che assomigliano molto di più al tempo del lavoro che al tempo libero. Il tempo festivo è un tempo dove non fai quello che vuoi, dove non hai doveri, ma celebri.

 La festa strutturalmente è proprio costruita in questo modo: non è semplicemente un tempo, ma è quel tempo particolare, ritualmente determinato, incaricato di darti il senso del tempo. 

Ma allora quando l’uomo riscopre il senso del tempo? La Scrittura con Giobbe, ci insegna che ciò avviene quando, sempre e nonostante tutto, resta in relazione con Dio; solo nella relazione gratuita e donata del tempo, se ne riacquista il senso; la Liturgia delle Ore è forma di questa relazione.

Liturgia delle Ore è santificazione del tempo.

“La preghiera pubblica e comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali compiti della Chiesa….essa è principalmente preghiera di lode e di supplica, e precisamente preghiera della Chiesa con Cristo e a Cristo.” 

La Liturgia delle Ore è questa preghiera pubblica e comunitaria, di lode, supplica e rendimento di grazie, è la forma dell’esperienza cristiana; è preghiera comunitaria quotidiana ritmata nel tempo; è santificazione del tempo, in quanto riconosce la santità del tempo, in quanto rilegge nel tempo i segni dell’amore di Dio e del prossimo. 

La Liturgia delle Ore prende sul serio tutto il tempo dell’uomo, il suo lavoro e il suo riposo, il suo svegliarsi e addormentarsi, proiettandolo sempre in una dimensione altra, di cambiamento, di novità e quindi di evoluzione.

La celebrazione delle Ore ha senso quando è inserita pienamente nel tempo cronologico della giornata, quando corrisponde più da vicino al tempo vero di ciascuna Ora canonica, così come nella Sacrosantum Concilium il Concilio Ecumenico Vaticano II ha indicato al n°84/88:

“ Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato n modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina….scopo dell’ufficio divino è la santificazione del giorno: perciò l’ordinamento tradizionale dell’ufficio sia riveduto, in modo che le diverse ore, per quanto possibile, corrispondano al loro vero tempo…”

La Liturgia delle Ore come forma del tempo festivo, si inserisce nel binomio del tempo del lavoro e del tempo libero, affinché in questi tutto l’uomo riscopra pienamente se stesso, nella relazione con il Padre, affinché per ciascuno e per tutti si compia il Suo progetto di santificazione dell’uomo.

Proprio perché chiamata Liturgia delle Ore, essa ha come unità di misura le ore di una giornata, dell’alba, del mattino, di mezzogiorno, del tramonto, della sera e della notte, di un ora precisa che trasfigurata dalla Liturgia, riscopre al di sotto dell’essere chronos, la sua natura  kairologica. Le lodi mattutine sono destinate a ricordare, rivivere nella propria esperienza comunitaria e personale, la Risurrezione di cristo, “luce vera che illumina ogni uomo (cfr.Gv1,9); i Vespri al tramonto della sera ci invitano all’autentico sacrificio vespertino a quello della Cena e dell’elevazione delle mani sulla croce.

La preghiera oraria è costituita principalmente dai salmi, i quali sono contemporaneamente parola di Dio per l’uomo, e parola dell’uomo rivolta a Dio, essi sono sintesi della relazione tra Dio e l’uomo, da essi e attraverso di essi il cristiano ha la possibilità di dare profondità alla bidimensionalità del tempo che vive; attraverso di essi ha la possibilità di trovare un linguaggio, delle parole nuove che mentre lo aiutano ad uscire da se, lo accompagnano in profondità per riscoprirsi uomo, tra gli altri.

La scoperta della preghiera salmica non è immediata, ma iniziatica, tradizionale, autorevole, sempre ci sarà qualcuno che con il suo salmodiare, ci inizierà, ci insegnerà, ci educherà, ci accompagnerà ad entrare nella comunità orante; la consacrazione del tempo è ciò che di specifico ne caratterizza l’uso quotidiano, è l’espressione della relazione amorevole di cui la comunità cristiana diventa partecipa nel Figlio per il Padre.

“ La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola”, unità che si fondava sulla Parola di Dio, sulla comunione fraterna, sulla preghiera e sull’Eucarestia”, la preghiera oraria salmica è preghiera comunitaria, parte costitutiva di ogni comunità, luogo in cui ciascuno è chiamato ad accordare il proprio cuore e le proprie labbra al ritmo di ci gli sta accanto. 

Il salmo è tale quando è cantato, il canto non è un’aggiunta estetica ad un testo autosufficiente, ma è rispettare la verità di quel testo, di quelle parole della loro musicalità. Il salmo nella Liturgia delle Ore è benedizione cantata, è il gusto della lode, non come mero formalismo, ma come forma linguistica, come mediazione corporea di comunione, di vicinanza, di prossimità. E, poiché la nostra esperienza vive dell’espressione di cui è capace, la Liturgia delle Ore diventa la piena espressione di una pluralità di linguaggi, atti a leggere la propria esperienza in relazione alla Parola, a partire dalla universale e plurale esperienza salmica. 

Scopriamo così che mentre al tempo libero attribuiamo uno spazio privato e al tempo del lavoro uno spazio pubblico, il tempo della festa è uno spazio comunitario, inteso sia come tempo e spazio condivisi nel presente, ma anche come memoria di un tempo e di uno spazio in cui siamo consapevoli di esserci entrati grazie ad altri e in vista di altri che verranno.

La Liturgia delle Ore è quindi santificazione del tempo, dal suo interno, da ciò che è l’esperienza temporale che gli uomini e le donne di ogni storia fanno e continuano a fare, è santificazione del vissuto, del reale, della storia di tutti e di ciascuno attraverso il canto, la lode, il gratuito, la festa di una comunità che in essa e attraverso di essa scopre sempre più le sue relazioni con gli altri e con l’Altro. 

La lode espressione dell’Amore.

Lode, rendimento di grazia e benedizione sono il perché della Liturgia delle Ore, un perché apparentemente in-utile, cioè senza utile, improduttivo nell’immediato, non consumistico, poiché in essi facciamo continuamente l’esperienza della nudità della gratitudine.

 La lode è l’apice della preghiera cristiana, senza la lode non saremmo più capaci di generare nuova umanità, è un atto originario che ci porta a stare di fronte ad altri riconoscendoli come bene, come qualcosa di “bello e buono” facendo riferimento a Genesi; è vedere l’altro così come il Padre guarda me e l’altro; è l’esatto contrario dell’esperienza umanamente più frequente dell’invidia. 

La Liturgia delle Ore ci lascia scoprire che noi, gli altri, Dio siamo da lodare non perché meritevoli di qualcosa, ma semplicemente perché ci siamo, il lodare è la capacità di dire una differente forma del reale, di avere un’angolatura altra, più profonda della realtà, di ciò che siamo abituati spesso ad osservare solo in superficie. 

Nella preghiera oraria i salmi sono espressione di questa lode mostrando quanto sia necessaria che essa si contestualizzi nei luoghi della sua impossibilità, quanto essa sia il disinteressato gioire per un bene che non ci appartiene, ma che è dono quotidiano e gratuito.

Il linguaggio della lode è il linguaggio più alto della preghiera che non si purifica censurandola, ma raccontando la vita nelle sue pieghe esistenziali più profonde, l’uomo in tutto il suo tempo, accompagnandolo dentro se stesso e accanto all’altro in punta di piedi, per ascoltare, ringraziare, lavare, profumare, dare da mangiare e da bere, per vivere di quelle Parole e per dire la propria vita come un canto di lode.

Conclusione

Non avremmo mai abbastanza tempo per la lode, se non nell’interruzione, nella sua irruzione “fuori orario” ma al momento giusto, mentre si sta facendo altro, eppure nell’ora esatta, “per questo, in fondo la lode trasfigura il tempo comune e ne trascrive la realtà sul piano di un tempo diverso: ogni vera lode inaugura una festa, ossia apre sulla sorprendente verità del tempo”, solo la festa, la lode, ha questo potere di inaugurare un tempo sempre nuovo, capace di portare nelle ventiquattrore l’irruzione dell’eterno dell’Amore.

Bibliografia

  • Principi e norme per la liturgia delle ore, in I Praentanda dei nuovi testi liturgici, ed. A. Donghi, Milano, Ancora 1989
  • Sacrosanctum concilium. Costituzione conciliare sulla sacra liturgia, Ed. Paoline, Roma 1988
  • Z. BAUMAN, Modernità liquida, Editori Laterza, Bari 2002
  • G.BONACCORSO, Il tempo come segno: vigilanza, testimonianza, silenzio, EDB, Bologna 2004
  • A.GRILLO, Tempo e preghiera, EDB, Bologna 2001
  • J.PINELL, Liturgia delle Ore, Marietti 1990

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