La speranza cristiana – “Avvento”, tempo della speranza

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L’anno liturgico comincia col tempo dell’Avvento, l’attesa però è il sentimento che pervade tutto l’anno. L’Avvento è l’attesa di Cristo, poi quello della Sua manifestazione con l’Epifania, segue la quaresima in vista della Pasqua, poi l’attesa dello Spirito Santo. Il resto dell’anno è attesa della Sua venuta nella Gloria.

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La virtù che sostiene l’attesa è la speranza che, come scrive Peguy, dà vivacità alla fede e alla carità, rappresentate come due signore che tengono per mano una bambina, appunto la speranza, che le fa camminare con la sua vivacità.

È importante avere idee chiare sulla speranza cristiana e cercheremo di farcele.

La speranza cristiana fa irruzione tra le speranze umane. Il cristiano non aspetta da questa terra la realizzazione della sua speranza.

La speranza Cristiana è celeste. Ogni impresa terrestre è messa alla prova, non svalutata, ma situata nel disegno di Dio e giudicata alla luce della Rivelazione.

Tutte le speranze terrestri fondate sui progressi scientifici vanno confrontate con queste certezze che ci offre la fede: questo mondo finirà, ne apparirà uno nuovo, tutte le generazioni parteciperanno alla vita eterna, la salvezza viene soltanto da Dio.

1) “Il cielo e la terra di prima erano scomparsi”.

Il progresso continua, ma arriverà al limite del possibile e l’uomo soccomberà nella lotta per la sopravvivenza. La scienza può giudicare tutto ciò che esiste, salvo la Sapienza redentrice di Dio che riprende tutto l’universo e, come lo ha creato, lo trasformerà secondo il suo disegno di salvezza.

“Le potenze del cielo saranno sconvolte” (Lc 21,23). L’attuale creazione subirà una metamorfosi imprevedibile per l’intervento di un gesto divino, di una energia trascendente già all’opera nella resurrezione di Cristo.

Questo mondo finirà, ma non sparirà ciò che era stato vissuto secondo il Disegno di Dio, tutto il resto non resterà, come il cadavere di Cristo.

2) “Io faccio nuovo l’universo” (Ap 21,5)

Il cristiano è fedele alla terra e attento al cielo.

La civilizzazione tecnica va avanti e i cristiani collaborano a questa riuscita, ma fin dove? Non certo fino ad una anarchia, attraverso una tecnica che si espande sempre più, ma attraverso una trasformazione radicale frutto della resurrezione. Il termine è una conformazione al corpo resuscitato di Cristo per diventare figli autentici del Padre: “Saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (1Gv 3, 1-2).

3) “Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello”.

Il mito del progresso annienta il passato. I progetti di oggi si fanno sui cadaveri del passato.

Ciò che la civiltà tecnica non possiede, il cristiano lo porta con sé quando ne diviene soggetto e può trasfigurarlo. La sua speranza è una storia, dopo Abramo è la storia collettiva di un popolo.

Tutti i membri del popolo di Dio hanno cominciato a sperare e a morire come tutti i popoli della terra fino ad entrare nelle mani di Dio. Ogni uomo è invitato ad entrare alla festa delle nozze dell’Agnello. La Speranza è cumulativa, retroattiva e cumulativa.

4) “La salvezza appartiene al nostro Dio” (Ap 7,10)

Il postulato della civilizzazione tecnica, “l’uomo si salva attraverso l’uomo”, per il cristiano è invece: Dio è la salvezza dell’uomo. Si ritiene che quando arriva la scienza sparisce Dio e quando arriva Dio l’uomo viene mortificato.

Ci sono due ordini di cose. La tecnica offre all’uomo una crescita nel temporale e non fa torto al Creatore, anzi gli rende omaggio, perché è Dio che ha creato l’uomo intelligente. Però l’orgoglio può viziare. Le tecniche distraggono l’uomo più che le azioni intime in cui l’uomo conosce il suo destino. La tecnica come tale favorisce questo atteggiamento. Gesù ha detto: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. L’uomo deve discernere i due ordini e non confondere l’atteggiamento che conviene all’uno e all’altro. La fede fa distinguere le due frontiere.

“Chi non spera non incontra mai qualcosa di insperato” (Eraclio).

Il fondamento della nostra speranza è solo Dio: questa è la speranza cristiana.

Dante ci presenta come si vive la speranza nel Purgatorio. Ricordiamo l’inizio del canto ottavo del purgatorio. Siamo all’ora del crepuscolo, allo scendere della sera. Le anime dei trapassati si radunano in una piccola tomba scavata nella roccia e in essa si preparano a cantare la Compieta e a trascorrervi la notte.

Questo preludio paradisiaco, fatto tutto di desiderio umile e profondo, contiene insieme il movimento delle anime che aspira alla patria celeste e la nostalgia, un poco dolorosa, del pellegrino per la patria terrena. A questo punto rivolgendosi verso il cielo fattosi ormai buio, una delle anime intona l’inno di compieta “Te lucis ante terminum”, seguita da tutte le altre anime con una tensione, ma anche con una fiducia, così infinitamente dolci, che Dante viene a trovarsi al limite dell’estasi, completamente preso dall’onda della preghiera.