don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo di domenica 19 Maggio 2019 – Gv 13, 31a-33. 34-35

Giuda, uscendo dal cenacolo ha fatto la sua scelta: si è allontanato da Gesù e dalla sua comunità. Si consuma uno strappo insanabile che però Gesù legge dal punto di vista di Dio, non dell’uomo. Scelte come quelle di Giuda feriscono la comunità e Dio stesso, tuttavia se l’analisi della situazione è effettuata solo secondo i criteri umani, non porta ad altro se non a conclusioni sconfortanti.

Gesù offre invece ai suoi apostoli un’altra lettura dei fatti. Dove l’uomo vede solo un muro di cattiveria, avidità, ipocrisia, inaffidabilità, Dio vede sempre uno spiraglio da cui prende progressivamente piede la luce. Non è la luce di una vaga speranza o di una provvisoria risoluzione dei problemi, ma è la visione di “cieli nuovi e terra nuova”, di una nuova creazione che sta per iniziare a compiersi.

Sì, questa novità è data dalla vittoria dell’amore di Dio sul peccato, della luce sulle tenebre! Giovanni all’inizio del vangelo dice che la luce venne nel mondo, ma il mondo non l’ha accolta, hanno tentato addirittura di spegnerla, ma non ci sono riusciti perché forte come la morte è l’amore. L’amore di Dio vince ogni resistenza, persino quella della morte.

Questa è la gloria di Dio, il suo “peso”, cioè il suo valore. Esso è dato proprio dall’eternità del Suo amore per l’uomo che ne diventa il destinatario, non per propri meriti ma per l’infinita misericordia di Dio. Quando l’uomo sceglie di allontanarsi, Dio risponde scegliendo di amarlo fino alla fine, fedele al suo impegno. Proprio perché l’amore è “inutile” esso ha un valore inestimabile. Quando l’uomo tratta le cose di Dio come merce di scambio appare ai suoi occhi meno meritevole, ma più bisognoso del suo amore.

Nel suo testamento Gesù lascia in eredità non beni materiali che i ladri possono rubare o la ruggine consumere, ma il Bene, tutto il Bene, il sommo Bene da cui nulla potrà separarci e nessuno potrà sottrarci. Il comandamento di Gesù è la benedizione che non è un semplice augurio, quanto invece una parola di bene che realizza quello che dice.

L’amore fino all’estremo con il quale Gesù ha amato l’uomo peccatore non è solo la misura, ma il contenuto dell’amore da donare scambievolmente. Si rende necessario far scorrere nei canali comunicativi delle nostre relazioni il sangue vivo della grazia di Dio. Se il legame che unisce due o più persone è solamente composto di amore umano, allora esso sarà molto debole e molto vulnerabile.

La relazione affettiva non può sostenersi solamente dall’amore psichico, ma deve essere sostanziato anche dell’amore spirituale, quello che Dio dona attraverso suo Figlio Gesù dalla croce.

Il discepolo di Gesù si distingue come tale non perché fa il bene, ma perché accoglie con umiltà il bene da Dio e lo dona ai suoi fratelli attraverso la testimonianza di vita. Come le parole e le opere di Gesù rendono visibile il volto misericordioso di Dio Padre, così quelle dei discepoli di Cristo lo rendono attuale e presente.

Non si vive per portare frutto, cioè per fare il bene, ma la vita consiste nella relazione intima con Gesù da cui scaturiscono le opere buone. Il fine della vita non è praticare i comandamenti, ma chi accoglie con umiltà e gratitudine la grazia di Dio, naturalmente pratica la giustizia. I frutti della carità sono la testimonianza di come lo Spirito fa abitare Cristo in me e che continua a beneficare tutti coloro che sono prigionieri del male.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!

Commento a cura di don Pasquale Giordano

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FonteMater Ecclesiae Bernalda

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