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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 24 Dicembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: Lc 1, 26-38

Il regalo, la regalità e il regno – IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B) – Lectio divina

Dal secondo libro di Samuèle 2Sam 7,1-5.8-12.14.16

Il regno di Davide sarà saldo per sempre davanti al Signore.

Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».

Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.

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Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.

La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

Il progetto di Dio e quello degli uomini

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Il re Davide consulta il profeta Natan circa la sua intenzione di costruire un tempio al Signore. Al profeta l’idea appare buona e, dando per scontato il favore divino, dà al re il suo assenso e lo incoraggia a realizzare il progetto che ha nel cuore. La prospettiva del re e del profeta risente della logica umana che rimane distante da quella divina, anche se non necessariamente contrastante. Le aspirazioni del re vanno nella direzione di rendere più stabile il suo regno e la dinastia, garantendosi il favore divino e del popolo.

Da una parte il re e il profeta intendono legittimare la loro autorità ricorrendo al linguaggio religioso, dall’altra  il tempio sarebbe stato un simbolo unificante delle varie anime del popolo. Il culto a Dio sembra avere, in ultima analisi, più un valore strumentale che finale. In questa situazione Dio rivela a Natan nella notte il suo pensiero. Dio fa una premessa e una promessa. La premessa è un esercizio di memoria nel quale Dio ricorda a Davide che è stato scelto non per i suoi meriti ma per pura grazia perché il Signore non usa criteri mondani della grandezza ma quello dell’umiltà.

L’elezione di Davide riflette quella d’Israele scelto proprio perché, tra tutti i popoli, era quello più piccolo e insignificante. La premessa è dunque la provvidenza di Dio che diventa promessa perché nell’orizzonte del progetto divino c’è la stabilità e la fecondità del popolo. L’immagine della stabilità traduce la vera intenzione di Dio: educare alla fede il suo popolo perché egli sia per lui padre e Israele sia figlio per il Signore.

Stabilità e fede coincidono nella misura in cui le fondamenta della propria vita sono poggiate in Dio. Stabile è l’uomo che pone il suo cuore nelle mani di Dio e aderisce alla sua volontà con fiducia e speranza. Più che costruire un tempio per Dio, rilegandolo in un “altrove” rispetto al “dove” si vive, il Signore desidera fare casa con l’uomo. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 16,25-27

Il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato.

Fratelli,

a colui che ha il potere di confermarvi

nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,

secondo la rivelazione del mistero,

avvolto nel silenzio per secoli eterni,

ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,

per ordine dell’eterno Dio,

annunciato a tutte le genti

perché giungano all’obbedienza della fede,

a Dio, che solo è sapiente,

per mezzo di Gesù Cristo,

la gloria nei secoli. Amen.

La sapienza divina rivelata

La conclusione della lettera ai Romani è una dossologia nella quale l’apostolo dà gloria a Dio, fonte della vera sapienza, per mezzo di Gesù Cristo che è il compimento e contenuto del vangelo da lui annunciato. Il vangelo non è solo un racconto ma è la parola stessa di Dio, meglio ancora, è Gesù Cristo, Parola di Dio, mediante il quale si compie il Suo progetto (mistero) di fare di tutti gli uomini una sola famiglia.

L’obbedienza della fede è la salvezza, ovvero la condizione di vita con la quale si ama Dio e il fratelli. Paolo nella lettera parla a più riprese della giustificazione che è opera di Dio il quale rende giusto l’uomo mediante la fede. L’obbedienza della fede non è un’imposizione ma è una proposta di vita che Dio fa a tutti mediante Gesù, Figlio di Dio e amico degli uomini.

Mediante Gesù l’uomo non accede a misteri nascosti gelosamente da Dio, come se volesse essere l’unico depositario della verità o detentore esclusivo del potere, ma viene donata la sapienza dell’amore per la quale tutto esiste e può diventare portatore di vita. La sapienza divina non si riduce a verità astratte o alle varie forme di sapere ma è ciò che dà senso alla vita e la rende feconda nella carità.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,26-38

Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

LECTIO

L’annuncio a Maria, e la sua successiva visita ad Elisabetta, si collocano tra la rivelazione a Zaccaria e la nascita di suo figlio Giovanni. Il racconto, aperto e chiuso da Gabriele inviato da Dio e che a Lui ritorna, è un dialogo tra l’angelo e Maria. Nell’introduzione sono presentati i personaggi dei quali viene indicato il nome. La promessa sposa di Giuseppe esce trasformata dal colloquio con il messaggero del Signore e tale cambiamento viene esplicitato dalla stessa Maria che dice di sé di essere la serva del Signore.

L’uscita di scena dell’angelo segnala il fatto che il recapito del messaggio è andato a buon fine e che la madre del Signore diventa la protagonista della scena successiva in cui prende l’iniziativa di andare da sua cugina Elisabetta.

Il corpo del racconto è composto da tre interventi dell’angelo e altrettanti di Maria. Al saluto di Gabriele, sul cui significato la vergine si interroga, seguono due annunci che riguardano la sua maternità. La bella notizia non riguarda la maternità in sé della ragazza di Nazaret ma innanzitutto il nascituro del quale si dice esplicitamente essere Figlio di Dio. Dunque, la rivelazione non ha come oggetto l’intervento di Dio che riscatta dall’umiliazione della sterilità, come per le altre donne d’Israele rappresentate da Elisabetta, ma mette in luce la Sua azione creativa la quale avviene in collaborazione con la creatura più bella. Non ci troviamo di fronte ad una semplice comunicazione ma ad una vera vocazione, ovvero alla chiamata a cooperare.

Il Vangelo portato da Gabriele a Maria è un appello a cui ella reagisce ponendosi delle domande, interrogando l’interlocutore e poi rispondendo finalmente con il suo amen.

L’annuncio dell’angelo si articola in tre momenti. Dapprima Gabriele saluta Maria appellandola con un nome particolare, «Kecharitomente» (tradotto in italiano con «piena di grazia»), che suscita la riflessione di Maria. Continua con l’annuncio della sua maternità per poi andare al cuore del messaggio che riguarda suo figlio. Egli, infatti, è il motivo e il centro della rivelazione di Dio. Quel bambino che nascerà da lei e che chiamerà Gesù, non è solamente figlio suo ma «Figlio dell’Altissimo». Dio, dando seguito dalla promessa fatta a Davide, darà a lui un regno che sarà per sempre. Alla domanda di Maria sulle modalità con le quali avverrà l’evento, l’angelo risponde annunciandole il dono dello Spirito Santo, «la Potenza dell’Altissimo», per mezzo del quale Gesù viene consacrato Figlio di Dio fin dal grembo materno. Come corollario Gabriele rivela anche quello che Dio ha fatto a sua cugina Elisabetta, notoriamente sterile e ormai anziana, restituendole la gioia di essere madre.

Dando uno sguardo complessivo al messaggio angelico vediamo presentarsi uno ad uno i personaggi della storia osservati dal punto di vista di Dio. Il Suo è uno sguardo benevolo e benedicente e abbraccia con il suo amore tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Il saluto a Maria altro non è che un’amplificazione dell’esclamazione di Dio davanti all’umanità appena creata: «È bellissima!» (Gen 1,31). Siamo dunque rinviati al clima della creazione in cui Dio è all’opera per fare una cosa nuova. La novità è la venuta in mezzo a noi di Dio nella persona di Gesù, il figlio di Maria. La maternità di Maria è il modo con il quale Dio viene a salvare l’umanità.

MEDITATIO

Il regalo, la regalità e il regno

Dio è il protagonista della narrazione e della storia. Nel viaggio dell’angelo da Dio a Maria per portarle l’annuncio, il cielo si apre e scende sulla terra per donare la benedizione. La storia degli uomini diviene storia della salvezza, ovvero dell’intervento creativo di Dio Trinità, l’Altissimo, il Figlio dell’Altissimo e la Potenza dell’Altissimo. Il Signore Dio, l’Altissimo, il Padre, è il soggetto dell’azione di chiamare Gesù «Figlio dell’Altissimo» e di «dargli il trono di Davide». Il figlio di Maria, in quanto «Figlio dell’Altissimo» regnerà e il regno che riceve dal Padre sarà per sempre. Questo avverrà grazie all’azione della Potenza dell’Altissimo, lo Spirito Santo, che, scendendo su Maria, si poserà su Gesù consacrandolo quale Figlio di Dio.

La bontà e la novità assoluta della notizia che porta l’angelo non consistono nel titolo regale in sé di cui sarà fregiato Gesù, ma nell’evento del regno di Dio che si realizza tramite Lui. Il nome «Kecharitomene», «piena di Grazia», afferma che Dio ha operato e continua a operare con la sua grazia sia in Maria, che attraverso di lei. Maria è l’immagine dell’umanità guardata dall’Altissimo sempre con quel favore che non dipende dai meriti umani ma che trova la sua inesauribile sorgente nella misericordia di Dio. Il primato spetta alla Grazia di Dio e, come tale, Egli si dona, fa di sé un regalo. La regalità di Dio è il dono della sua Grazia che dà la vita.

Attraverso l’angelo, Dio parla a Maria di sé, del suo amore per lei e per tutta l’umanità. In questo contesto s’inserisce la sua maternità che, pur essendo un dono, non è né un prodigio che sana una qualche ferita, né un privilegio fine a sé stesso, men che meno un premio da conquistatare. La maternità di Maria, non essendo ascrivibile all’azione miracolosa che riscatta dalla maledizione della sterilità, suggerisce il fatto che quella di Dio è una scelta che eccede la condizione del peccato in cui si trovano gli uomini. Detto in altri termini, il concepimento di Gesù, e il suo conseguente venire di Dio in mezzo a noi, non è motivato dal nostro peccato ma dalla forza dell’Amore che non smette mai di sperare e di avere fiducia nell’uomo. La regalità di Dio è esercitata mettendosi a servizio dell’umanità perché essa sia veramente viva e feconda.

Nella maternità di Maria si riflette la maternità di Dio ed è al tempo stesso proclamazione del vangelo della sua tenerezza. I verbi della maternità, che sono anche quelli del Regno, concepire e partorire, richiamano da una parte il gesto del ricevere e dell’accogliere, e dall’altro quello del dare. Maria diviene madre ricevendo da Dio il figlio e donandolo al mondo. Così Gesù, riceve dal Padre il regno e lo dona al mondo offrendo sé stesso. La maternità di Gesù si rivela come esercizio di una nuova regalità contraddistinta dal servizio d’amore.

Giuseppe non è escluso da tutto e il suo ruolo non è semplicemente nominale o strumentale. La sua paternità riflette quella di Dio che esercita la regalità non rivendicando i suoi diritti di possesso, come aveva fatto Davide, ma dando al Figlio sé stesso, l’umanità accogliente con il suo calore, e non soltanto qualcosa che soddisfi le esigenze del corpo.

Tutto questo avviene solo grazie all’azione dello Spirito Santo e senza di Lui nulla può essere possibile all’uomo. È lo Spirito Santo che ci rende saldi nella fede, gioiosi nella speranza e operosi nella carità.

Maria, raggiunta dalla parola di Dio, si pone in ascolto in maniera critica, cioè ricercandone il senso per la sua vita. La sua obbedienza non è mera esecuzione di un ordine, ma è frutto di un processo di discernimento che avviene attraverso il dialogo con Dio. Anche questo è possibile sotto l’azione della Grazia, che previene e guida. Maria ragiona con il cuore e la mente illuminati dallo Spirito. A Maria non vengono date garanzie o assicurazioni per il futuro e ciò che avverrà non è tutto conosciuto. Ma di una cosa sola è certa: Dio la ama. Su questa certezza lei fonda la sua fede che diventa il motivo per cui gioiosamente, animata dallo Spirito Santo, si mette a servizio del disegno di Dio.

«Il Signore è con te»; «Piena di grazia … hai trovato grazia presso Dio» tradotto significa che Dio ama Maria e la ricolma di ogni dono, ha amato in Lei ciò che amava nel Figlio. Amare per Dio significa donare il suo Spirito, la sua vita. È lo Spirito santo che fa di noi figli di Dio e noi diventiamo vera immagine e somiglianza sua. Lo Spirito Santo ci rende generativi come lo è Dio, il Creatore. Dio ci coinvolge nella sua opera creativa e ci rende responsabili, cioè capaci di rendere possibile quello che è impossibile per le sole forze umane. Dio ci rende capaci di amare, cioè servire e dare la vita. Per l’uomo e la donna generare significa trasmettere la vita, quella fisica innanzitutto, comunicando il proprio amore con cura e attenzione. Vuol dire anche condividere la fede, la speranza e la carità, facendosi compagni di strada degli altri nel cammino della vita nel quale ognuno realizza la sua vocazione.

L’atteggiamento che Maria indica con il suo esempio è quello dell’interrogarsi per cercare il senso degli eventi, fare discernimento per riconoscere i segni dell’azione di Dio e lasciarsi coinvolgere nella sua opera. Il servizio è obbedienza a Dio, assecondando la voce dello Spirito, ed è cura amorevole dei fratelli nei quali si riconosce la presenza del Signore Gesù.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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