Enzo Bianchi – Commento al Vangelo del 3 Agosto 2025

Domenica 3 Agosto 2025 - XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 12,13-21

Data:

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Fate attenzione e guardatevi da ogni cupidigia

Noi umani siamo preda di unโ€™illusione mortifera che Gesรน vuole sradicare dal nostro cuore: quella che la ricchezza e la proprietร  di molti beni salvino, diano senso e significato alla vita. Spesso non lo ammettiamo, ma in realtร  lo pensiamo, e facciamo di questo criterio lโ€™ispirazione di molte nostre scelteโ€ฆ E cosรฌ dimentichiamo la volontร  di Dio che tutti gli esseri umani siano fratelli e sorelle e partecipino con giustizia alla tavola dei beni della terra, in quella condivisione capace di combattere la povertร .

Gesรน era considerato dalla gente un rabbi, un maestro autorevole nellโ€™interpretare le sante Scritture, tra le quali la Torah, la Legge. Molte volte venne dunque interrogato da vari ascoltatori riguardo a temi in discussione nel giudaismo del tempo, ma anche su questioni quotidiane.

Il vangelo secondo Luca testimonia che durante il suo viaggio verso Gerusalemme gli venne posta, tra le altre, una domanda molto concreta riguardo alla spartizione dellโ€™ereditร , affinchรฉ egli dirimesse la contesa tra due fratelli. La Legge stabiliva che alla morte di un soggetto proprietario di beni immobili, cioรจ terra e casa, lโ€™ereditร  spettava al figlio maschio primogenito, cosรฌ che il patrimonio non fosse diviso, spezzettato (cf. Dt 21,17). Tuttavia agli altri figli era riservata una parte dei beni mobili. Nel nostro caso, per lโ€™appunto, sembrerebbe che sia il figlio minore a chiedere a Gesรน di intervenire perchรฉ sia onorato il suo diritto, probabilmente non riconosciuto dal fratello maggiore. Era sempre possibile, anzi era la norma ideale che i fratelli condividessero lโ€™ereditร , mostrando in tal modo di riconoscere la fraternitร  come un bene (cf. Sal 133,1); ma non sempre ciรฒ avvenivaโ€ฆ

Di fronte a questa richiesta, formulata piรน come un comando che come una domanda, Gesรน non solo si rifiuta di esaudirla, ma in tono spazientito ribatte: โ€œO uomo (รกnthrope), chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?โ€. Vi รจ un rifiuto di Gesรน a rispondere direttamente alla domanda postagli. Non possiamo dimenticare come anche questo faccia parte dello stile di Gesรน: rispondere con un mashal, una parabola, oppure con unโ€™altra domanda enigmatica, soprattutto in occasione di controversie con i suoi avversari. Ribattendo: โ€œChi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?โ€, Gesรน si rifiuta forse di sostituirsi allโ€™autoritร  dei giudici stabiliti dalla Torah di Israele (cf. Dt 16,18-20; 21,15-17)? O vuole indicare che spetta a ciascuno agire secondo la sua coscienza, sempre ispirandosi alle esigenze di giustizia e di amore indicate dalla Legge di Dio?

E le domande da parte nostra si susseguono, collegandosi lโ€™una allโ€™altra. Perchรฉ Gesรน risponde in questo modo? Per dire con chiarezza che a lui non interessano questioni economiche? Per manifestare che la sua missione รจ di carattere spirituale? Per lasciare ai due fratelli la responsabilitร  di decidere e risolvere il conflitto? Io credo che Gesรน replichi in modo spazientito perchรฉ ha letto in quella pretesa non una sete di giustizia ma una brama di possesso. Lui che aveva detto di dare anche la tunica a chi ci toglie il mantello (cf. Lc 6,29), che raccomanderร  di condividere i beni con i poveri (cf. Lc 12,33; 18,22), come potrebbe essere uno che regola questioni di ereditร ? Se avesse preso una decisione giuridica ed economica, avrebbe potuto beneficiare della gratitudine della parte favorita. Invece sceglie di andare dalla superficie alla radice, di decentrare lโ€™attenzione di chi ha fatto ricorso a lui.

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Gesรน sa che la brama, la cupidigia, quando sono presenti nel cuore umano, finiscono per alimentare i conflitti, per accecare gli occhi, che non riescono piรน a vedere nรฉ i fratelli nรฉ il prossimo. Ecco perchรฉ prosegue con unโ€™ammonizione: โ€œFate attenzione (horรขte) e guardatevi (phylรกssesthe) da ogni cupidigia (pleonexรญa) perchรฉ, anche se uno รจ nellโ€™abbondanza, la sua vita non dipende da ciรฒ che egli possiedeโ€. รˆ un avvertimento alla vigilanza continuamente rinnovata affinchรฉ la seduzione del possesso e dei beni, veri idoli, non impedisca al credente non solo il vero e autentico riconoscimento di Dio, ma anche una vita pienamente umana, che resta per ciascuno sempre un compito. Noi umani siamo preda di una facile illusione: credere che la pienezza della vita ci venga da ciรฒ che possediamo, dal denaro, dalla proprietร , e non da ciรฒ che siamo. Come scriveva oltre quarantโ€™anni fa Erich Fromm, con parole tuttora attualissime: โ€œSi direbbe che lโ€™essenza vera dellโ€™essere sia lโ€™avere; che, se uno non ha nulla, non รจ nullaโ€.

Per imprimere meglio la sua ammonizione nel cuore e nella mente di chi lo sta ascoltando, Gesรน racconta una parabola. Cโ€™รจ un grande proprietario terriero la cui campagna prospera in modo straordinario. Il frutto รจ abbondantissimo, tanto che egli si trova impreparato: dove ammassare tutto il raccolto? Comincia allora a pensare a come poter sfruttare quellโ€™abbondanza e decide di demolire i vecchi magazzini, troppo piccoli, e di costruirne altri piรน grandi, per conservare in essi il grano e gli altri beni. Ma a quel punto si considera anche soddisfatto, autosufficiente, sicuro di sรฉ, fino a poter dire a se stesso: โ€œOra che disponi di molti beni, per molti anni, riposati, mangia, bevi e divertiti!โ€. รˆ un programma di vita nel quale il suo io diventa lโ€™unico soggetto: โ€œIo farรฒ, io demolirรฒ, io costruirรฒ, io raccoglierรฒ, io dirรฒ a me stesso!โ€. E tutto il resto โ€“ raccolti, magazzini, e beni โ€“ sono accompagnati dallโ€™aggettivo possessivo โ€œmieiโ€.

Questo, in veritร , รจ un programma che non ci รจ estraneo, ma che forse รจ sopito nel profondo del nostro cuore, pronto a diventare desiderio e progetto non appena sembra che i nostri beni aumentino e possano darci sicurezza. In questa situazione non si riesce nemmeno a intravedere la possibilitร  della condivisione, a leggere che lโ€™abbondanza dei raccolti, o delle ricchezze da noi accumulate, รจ unโ€™occasione per distribuire quei beni inattesi ai poveri e a chi non ha questa fortuna. Questโ€™uomo, presente anche in noi, sa vedere solo i propri beni, in una solitudine della quale non รจ consapevole, accecato dalle proprie ricchezze, inebetitoโ€ฆ

Ma ecco arrivare per lui una sorpresa, che fa apparire lโ€™intero suo programma come grande stoltezza e stupiditร : giunge improvvisa la fine della sua vita, ed egli non potrร  portare con sรฉ nulla di ciรฒ che ha accumulato! Solo allora, troppo tardi, questo ricco si accorge che la ricchezza non dร  la felicitร , non assicura la vita autentica, ma solo addormenta, acceca, impedisce di vedere la realtร  umana. Qui occorre ricordare la lezione del salmo 49, con il suo tagliente ma realissimo ritornello: โ€œLโ€™uomo nel benessere non capisce e non dura, ma รจ come gli animali avviati verso il mattatoio!โ€ (cf. Sal 49,13.21). Lo stesso salmo afferma che anche se lโ€™uomo si arricchisce e accresce il lusso della sua casa, quando muore non porta nulla con sรฉ (cf. Sal 49,17-18): il suo unico pastore e padrone รจ la morte (cf. Sal 49,15)โ€ฆ Sรฌ, ragionare e comportarsi in questo modo si dimostra folle, insensato, perchรฉ manifesta unโ€™illusione mortifera: quella che la ricchezza e la proprietร  di molti beni salvino, diano senso e significato alla vita. Spesso non lo ammettiamo, ma in realtร  lo pensiamo, e facciamo di questo criterio lโ€™ispirazione di molte nostre scelteโ€ฆ

In veritร  la morte che ci attende tutti, proprio perchรฉ fa parte della nostra vita senza che possiamo rimuoverla, rivela il limite del possesso, del potere, del piacere, e riconduce ogni persona alla realtร  e alla fragilitร  umana. Se teniamo presente lโ€™orizzonte della nostra propria morte, siamo spinti a interrogarci in profonditร : in cosa consiste la nostra vita? In cosa troviamo un senso alla fragilitร  e cerchiamo salvezza dalla morte? Non รจ un caso che nella sua lettera Giacomo, rivolgendosi ai ricchi che si vantano di ciรฒ che fanno e possiedono, li interroghi: โ€œDi cosa รจ fatta la vostra vita?โ€ (cf. Gc 4,14).

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Lโ€™ora della morte sarร  anche quella dellโ€™incontro con il giudice, Dio, il quale renderร  manifesto ciรฒ che ciascuno di noi ha pensato, detto e fatto nei giorni della sua vita terrena. Allora sarร  evidente la veritร  di ciรฒ che si รจ vissuto qui e ora: ovvero, dellโ€™aver tenuto conto o meno della volontร  di Dio che tutti gli esseri umani siano fratelli e sorelle e partecipino con giustizia alla tavola dei beni della terra, in quella condivisione capace di combattere la povertร . Ma chi ha accumulato per sรฉ con un folle egoismo, chi non si รจ โ€œarricchito presso Dioโ€, cioรจ condividendo i suoi beni, sarร  nella solitudine eterna. La vita umana non finisce qui, anche se spesso lo dimentichiamo, e la vera ereditร  da desiderare รจ la โ€œvita eternaโ€, che si puรฒ ricevere nellโ€™amare Dio e il prossimo, non accumulando beni terreni.

Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi.

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