La famiglia e la catechesi. Che poi è la famiglia e il catechista e i catechisti, perché la catechesi in astratto non si dà. Delle persone, i catechisti, che – mi ripeto – sono un valore. Guardate che non è facile… a volte si dice la Chiesa di una volta…
quaranta anni fa, avere dopocena un gruppo così numeroso era impensabile. Questa è una ricchezza. Allora smettiamo di lamentarci. Cerchiamo di prendere le energie, però di indirizzarle verso quel servizio che la Chiesa e la società ci chiedono. La famiglia e la catechesi. Anche qui vado sul concreto.
Quale famiglia? Oggi quante famiglie ci sono? Ci sono famiglie credenti e praticanti, credente non praticante, e ancora, una famiglia non credente e non praticante. Ci sono famiglie in cui l’uno crede e l’altro no, altre in cui l’uno è praticante e l’altro no, altre ancora in cui uno è non credente e l’altro credente. Ci sono credenti che sono conviventi. La settimana prossima ho due battesimi di genitori conviventi. Hanno promesso – proprio perché stimolati da questo Battesimo – che presto si sposeranno in Chiesa. Però è chiaro che una famiglia di conviventi non è uguale ad una famiglia di conviventi. Ci sono divorziati e risposati, divorziati che sono rimasti single. Allora questo è il panorama e credo che sia valido per tutta l’Italia, che in ciò si sta livellando con una velocità più o meno rapida, più veloce come divorzi al nord e al centro e meno al sud, però è anche vero che il sud sta raggiungendo il centro e il nord. Allora certe posizioni, non sono più operative.
Dire che i genitori devono venire alla catechesi, se no non do i sacramenti ai figli, è una imposizione. Che non è che facilita i genitori nel riaccostarsi alla Chiesa. Quelli ci vengono perché magari la festa la vogliono fare, però dopo la festa non li vedi più. Dire – poi – non faccio più la catechesi in parrocchia, ma la fa la famiglia… quale famiglia? Quante famiglie sono in grado di fare una catechesi?
Allora quale è la conseguenza? Che bisogna tener conto che noi abbiamo questa situazione. Sia quelli che fanno la catechesi ai bambini e ai ragazzi, che quelli che fanno la catechesi agli adulti, devono tener conto che la situazione è questa. Non si può far pesare la catechesi dei figli sui genitori per servirsene come una clava: se non venite non vi do il sacramento. Perché se si continua così noi arriveremo al fatto che qualche famiglia dirà: la catechesi ai figli non gliela faccio fare e non se ne parla più. Guardate che non è una cosa che ci mette molto a succedere, perché oggi i fenomeni sono improvvisi, pensate alla festa dei Santi e dei morti. In pochissimi anni Halloween le ha fatte sparire. Ormai nelle nostre parrocchie il primo di novembre è la festa di Halloween. Per i bambini, per i genitori, per i nonni. Due anni fa incontrai una nonna con una zucca grossa così, l’ultimo di ottobre. Le dico: dove vai? Lasciami perdere don Tonino che devo preparare Halloween per i nipoti. Sicché tutti i bambini sono andati in giro tutta la sera, per cui il giorno dei Santi in chiesa non c’era nessuno. Allora voi immaginate per esempio che a qualcuno venga in mente di chiedere ad un campione, tipo Valentino Rossi, o un cantante, di fare un’apparizione in televisione e dire: lasciate stare la catechesi e al suo posto facciamo la festa della primavera. Voi pensate che ci metterebbero molto i nostri bambini a dar credito a ciò? Ecco allora che io ringrazio Dio comunque quando i genitori li portano in parrocchia, perché è un collegamento che rimane. Vedete, dobbiamo cercare di essere attenti alla realtà. Perché è la realtà che ci indica la strada da prendere.
Allora che tipo di catechesi può fare la famiglia? Questo documento – La formazione dei catechisti nella comunità cristiana – dice questa cosa che per me è stata illuminante:
“L’iniziare alla fede nella famiglia avviene attraverso la vita quotidiana: la fede passa nei rapporti affettivi, nei fatti di ogni giorno letti in ottica di grazia e di gratitudine, negli eventi familiari gioiosi e dolorosi interpretati come eventi abitati dalla presenza del Signore.” (Formazione dei catechisti nella comunità cristiana 9). Questa è la catechesi che una famiglia credente può fare. E questa è una catechesi che la parrocchia deve cercare di stimolare e di coadiuvare. Come fare ciò? Per praticità vi propongo uno schema che va a dividere le età.
Essa va da 0 a 11 anni. Noi sappiamo che il bambino, che ancora sta nel grembo della madre, sente e avverte quello che succede fuori. Allora se la mamma prega e in famiglia c’è un
clima di serenità, il bambino questo lo assorbe. E crescendo ha bisogno di questo assorbire i valori della fede. È importante l’imprinting. Sappiamo Lawrence che cosa ha scoperto: mettendo il suo volto davanti ad una nidiata di papere, è stato preso per adulto di riferimento. Per il piccolo della specie umana è la stessa cosa. Perché il bambino prende tutto per assorbimento. Non per ragionamento. Questo vale soprattutto per i primi tre anni di catechesi parrocchiale. Fargli tanti discorsi non serve a niente. Farli pregare, far fare esperienza di amicizia, fargli fare esperienza di carità, esperienza di servizio, li aiuta ad assorbire i valori cristiani. E cosa succede? Anche le famiglie che non credono – o, perlomeno, alcune famiglie che non credono – su questi valori sono in grado di collaborare. Anzi, io ho scoperto che a volte certi genitori che non sono credenti, sono più interessati dei genitori che vengono sempre in chiesa. Soprattutto di quei genitori cristiani che dicono: ci pensa il prete. Io quest’anno – non so come andrà a finire – al sabato, siccome molti genitori aspettano fuori della chiesa, mentre ci sono i bambini che stanno nelle loro aule, proporrò ai genitori di fermarsi con me in modo che cerchiamo di dirci insieme cosa facciamo con i bambini, cosa gli insegniamo, cosa gli facciamo sperimentare, perché facciamo certe esperienze. Non so come andrà, ma anche se ci venissero in pochi, è comunque bello dare importanza a coloro che verranno.
Conta per i bambini piccoli in famiglia il terreno, non le prediche. Quello che conta in famiglia conta anche in parrocchia.
Una parrocchia dove i catechisti non si aiutano, come fanno poi ad insegnare che il cristianesimo è aiutarsi e volersi bene? Torna qui il discorso del catechista e dei catechisti che devono presentarsi come gruppo. Non il gruppo di adolescenti che stanno sempre insieme. Sì, a volte possono fare anche la cena insieme. Quest’anno ho fatto la cena ai miei catechisti alla fine dell’anno, ma ho fatto una cena seria, con il cameriere… ci vogliono questi momenti soprattutto per catechiste donne che a casa lavorano sempre.
Non conta la fede sul libro, ma la fede su strada. La fede proposta per contatto. I genitori, questo papà è questa mamma, non insegnano l’affetto ai figli, ma glielo fanno sperimentare tenendoli a contatto con se stessi. Ecco la catechesi della parrocchia – questo è il mio sogno – è quello di far sentire i bambini amati dalla parrocchia. D’altra parte Gesù cosa faceva? Gesù non parlava ai bambini, però se andavano lì a fare macello li accoglieva, li abbracciava e li benediceva. La catechesi non deve essere un peso, deve essere un abbraccio.
E quale fede proporre? Quella di Abramo. Che lascia la sua terra. Questo è importante dirlo ai genitori. Perché anche i nostri cristiani spesso non hanno questa fede qui: “Ecco io vengo”. Ma hanno questa fede qui:
“Fammi vincere il concorso di miss Italia e io ti accendo una candela”; “Fammi vincere al lotto e io vado a messa e non bestemmio più!”. Ma Dio non ci sta. La fede è meraviglia. A coloro che sono credenti bisogna aiutarli a capire questo: fate capire ai bambini che per la fede la domenica la vivete così, per la fede il tempo lo organizzate così, per la fede qualche volta invitate un parente a casa. E alcuni genitori che magari non hanno il tempo di venire a messa perché c’hanno il ristorante, accettano ogni tanto di invitare un parente a casa, o un povero. Noi dobbiamo proporre alle famiglie quelle esperienze che possono fare, quelle che fanno nascere la fede dalla vita. Su questo campo la parrocchia e la famiglia devono sperimentarsi. Se io allora non posso chiedere di venire a fare le lezioni di catechesi, gli posso chiedere di partecipare ad una iniziativa di carità per i poveri o per i missionari. Non vi sto dicendo cose che non sapete. Però se alla gente che spesso in chiesa non ci viene, proponete di aiutare un missionario in Africa, ci sta. Due settimane fa è morto un parrocchiano partigiano, comunista, penso che mai è entrato in chiesa. Io conoscevo i figli perché gli ho fatto scuola. È morto con questo desiderio: dite al prete che raccolga le offerte in chiesa e le utilizzi per fare un pozzo in Africa. Guarda caso stiamo aiutando proprio un missionario che ha bisogno di fare i pozzi. Bene, l’ho detto in chiesa, il desiderio di quest’uomo, e abbiamo fatto quasi mille euro. Durante i funerali ho letto il Vangelo di Matteo dove Gesù dice avevo fame, avevo sete, ero malato. E questo fatto qui io lo racconterò anche ai bambini del catechismo. Anche i bambini piccoli cominciano a ragionare… diceva la signora prima dobbiamo fare esperienze, ma ci vuole anche il contenuto, dobbiamo far capire l’esperienza. Certo, però quando tu hai fatto l’esperienza il contenuto ti rimane in mente. Se io faccio l’esperienza di carità verso una persona malata e poi dico che Gesù dice aiuta i malati, il bambino si ricorda. Anche alle famiglie che non credono suggerisco di dare su Dio e su Gesù informazioni precise.
Mai parlare del Dio che punisce: io c’ho messo quest’occhio perché in seminario quando ero ragazzino quest’occhio stava dappertutto. C’era scritto: Dio ti vede. Anche ai bagni! Tanto che mi è rimasto sempre come un incubo. Poi anche in parrocchia, in un cartellone, c’era un ragazzo che rubava le mele, e su un angolo del cielo c’era l’occhio di Dio che guardava. Io quando andavo a rubare le mele guardavo sempre in cielo….
Mai raccontare Gesù come storiella. Anche alle mamme devote che dicono: c’era una volta Gesù… No! Così rovini tutto. Guai se i catechisti della prima elementare raccontano le storielle su Gesù.
Bisogna cominciare con quelli della prima con la cartina geografica. Questa è la Palestina, questa è Gerusalemme, questa è Betlemme, questa è Nazareth, Gesù è nato qui, dove adesso si spara. Se tu cominci a dire: una volta Gesù, c’era la notte stellata, … queste cose non si cancellano più. Più sono piccoli, più bisogna partire dalla realtà.
Mai dire ai bambini tu devi dire le preghiere, devi andare a messa perché sei piccolo. Questo è un vizio che i genitori hanno. E ai bambini passa che la fede è solo una questione da bambini piccoli.
Mai servirsi del Signore come supporto della propria volontà, dei propri desideri o addirittura come “lupo cattivo”. Adesso i lupi – per il WWF – sono diventati buoni. Perché non l’hanno mai visti. Io ce li farei stare una volta dentro la foresta. Allora non si può più dire lupo cattivo… ma gli dicono guarda che se fai così chiamo il prete! Oppure se non fai così Gesù piange!
Non proporre la fede come una cosa triste. Io dico a i genitori che si lamentano che i figli non vengono più a messa. Tu se la domenica dici mi tocca andare a messa, è chiaro che tuo figlio ti dice allora non ci vengo. Io qualche volta prima della messa dico scherzando: se qualcuno è venuto a messa dicendo mi tocca andare a messa, mi faccia il favore, lasci l’assemblea prima che cominciamo, perché qui voglio solo gente che è venuta contenta. Che è venuta non perché ha perso il portafoglio, ma perché ha trovato un tesoro.
E qui torniamo al dunque. Se non c’è una comunità parrocchiale che riesce a testimoniare la gioia di essere cristiani, dove la vedono la Chiesa questi nostri ragazzini?
Questo della prima infanzia è il tempo del dare del cibo buono. La parrocchia deve dimostrare amore verso questi bambini, anche se fanno a volte del chiasso in chiesa, bisogna farli sentire sempre accolti. Perché io penso sempre: quel giovanotto della parabola che va via da casa, perché torna nella casa del padre? Mica perché si è pentito, ma perché ebbe fame. Nel momento che ebbe fame disse: a casa di mio padre si mangia in abbondanza. Mi alzerò e andrò da lui. Se questi bambini hanno un’esperienza bella della comunità, prima o poi avranno una spinta a tornare. Ho fatto l’esperienza proprio due anni fa, nella parrocchia nuova, arriva Pasqua, la visita alle famiglie, che è sempre un po’ impegnativa perché non conosci… e poi ho cominciato con le famiglie: ti ricordi il campo scuola… insomma a molti quelle esperienze erano rimaste dentro. E qualcuno di questi per il legame che c’era e per l’esperienza fatta in comune, li vedo arrivare in chiesa. Questo cibo buono se è dato insieme è la cosa migliore. Però succede sempre di più che l’uno sì e l’altro no. Uno un po’ di più, uno un po’ di meno. Allora io dico ai genitori: se tu non vieni in chiesa spiega al figlio il motivo per cui non ci vieni. Glielo devi spiegare con sapienza pedagogica, con delicatezza, però gli devi dire la verità. In questo caso nella parrocchia con i catechisti dobbiamo puntare su valori condivisi. Tu genitore non vieni in chiesa, ma credi nel valore della solidarietà? Sì, allora tuo figlio educalo alla solidarietà. Credi nel valore del dialogo? Allora educalo a questo. E su questi qui quello che gli diciamo noi in parrocchia non va in contrasto, ma diventa uno stimolo. Chiaro che molti genitori manco mi stanno a sentire, però io penso sempre ad una frase di Geremia. Geremia non vuole parlare. Allora Dio gli domanda cosa vede e Geremia dice: una pianta che simboleggia l’arrivo della primavera. E Dio gli dice: hai visto bene, io vigilo sulla mia parola perché si realizzi. Tu parla, poi ci penso io a farla realizzare. Il compito nostro è annunciare, far conoscere e far incontrare con la Parola di Dio. Poi ci pensa il Signore a fare quello che deve fare.
I ragazzi hanno bisogno di stacco. Se fatta la Cresima, in prima, seconda, terza media, questi non vengono più, non li dobbiamo abbandonare.
Dobbiamo cercarli anche se non vengono. Però dobbiamo continuare a cercarli. Non li dobbiamo considerare persi, dobbiamo cercare di andarli appresso. Tocca a noi stargli appresso. Non diciamo: io l’ho chiamati, non sono venuti… perché Gesù quando ha lasciato la terra non ha detto: andate a sentire gli apostoli, ma ha detto agli apostoli e ai discepoli: andate a predicare a tutte le genti. Siamo noi che dobbiamo stargli appresso. In questo periodo bisogna stimolarli sull’impulso della libertà e della responsabilità, che è molto importante perché tutti i mass media puntano a deresponsabilizzare. Fare una pubblicità che dice: al sabato sera almeno quello che guida non si ubriachi, fa passare il messaggio che ubriacarsi è normale. Basta fare a turno. Noi dobbiamo dire no, non c’è bisogno di ubriacarsi. C’è un incidente stradale. I giornalisti dicono che bisogna rifare i guardrail, tu puoi fare i guardrail che vuoi, ma se non stai attento sulla strada…è sempre colpa degli altri. La nebbia, ma se uno cammina a 120 all’ora… nebbia assassina titolano i giornali, ma che c’entra la nebbia… ma se tu andavi a 50 all’ora non ti succedeva niente! In questa età qui dobbiamo spiegare, spiegare, spiegare, motivare, motivare, motivare. E stimolare i genitori a fare altrettanto.
Alcuni suggerimenti importanti per i genitori e per noi. Non dire mai no senza far intravedere un sì più grande. Il cristianesimo dice dei no, ma li dice perché dietro c’è un sì più grande. I comandamenti dicono no, ma per raggiungere un bene. Questo è importantissimo, non presentare la fede partendo dal negativo. Dice, ma c’è la croce… sì ma essa va letta alla luce della resurrezione. Se io dico ad un ragazzo vieni a fare la maratona, non devi mangiare la pastasciutta, non devi mangiare il gelato, non devi mangiare il cioccolato, non devi andare a dormire tardi, non devi fumare… quello mi dice: fattela la maratona. Se invece gli dico vieni a fare la maratona perché fra quattro anni vai alle olimpiadi, arrivi da solo dentro lo stadio… quello è facile che ci viene. Perché quei no non li vive come imposizione, ma come un mezzo per arrivare al sì. Noi abbiamo fatto spesso lo sbaglio di aver presentato la fede cristiana come la fede dei no. Invece il cristianesimo è la fede del sì.
Sganciare, far uscire, è sforzarci sempre di predicare il “se vuoi”. Come Gesù. Gesù incontra un giovanotto. Questo giovanotto è in gamba e a Gesù gli piace. Gli dice vendi tutto e vieni con me. Lui gli risponde picche e se ne va. Se c’ero io gli avrei fatto spaccare la terra davanti, l’avrei chiamato, avrei parlato con la zia, con la madre, ma Gesù lo lascia andare. Questa è l’esperienza catechistica: fare la proposta e affidarla alla responsabilità della persona. Anche ai nostri ragazzi.
È il tempo di lasciare andare. Però bisogna inseguirli con una Famiglia Chiesa modella. Quando una comunità cristiana è bella la gente va dove c’è il bene, il bello, il vero. Come facciamo a dire che noi facciamo la pastorale giovanile se le nostre comunità di adulti non sono belle? Se le nostre celebrazioni non sono belle? Non ci verranno mai. Per un cristiano annunciare il Vangelo vuol dire semplicemente dimostrarsi un cristiano lieto e fiero. Senza fare tante prediche. Parrocchia e famiglia devono essere unite. Questo deve essere lo stimolo, l’aiuto che ci si dà, quello che insegniamo ai genitori.
L’età più difficile dell’adolescenza. Qui la lotta diventa dura perché nell’adolescenza si fanno le scelte, comincia la violenza, comincia la droga, comincia la sessualità, insomma è una età particolarmente difficile.
Ed è un’età che noi riusciamo a seguire poco. Io a volte penso che se tutto l’impegno che mettiamo per i bambini fino agli undici anni, noi lo mettessimo per i ragazzi dai 14 ai 20 anni, delle cose cambierebbero. In alcune parrocchie stanno riportando la cresima in quarta o quinta elementare. Prima della Comunione. Questo perché ci sono ragazzi di seconda o terza media che fanno la Cresima quasi per dispetto. Allora diamogli la Cresima quando sono piccoli che l’accettano come festa, poi possiamo dire iniziamo a inserirli come missionari per gli adolescenti. Guardate che la cosa non è una cosa da non pensarci. Tenere presente l’autoaffermazione oppositiva. Questi dicono sempre di no. Perché vogliono affermarsi e per farlo devono fare il contrario. In questa ètà qui bisogna dirlo anche ai genitori occorre praticare e testimoniare una grande e genuina capacità di discernimento delle proposte di vita. Avete visto in tv le ragazzine che vanno a fare il concorso per le veline o per le miss. Oppure lo sport per diventare campioni. Noi dobbiamo cercare di mettergli dentro il sale del pensiero. Dire: ma sarà vero che la cosa più importante della vita è andare a fare la velina? Sei sicuro che non ci sono altre cose da fare? Non ci daranno ragione, però se gliele dici e se arrivano ci pensano. Occorre saper motivare la scommessa sulla bontà della proposta cristiana. Essere sale ed essere luce. Questo è il cristianesimo. Io quando confesso domando: sei stato sale e luce dell’ambiente dove lavori e vivi? Che vuol dire? Questo è il peccato nostro. Che siamo cristiani ma nessuno se ne accorge. Se c’è il sale te ne accorgi. Se c’è la luce te ne accorgi.
Una volta confessando una signora le ho domandato: ma il bene lo fai? E lei mi ha risposto: don Tonino, se volevo fare il bene mi facevo suora! Un mio parrocchiano diceva: rubare non rubo, ammazzare non ammazzo, e bestemmio quando ci vuole! Un altro: che peccati hai fatto? E lui: ma che peccati faccio, che non c’ho più le forze? Faccio la catechista e mia figlia in chiesa non ci vuol venire che devo fare? Devi lasciarla libera. Però non devi smettere di proporre. Magari: io vado a messa, mi accompagni? Parrocchia e famiglia devono essere unite, questo è un percorso da fare insieme. Con questi ragazzi adolescenti ci vuole una pazienza infinita.
Adesso che tuo figlio e tua figlia sono grandi, adesso che sono sposati, adesso devi ricominciargli a parlare di Gesù. Non devi smettere. Può essere il momento in cui i figli ritornano alla casa del padre. Per cui in tutti i momenti della vita la famiglia può fare catechesi, non facendo la lezione, ma seguendo questo percorso. La parrocchia deve aiutare la famiglia a fare questo percorso. E la parrocchia secondo me deve diventare sempre di più come una famiglia che fa questo percorso. Con i bambini piccoli, con i ragazzini, con gli adolescenti, con i giovani. Per fare questo c’è bisogno di una chiesa tutta missionaria, perché chi ci va nelle famiglie, chi ci parla con le famiglie? Sono quelli che vengono a messa la domenica. Io gli dico sempre ai miei parrocchiani: adesso le cose che ci siamo detti chi gliele dice a tutti quelli che stanno fuori? Domani mica posso io andare negli ospedali, nelle fabbriche, voi sì. Noi possiamo raggiungere domani duemila, tremila persone. Allora questa parola che abbiamo ascoltato, chi gliela porta? Il compito di annunciare il Vangelo è di ogni cristiano, impegno fondamentale della Chiesa è annunciare il Vangelo.
Penso che non solo bisogna fare due percorsi, ma tanti percorsi. Siccome le difficoltà sono generali, occorre trasformare tutte le nostre attività parrocchiali in attività di tipo missionario. Un esempio. Io non faccio più i battesimi insieme. Faccio possibilmente i battesimi famiglia per famiglia. Perché ho una maggior possibilità di parlare con ciascuna famiglia. Ancora. La festa parrocchiale farla a livello missionario, per cercare di approfittare per annunciare il Vangelo. Il funerale: nei funerali vengono molte persone che in chiesa non ci vengono mai. Soprattutto uomini. Allora, nel momento del funerale, quattro o cinque minuti di omelia sulla resurrezione e sulla vita eterna sono utili. Le messe feriali: ci sono famiglie che vengono a messa solo quando fanno dire la messa per i parenti. Allora in quella messa lì trovare due minuti per dire due parole sul Vangelo che possa colpirle. Ci vuole questa catechesi “strada facendo”.
Molte cose sono cambiate. Oggi gran parte delle comunità parrocchiali ha una nuova figura di laicato, che dovrebbe passare da gente che dà una mano a gente che collabora e che si sente corresponsabile. Una volta la figura del prete era molto più forte, centrale. Anche se noi preti siamo l’unica categoria allergica al rinnovamento. Tutte le categorie professionali sanno che devono cambiare. Io andando in giro trovo preti che dicono: io ho fatto sempre così e continuo a fare così. Mi ricordo a Barletta dopo tre giorni di convegno sulla catechesi. Si alza un prete che afferma rivolto a me: lei avrà anche ragione, ma ho fatto sempre così e continuerò a fare così. Io gli ho raccontato la storia – pare che sia vera – della badessa. Quando prima del Concilio dicevano il breviario in latino e nessuno sapeva il latino. Ora c’era il salmo “Quam dilecta tabernacula tua …” che loro pronunciavano “Tavoletta tabernacula tua …”. Arriva una novizia che era una professoressa di lettere. Per due anni non ha potuto parlare, poi quando ha emesso i voti le hanno dato il permesso di parlare. Ha detto: senta madre, non è “Tavoletta tabernacula tua …”, ma “Quam dilecta tabernacula tua …”. La badessa come ha risposto? Tavoletta s’è sempre detto e tavoletta si dice.
Per quanto riguarda i genitori io ho trovato efficace una cosa. Voler bene ai figli. Io alla fine della messa i chierichetti li ringrazio sempre. Questo crea nell’adulto disponibilità all’incontro. Nelle parrocchie dove ero prima le catechiste avevano una grossa capacità di rapporto con i genitori. Si interessavano con loro se il figlio magari era stato assente. Oppure riguardo alla scuola. Se gli fai capire che li cerchi per portarli in chiesa si chiudono a riccio. Se invece percepiscono che ti interessi di loro e dei figli, pian piano si accostano. Proporre una Chiesa che sia materna, che non rimprovera, che cerca di capire, che cerca di incoraggiare, questo ci avvicina alla gente. Quei genitori poi che – rimanendo comunque refrattari alla proposta – portano i loro figli, io li ringrazio. Per la festa di Cristo Re, facevo la festa di ringraziamento ai bambini e ai loro genitori. Guardate che voi qui stasera siete una ricchezza, non è vero che le cose prima erano meglio, perché queste opportunità non c’erano. Questa ricchezza cerchiamo di non disperderla.
Articolo aggiornato il 8 Novembre 2017 09:11
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