Lectio divina
Dopo lโinsegnamento sulla preghiera, lโevangelista Luca presenta alcuni episodi nei quali Gesรน viene attaccato e messo alla prova. Risponde alle accuse mosse ingiustamente contro di lui giudicando lโatteggiamento dei suoi detrattori, denunciando la loro malvagitร e mettendoli in guardia dal pericolo di cadere loro stessi nel tranello della tentazione del demonio che cerca di allontanare in ogni modo gli uomini da Dio. La incredulitร porta a due conseguenze, lโipocrisia e la cupidigia. Dellโipocrisia Gesรน parla ai suoi discepoli indicando in essa il contrario della fede e consiste fondamentalmente di nascondersi dietro la maschera del perbenista per giudicare, sostituendosi a Dio. Della cupidigia, invece, accenna a partire dalla richiesta che gli rivolge uno della folla, il quale pretende che Gesรน faccia da giudice o mediatore nella questione dellโereditร che lo contrappone al fratello.
Il tale, che rimane nellโanonimato, lo chiama Maestro, lasciando intendere che gli riconosce unโautorevolezza tale da dirimere la vertenza col fratello. La risposta di Gesรน pone una questione sulla sua identitร rimandando ad unโautoritร superiore. Infatti, la domanda di Gesรน sposta lโattenzione dalla funzione che lโuomo vorrebbe attribuirgli, per ottenere giustizia, alla missione che Dio gli ha affidato. La preghiera di Gesรน, soprattutto quella nellโora della passione, e gli eventi della Pasqua rivelano il fatto che Dio con la risurrezione, lo ha costituito giudice e mediatore di salvezza. La sua autoritร non si erge sui contendenti ma si pose a servizio della loro riconciliazione.
Il Re Salomone รจ il prototipo del sapiente e, in quanto tale, del giudice. Gesรน sembra riprendere il rimprovero mosso alla folla che si accalcava apostrofata come ยซgenerazione incredula che cerca un segnoยป (cf. Lc 11,29). La gente va da Gesรน mossa da un interesse puramente materiale. Per questo verrร giudicata persino da una regina straniera che aveva fatto un pellegrinaggio fino a Gerusalemme per ascoltare la sapienza di Salomone. La gente, mossa solamente dalla speranza mondana, non riconosce che Gesรน puรฒ dare una speranza piรน grande, la vita eterna. Le parole di Salomone sono citate nella prima lettura tratta dal Libro del Qoelet che รจ attribuito al grande Re dโIsraele, figlio di Davide.ย
Nella visione realistica del mondo tutto appare transitorio come il vapore, immagine usata per indicare la vanitร . Anche la vita dellโuomo rientra nella precarietร delle cose di questo mondo. Il pensiero di Qoelet risente della mancanza della fede nella risurrezione e nella vita dopo la morte che invece contraddistingue il credo cristiano. Preso in sรฉ questo testo dellโAntico Testamento alimenterebbe la rassegnazione, tuttavia, illuminato dal Vangelo, ricorda allโuomo che, pur essendo capace di fare t cose buone, deve fare costantemente discernimento che il fine per cui le fa non si collochi nelle dinamiche e nei tempi della vita terrena ma nel mistero della vita eterna che รจ lโesperienza dellโamore di Dio.
La domanda di Qoelet riguarda la fatica del lavoro di cui aveva parlato giร il Libro della Genesi (Gn 3, 17b.19a). Ogni attivitร umana รจ finalizzata innanzitutto alla sussistenza (S. Paolo rimproverando gli oziosi ricorda la regola: ยซchi non lavora neppure mangiยป – 2Ts 3,10) e poi anche al profitto. Il quesito che emerge dalla lettura del Qoelet รจ: di che natura รจ il guadagno atteso dallโuomo? Il sapiente dโIsraele giustamente constata che il profitto del lavoro dellโuomo รจ provvisorio perchรฉ non puรฒ essere goduto per sempre. Anzi, capita spesso che chi fatica non riesca a godere il frutto del suo lavoro ma ne beneficia chi lo riceve gratuitamente in ereditร e senza alcuno sforzo, con il rischio di non apprezzarne il valore e di dilapidare il patrimonio. Qoelet dร voce alla riflessione delusa e rassegnata di chi vive in un orizzonte materialistico.
Nella riflessione di Qoelet non cโรจ traccia di un giudizio sulle persone ma รจ sviluppato il ragionamento di chi osserva la realtร alla luce della sola ragione umana incapace di elevarsi su un piano superiore a quello materialista e, perciรฒ stesso, autoreferenziale e tendenzialmente egoista. La conseguenza di questo discorso รจ la scelta di vita edonistica che punta a godere solamente per sรฉ i beni che possiede considerandoli la giusta ricompensa per la fatica del proprio lavoro. In tale orizzonte di vita, tutto centrato su sรฉ stessi, si vive un ateismo pratico che esclude nei fatti ogni relazione con il Tu di Dio ma anche il noi della comunitร . In veritร , nessuno รจ veramente ateo perchรฉ nel momento in cui si estromette Dio dalla vita il suo posto lo prende il proprio Io insieme alle cose di questo mondo destinate a perire (Col 3,5).ย
Tornando alla pagina del Vangelo cerchiamo di comprendere meglio la reazione di Gesรน davanti alla richiesta di un tale che chiede giustizia. Solo in apparenza sembra che il Maestro abbia scansato il problema dimostrando la indisponibilitร a lasciarsi coinvolgere nella vicenda. In realtร , Gesรน va proprio alla radice del problema chiamandolo per nome. Lโaviditร รจ, infatti, la radice di tutti i mali (1Tm 6,10). La vera giustizia consisterebbe nel lasciarsi liberare dalla schiavitรน che ci lega mani e piedi ai beni della terra. La cupidigia, o avarizia insaziabile, come la chiama s. Paolo, porta allโidolatria (Col 3,5) per la quale si sacrificano sullโaltare del profitto personale anche gli affetti piรน cari.
La parabola chiarisce lโavvertimento di Gesรน che si rivolge agli uomini esortandoli a non puntare sullโarricchimento esteriore ma sulla crescita interiore. Si tratta del progetto di Dio che vuol far passare i suoi figli dal livello piรน basso della mondanizzazione, la schiavitรน, alla condizione piรน alta di umanizzazione che รจ la santitร . Il protagonista della parabola รจ un uomo che formalmente appare ineccepibile, anzi, essendo ricco viene anche considerato โbeatoโ e โbenedettoโ da Dio. Essendo un ricco possidente ha una campagna fertile che gli dona un raccolto abbondante. Il cuore della parabola sta nel ragionamento che egli fa i cui presupposti sono simili al discorso che fa Qoelet.
Innanzitutto, lo fa dentro di sรฉ e poi parlando alla sua anima. Appare chiaramente come un uomo solo sul cumulo delle ricchezze che possiede. Ha raggiunto la vetta dellโagiatezza e crede di abitare in cielo dove puรฒ finalmente riposare, mangiare, bere e divertirsi. Nel bel mezzo delle sue fantasie entra interviene Dio che gli ricorda la dura legge della morte. Non si tratta di una punizione perchรฉ la morte รจ la comune ereditร di tutti gli uomini. ร nella realtร che quando sโincomincia a vivere sโinizia anche a morire. Nessuno sa quando questo processo si concluderร , certo รจ che prima o poi arriva per tutti. Nelle parole di Dio la morte รจ il momento del rendiconto come deve fare ogni buon amministratore che non possiede ciรฒ che gestisce ma ha solo il compito di farlo fruttificare.
Quellโuomo ricco, baciato dalla fortuna, ha dimenticato di essere un amministratore della sua vita e ha preteso di esserne il proprietario assoluto identificandola con i beni che andavano aumentando sempre di piรน. La domanda finale diventa il quesito centrale di tutta la parabola in cui si riassume lโesistenza di chi vive per sรฉ stesso isolandosi da Dio e dagli altri. Dalla terra lโagricoltore avrebbe dovuto imparare la lezione dellโumiltร e del fatto che il suo compito era di coltivare la sua interioritร con la stessa cura con cui coltivava la terra. Essa, con i suoi frutti e i proventi della loro vendita, per quanto preziosa e feconda ha meno valore della propria anima che rimane arida e sterile se non viene coltivata curando le relazioni.
S. Paolo ricorda che iniziare a vivere da cristiani con il battesimo significa anche percorrere la via dolorosa e faticosa della mortificazione, ovvero del distacco liberante dalle cose di questo mondo che sono incapaci di rendere bella la vita. Nascere come figli di Dio nel battesimo vuol dire morire gradualmente al peccato fino al giorno in cui, uniti totalmente a Cristo nella morte, lo siamo anche nella sua risurrezione.
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LโEreditร da condividere fra i fratelli
Nel passo evangelico di questa domenica si passa dal disappunto di Marta nei confronti della sorella Maria, rea di non aiutarla nei servizi in onore dellโospite, alla lamentela di un tale che ha un contenzioso con suo fratello circa lโereditร paterna. Lโuomo che chiama in causa Gesรน รจ esasperato e arrabbiato per lโingiustizia subita e i suoi occhi non vedono altro che la parte di ereditร che gli spetta. ร accecato dal risentimento e concentrato su quei beni che gli spetterebbero di diritto. Il Maestro invita a guardare oltre il problema dellโereditร per riconsiderare la questione alla luce delle relazioni personali. Se lโuomo si appella a Gesรน per sciogliere il nodo che riguarda un suo interesse particolare, egli lo induce a cambiare punto di vista in modo da sollevare lo sguardo dallโereditร contesa per rivolgerlo verso il padre, datore del patrimonio ma soprattutto origine della comune fratellanza. In questo contenzioso possiamo leggere le tante liti familiari causate dalla bramosia di possesso e dalla gestione dei beni materiali.
La conflittualitร tra fratelli รจ antica quanto lโuomo, come ci ricordano tante pagine della Scrittura, in particolare della Genesi. Il peccato originale รจ la cupidigia che sโinserisce nel cuore dellโuomo ferito dal peccato. Anchโessa รจ una ereditร che passa di generazione in generazione a partire dal primo Adamo. La parabola parla di un uomo ricco proprietario di una fertile terra che gli regala un raccolto molto abbondante. Nella presentazione del personaggio principale riecheggia il racconto della Genesi nel quale Dio affida ad Adamo il compito di coltivare il giardino del Paradiso. Ha a sua disposizione i frutti di tutti gli alberi tranne quello dellโalbero della conoscenza del bene e del male. Similmente lโuomo ricco riconosce di avere a disposizione molti beni. Il tentatore istiga Adamo ed Eva a trasgredire la norma data da Dio e a puntare piรน in alto verso il traguardo di essere come Dio per prenderne il posto. La cupidigia รจ la fame insaziabile di cose, che rende sempre piรน affamati e mai pacificati.
I beni materiali non potranno mai saziare il cuore dellโuomo ma, al contrario, la dipendenza da essi provoca inquietudine e ansia. Lโuomo ricco cade nella medesima tentazione dellโuomo delle origini di sostituirsi a Dio. Per cogliere la morale della favola dobbiamo porre attenzione sul ragionamento che fa tra sรฉ il ricco possidente e sul discorso che Dio gli rivolge. Sono posti a confronto due sapienze, quella mondana e quella divina. Nel ragionamento del ricco non cโรจ traccia di gratitudine nei confronti di Dio, totalmente escluso dal suo orizzonte valoriale. ร un imprenditore che progetta partendo dallโesigenza di dove raccogliere il grano e i suoi beni arrivando alla determinazione di demolire i vecchi depositi e di ricostruirne piรน grandi. Il progetto non si ferma qui perchรฉ la sicurezza che ripone nei suoi beni gli dร lโillusione di avere a disposizione anche il tempo. Gran parte dei verbi sono al futuro di cui ha la presunzione di avere la conoscenza e il possesso.
Il ragionamento dellโuomo ricco รจ tanto fantasioso quanto vano. Basta poco per fare andare in fumo i progetti ambiziosi e autoreferenziali. La parola di Dio viene a demolire le impalcature fragili poggiate sullโaviditร , che รจ il volto drammatico dellโateismo pratico degli uomini, per riportare il discorso sulla realtร concreta della vita che non si gioca in un lontano futuro ma nellโoggi. Il presente รจ lโunico tempo veramente fecondo se รจ vissuto nella gratitudine e nella gratuitร . Da una parte, nella gratitudine si instaura un rapporto di umile riconoscimento che tutto quello che si ha รจ dono della Provvidenza; dallโaltra parte, nella gratuitร si stringono legami di solidarietร che moltiplicano la gioia secondo il fattore della condivisione.
Ciรฒ che la cupidigia esclude, lโumiltร fa scoprire piacevolmente come benedizione della Provvidenza; ciรฒ che lโaviditร induce a possedere egoisticamente, la solidale generositร suggerisce di condividere. La figliolanza e la fraternitร non sono inutili utopie ma promesse che diventano realtร nella misura in cui ci si apre con la preghiera, lโEucaristia in modo particolare, al Tu di Dio e si va incontro al noi della comunitร mettendo a disposizione di tutti i carismi ricevuti con spirito di autentico servizio. Il possesso egoistico dei beni rende povero e arido il cuore, mentre lโumile e grata accoglienza dei beni si trasforma in generosa e solidale condivisione fraterna.
Lโuomo che rivendica la sua parte di ereditร forse non era ricco e gli sarebbe tornato utile ricevere quello che gli spettava e che attendeva. La morale della favola non riguarda solo chi รจ nellโagiatezza ma anche chi รจ nella povertร perchรฉ puรฒ essere tentato dalla cupidigia nello stesso modo del ricco. Non รจ la condizione economica che ci espone al pericolo o ci dร sicurezza ma il modo di essere interiore. Se infatti manteniamo il nostro cuore umile e povero allora non diventerร duro e insensibile ma intelligente nel cogliere la volontร di Dio, sensibile e compassionevole per andare incontro ai bisogni degli altri condividendo i beni ricevuti dalla mano di Dio. Lโammonimento diventa esortazione a rinunciare allโereditร mondana del peccato, che separa i fratelli contrapponendoli gli uni agli altri, ma a guardare con Gesรน allโereditร del Cielo preparata per noi sin dallโorigine del mondo, la comunione di vita con i Santi.
Signore Gesรน, Tu che da ricco ti sei fatto povero per condividere con noi il bene inestimabile dellโamore del Padre, insegnami a contare i miei giorni per giungere alla sapienza del cuore e sfuggire alla diabolica tentazione di vivere come se Dio non ci fosse. Libera la mia mente da ogni calcolo egoistico e venale affinchรฉ mi apra allโascolto umile e docile della tua Parola e sia pronto al dialogo orante con il Padre. Tu che sei morto da giusto intercedendo il perdono per i peccatori e, risorto, sei stato costituito Giudice e Mediatore di salvezza, concedimi di portare insieme a Te la mia croce quotidiana e di aver parte con Te allโereditร della vita eterna. Donami lโumiltร di accettare i miei limiti creaturali, la temperanza per dominare le ambizioni mondane, lโaudacia di sognare con i tuoi occhi, la speranza di collaborare insieme ai fratelli nella costruzione del tuo Regno, lโintelligenza per saper cogliere le opportunitร quotidiane di fare il bene, la gioia di confermare nellโoggi la scelta di seguirti sulla via che porta alla Pace.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae รจ stata fondata il 2 luglio 1968 dallโArcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirร ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di etร … [Continua sul sito]




