don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 23 Maggio 2023

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Sull’altare del cuore – Martedì della VII settimana di Pasqua

✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Gv 17,1-11

Dagli Atti degli Apostoli (At 20,17-27)

In quei giorni, da Milèto Paolo mandò a chiamare a Èfeso gli anziani della Chiesa.

Quando essi giunsero presso di lui, disse loro: «Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo, fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù.

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Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio.

E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno. Per questo attesto solennemente oggi, davanti a voi, che io sono innocente del sangue di tutti, perché non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio».

Paolo, prigioniero dello Spirito Santo, credibile testimone della Verità che rende liberi

Paolo sente vicina la conclusione della sua corsa il cui traguardo non è il conseguimento di un premio per sé, ma è il compimento della missione affidatagli da Gesù di essere testimone del potere dell’amore di Dio, che trasforma gli uomini da avversari in fratelli. Le parole di Paolo compongono il discorso di addio in cui l’apostolo riassume il senso della sua missione. Si definisce prigioniero dello Spirito Santo per affermare la piena consegna della sua volontà nelle mani di Dio.

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Le tribolazioni, le umiliazioni e le sofferenze hanno accompagnato tutto il cammino intrapreso; Paolo non le cita con vergogna ma con onore perché proprio quelle esperienze lo hanno confermato nella scelta di rimanere fedele alla vocazione ricevuta dal Signore. Se la sua missione evangelizzatrice fosse stata fondata sulla sua autonoma decisione, essa sarebbe già naufragata da tempo sotto i colpi dei tanti fallimenti e mortificazioni.

Come Gesù gli ha rivelato il suo amore proprio mentre lui lo perseguitava e faceva soffrire tanto la chiesa, così Paolo rivela il suo amore gratuito per le chiese proprio attraverso le molte tribolazioni subite e che ancora deve sopportare. Il Vangelo che Paolo proclama non è enunciazione di concetti astratti, ma è la realtà dell’amore di Dio che non si tira indietro davanti alle resistenze cattive degli uomini. Il vangelo della grazia è scritto nella carne di Paolo le cui ferite sono finestre aperte sull’infinito e incondizionato amore di Dio.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 17,1-11

Padre, glorifica il Figlio tuo.

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:

«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

Sull’altare del cuore

Il discorso di addio di Gesù si conclude con la preghiera chiamata «sacerdotale». Gli insegnamenti offerti ai suoi discepoli trovano il culmine nella preghiera che rivolge al Padre. Gli occhi rivolti al cielo rivelano che Gesù tende al Padre con tutto sè stesso, che la sua volontà è quella di piacere a Lui e che la sua missione nel mondo, davanti al quale ha mostrato il volto di Dio con segni e discorsi, si compie nel sacrificio della sua vita.

Essa sale al cielo come l’incenso della preghiera. Non si tratta di recitare formule e compiere riti ma di fare esperienza dell’intimità con il Padre nel quale trovare riposo e pace pur vivendo in una condizione di turbamento e afflizione. Anche Gesù davanti alla morte umanamente avverte angoscia, ma, animato dallo Spirito Santo, prega non perché gli venga risparmiata la sofferenza bensì che, vivendo fino in fondo la scelta di amare il Padre e i fratelli, ne possa uscire vincitore, come il frutto che nasce dalla morte del chicco di grano caduto in terra.

Gesù non cerca la sua gloria e non esige che gli altri siano al servizio del suo successo. La gloria che chiede al Padre altro non è che il dono dello Spirito Santo perché possa amare i suoi fino alla fine. La gloria umana si conquista a prezzo del sangue altrui, la gloria divina si rivela nel sangue sparso sulla croce da Gesù. La gloria è il potere di amare, di generare vita, vita eterna. Questa è la preghiera che con Cristo anche noi dobbiamo deporre sull’altare del nostro cuore.

La sofferenza diventa liturgia offertoriale in cui presentiamo a Dio le gioie e le fatiche di ogni giorno e da Lui riceviamo lo stesso Gesù, la vita eterna. Il sacrificio della croce, offerta sacerdotale di Gesù, diventa la preghiera al Padre che si perpetua in ogni eucaristia nella quale confluiscono tutte le suppliche degli uomini che desiderano vivere e vivere per sempre.

La morte, vissuta come preghiera, non strappa Gesù dai suoi, ma lo unisce a loro ancora più intimamente al punto che Egli, pur non essendo più visibilmente nel mondo, continua ad essere presente nel cuore dei suoi discepoli che pregano con Lui e donano la loro vita ai fratelli.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna