don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo di oggi 2 Giugno 2019 – Lc 24, 46-53

Il Regno di Dio è terra impastata di Cielo

Il brano del vangelo di oggi, festa dell’Ascensione di Gesù, chiude il Vangelo secondo Luca che si era aperto con la duplice annunciazione a Zaccaria e a Maria. Al sacerdote Zaccaria, che era entrato nel tempio per compiere il sacrificio dell’incenso, l’angelo Gabriele gli aveva annunciato la nascita di un figlio. Per la sua incredulità era rimasto muto per nove mesi, fino alla nascita di Giovanni. Zaccaria avrebbe dovuto benedire il popolo in attesa, ma non poté per il mutismo. La benedizione, attesa dal popolo, finalmente la dà il Cristo crocifisso e risorto, il vero e nuovo Sommo Sacerdote. Nell’annuncio a Maria invece era stata annunciata la nascita di Gesù, il cui regno non avrebbe mai visto la fine. La profezia si realizza quando Gesù, elevato in cielo, diventa re collocando il suo “trono” al di sopra di tutte le altre potenze terrene. L’innalzamento di Gesù in cielo è il compimento di quello avvenuto sulla croce. Sul calvario era iniziata la liturgia d’intronizzazione con la quale Gesù diventava il Re dei re, il Signore dei Signori. L’ascensione non porta Gesù in un’altra dimensione rispetto a quella terrena perché l’ambito sul quale viene esercitata la sua regalità di Gesù non è solo il Cielo ma comprende anche tutta la terra. Come il sole che, sorgendo e innalzandosi nel firmamento, illumina tutta la faccia della terra.

Il Regno di Dio è sulla terra la comunità di discepoli di Gesù in continuo cammino di conversione, cioè di trasformazione del cuore. La conversione è il lento processo di riscatto che la mano di Dio opera nell’intimo di ogni uomo perché la direzione che intraprende la vita non sia quella degli inferi, dietro la morte, ma sia quella verso il Cielo, via “viva e nuova” che Gesù ha inaugurato.

L’ascensione al Cielo indica il raggiungimento della pienezza della Gloria; da questa pienezza della sua autorità regale Gesù dona lo Spirito Santo perché i membri del nuovo Regno non siano semplicemente dei sudditi esecutori di ordini, ma uomini e donne che partecipano della stessa potenza di Gesù vivo e risorto. La potenza di cui sono investiti i discepoli è quella dell’amore che dà la vita. Per cui i discepoli sono suoi testimoni perché seminatori di speranza nel mondo per prepararlo all’azione dello Spirito che cambia i cuori. I discepoli sono rivestiti di potenza che viene dall’alto, da Dio. Lo Spirito Santo è la veste di luce di cui è stato rivestito lo stesso Gesù. È la veste splendente della nuova creatura che ama gli altri con lo stesso amore con cui è amato da Dio.

La veste che Gesù dona ai suoi discepoli non solo li fa partecipi della sua regalità ma anche del suo sacerdozio. Come il Regno di Dio è nuovo, rispetto ai regni di questo mondo, così lo è anche il suo sacerdozio. Quello dell’Antico Testamento era rappresentato dal Sommo Sacerdote che una volta all’anno portava nel tempio il sangue di un capro per chiedere il perdono dei peccati. Gesù è diventato il vero Sommo Sacerdote perché ha offerto il suo sangue, cioè la sua vita, perché il peccato potesse essere cancellato dalla potenza della misericordia di Dio. Il peccato è ciò che ci fa andare fuori strada e ci fa impantanare nel fango del vizio, che ci fa sbagliare il bersaglio della vita regalandoci sensi di colpa senza fine, che schiaccia col peso dell’egoismo e fa piegare il capo sicché non vediamo altro che il nostro ombelico. Il perdono di Dio è potenza che libera dalla schiavitù interiore, che ci rimette in carreggiata perché possiamo proseguire la nostra vita, ci ridona fiducia per riprovare e riallacciare relazioni interrotte e curare le sue ferite, rialza il capo per ammirare la bellezza di un mondo così diverso, ma per questo più bello, di quello che avevamo desiderato con gli occhi chiusi.

Trasformati interiormente e riconciliati, riceviamo la veste del testimone che non ha il compito di portare gli uomini in cielo ma quello di impastare la terra di cielo. Il nostro amore non cambia il cuore delle persone, ma le rende più aperte ad accogliere il Signore che viene. Gesù sale in cielo non per allontanarsi dall’uomo nella sua zona sacra e inviolabile, ma per appartenere ancora più profondamente all’uomo.

Sicché il cielo nel quale Gesù ha la sua dimora e il suo trono, è l’assemblea che si riunisce nell’eucaristia per ringraziare e lodare insieme Dio che fa di molti un solo corpo e un solo spirito con Gesù. Il Regno di Dio si manifesta sulla terra nella famiglia, Chiesa domestica, che unita dal vincolo dell’amore, condivide gioie e dolori, cresce nella corresponsabilità, si sostiene a vicenda con la preghiera. Il cielo s’immerge nella terra fecondandola, lì dove l’uomo si piega sulle ferite del malato, del povero e dove braccia e cuore si aprono all’ascolto e all’accoglienza dell’altro senza giudizi e preconcetti.

La missione di Gesù nel mondo ha un inizio e una fine perché è racchiusa tra il venire nel mondo, inviato dal Padre, e il ritornare a Lui, lasciando il mondo. Il passaggio di Gesù è attraverso il mondo.

Quale è il motivo di questo passaggio? Il senso della missione di Gesù non si rintraccia nel cambiamento delle strutture sociali, economiche o politiche che caratterizzano la città degli uomini, ma è il cambiamento del cuore dell’uomo per renderlo cittadino del Cielo.

L’ingresso di Gesù nella storia degli uomini ha segnato un momento fondamentale nella relazione tra Dio e l’uomo e degli uomini tra loro. Attraverso Gesù il Dio dell’universo si è rivelato come Padre che si fa vicino a ciascuno dei suoi figli per prendersene cura amorevolmente. Gesù, anche se in modo velato attraverso i segni compiuti, ha fatto conoscere e sperimentare la vera gloria di Dio.

Lasciando il mondo con la morte, non abbandona la sua famiglia ma rivela senza più veli la bellezza del Dio dell’amore. Ora è il tempo, soprattutto nella liturgia, in cui ascoltando la parola di Gesù siamo alla presenza di Dio e Dio è con noi, per noi e in noi.

La preghiera liturgica, in particolare quella comunitaria, è dialogo verso il Padre insieme con Gesù. A differenza dei riti antichi, che erano effettuati per ottenere i favori divini, in Gesù ci viene dato e detto tutto dal Padre. L’unica parola che rivela la gioia più grande che abita il nostro cuore è “Grazie”.

Nella preghiera diciamo il nostro grazie a Dio con Gesù, attraverso Gesù e uniti a Lui. Attraverso Gesù abbiamo accesso al Padre non come servi, ma come figli che chiedono al Padre l’aiuto per vivere, il sostegno per rialzarsi dopo le cadute, il suo amore per essere pieni di gioia nel servire i fratelli.

Commento a cura di don Pasquale Giordano

FonteMater Ecclesiae Bernalda

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