don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 24 Giugno 2023

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Lacrime che irrigano i deserti dell’anima e sorriso che consola i cuori affranti

NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA (Messa del Giorno)

Dal libro del profeta Isaìa (Is 49,1-6)

Ti renderò luce delle nazioni.

Ascoltatemi, o isole,

udite attentamente, nazioni lontane;

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il Signore dal seno materno mi ha chiamato,

fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.

Ha reso la mia bocca come spada affilata,

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mi ha nascosto all’ombra della sua mano,

mi ha reso freccia appuntita,

mi ha riposto nella sua faretra.

Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,

sul quale manifesterò la mia gloria».

Io ho risposto: «Invano ho faticato,

per nulla e invano ho consumato le mie forze.

Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,

la mia ricompensa presso il mio Dio».

Ora ha parlato il Signore,

che mi ha plasmato suo servo dal seno materno

per ricondurre a lui Giacobbe

e a lui riunire Israele

– poiché ero stato onorato dal Signore

e Dio era stato la mia forza –

e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo

per restaurare le tribù di Giacobbe

e ricondurre i superstiti d’Israele.

Io ti renderò luce delle nazioni,

perché porti la mia salvezza

fino all’estremità della terra».

Vocazione e missione del servo del Signore

Nel libro del profeta Isaia si contano quattro canti del servo del Signore in cui è sviluppato il tema della personalità del ministro di Dio e la sua missione. L’opera del servo del Signore non ha origine nella mente del profeta, quasi fosse una sorta di auto-vocazione. La predestinazione alla missione riconduce la chiamata direttamente alla volontà di Dio. Il criterio della scelta divina è l’amore le cui dimensioni non sono misurabili dall’uomo. Il profeta sente che la chiamata di Dio travalica i confini dei suoi orizzonti mentali e delle sue prospettive mondane che risentono di criteri di giudizio tipicamente umani. La parola di Dio più che assecondare le aspettative degli uomini, siano esse di carattere sociale o individuale, incanala la forza dei desideri nel solco del progetto divino il cui compimento è la comunione universale. Dunque, il servo del Signore è pensato da sempre in prospettiva della costruzione del regno di Dio la cui legge fondamentale è l’amore e che si traduce in opere di giustizia e misericordia.

Dagli Atti degli Apostoli At 13,22-26

Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo.

In quei giorni, [nella sinagoga di Antiochia di Pisìdia,] Paolo diceva:

«Dio suscitò per i nostri padri Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”.

Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele.

Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”.

Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza».

Il profeta precursore

L’apostolo Paolo, da poco convertito dopo aver incontrato il Risorto ed essere stato accolto nella Chiesa, viene coinvolto da Barnaba nella missione ad Antiochia dove la predicazione dei giudeo cristiani, esuli da Gerusalemme, aveva preceduto l’opera evangelizzatrice degli apostoli. Il primo annuncio, a cui avevano aderito alcuni membri della sinagoga, necessitava di essere confermato con una catechesi più approfondita che mettesse in evidenza la continuità tra la promessa di Dio fatta ad Israele e il suo compimento realizzato in Gesù. Nella lunga catena della tradizione profetica, grazie alla quale viene tenuta viva la luce della speranza, trova la sua collocazione il ministero di Giovanni, il quale col suo battesimo d’acqua intendeva preparare e introdurre il popolo nell’epoca del compimento.

Il battesimo di conversione non era finalizzato ad un cambiamento di religione o tradizione, quanto piuttosto a preparare il cuore ad accogliere il dono promesso per lasciarsi trasformare nella mente da esso. Il dono promesso non è la libertà, intesa come emancipazione sociale ed economica, ma un liberatore che avrebbe reso liberi gli uomini, ovvero capaci di un amore libero dal peccato che corrompe e mortifica le relazioni. La salvezza, promessa attraverso i profeti, annunciata imminente dal Battista e compiuta da Gesù, è il pieno e definitivo restauro della relazione di comunione con Dio mediante la riconciliazione operata da Cristo Signore sulla croce. È lì che il Re dei re inaugura il suo regno di giustizia e di pace al quale tutti sono chiamati ad aderirvi.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,57-66.80

Giovanni è il suo nome.

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.

Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».

Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.

Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Lacrime che irrigano i deserti dell’anima e sorriso che consola i cuori affranti

In un piccolo villaggio alle porte di Gerusalemme la casa di due anziani e pii israeliti è in festa perché nasce il loro figlio dopo che ogni speranza di averne uno era svanita da tempo. Si compie la parola che l’angelo Gabriele aveva annunciato a Zaccaria, sacerdote del tempio e padre del neonato. Elisabetta, madre del bambino, diventa per i parenti e gli amici la testimonianza diretta della misericordia di Dio che, come dice la Scrittura, «fa sfiorire la ricca di figli e rende fecondo il grembo della sterile». Il clima di festa però sembra essere turbato da una piccola «querelle» riguardo il nome da dare al bambino. I parenti e gli amici di Zaccaria ed Elisabetta sono allo scuro dell’apparizione che il sacerdote aveva ricevuto nel tempio e del messaggio angelico nel quale era stato anche notificato il nome da imporre al nascituro, Giovanni, per l’appunto. È Dio stesso che, mediante il suo messaggero, indica il nome e con esso la sua missione. I due anziani, ancorché novelli genitori, con la scelta del nome, che contraddice il parere di tutti, vogliono confermare la loro fede in Dio e l’obbedienza alla sua volontà. Rendono così manifesta la loro riconoscenza per un dono inatteso che non considerano come loro esclusiva proprietà ma è per la gioia di tutti.

La prima testimonianza del piccolo Giovanni è data danzando di gioia nel grembo della madre alla presenza di Gesù, anch’egli nell’utero di Maria. Gesù è chiamato da Gabriele «Figlio dell’Altissimo» e Zaccaria, finalmente liberato dal mutismo, indica in suo figlio il «profeta dell’Altissimo». Nel nome «Giovanni» è racchiusa la promessa di Dio di salvare il suo popolo dai suoi peccati attraverso Gesù il cui nome significa «Dio salva». Con la sua vita austera Giovanni mostrerà a tutti gli uomini la necessità di fare penitenza, non perché afferrati dai sensi di colpa, ma perché spinti dal gioioso desiderio di incontrare Dio e sperimentare la sua potenza salvifica che rinnova la vita.

Giovanni è per i suoi genitori, e per ciascuno di noi, una grazia che, scuotendoci, fa scivolare di dosso la coltre dell’abitudinarietà la quale ci impedisce di stupirci davanti al miracolo della vita. Esso si rinnova ogni qual volta la Parola di Dio trova accoglienza nel cuore dell’uomo e annuncia, con sempre maggiore forza, che la vita è dono di Dio, non prodotto dei nostri sforzi.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna