Tra il fariseo e il pubblicano non vโรจ una differenza morale, ma di coscienza. Uno รจ pieno di sรฉ, lโaltro รจ semplicemente aperto. Uno si giustifica, lโaltro si lascia attraversare.
Il primo si รจ costruito unโidentitร religiosa per potersi salvare dal vuoto; lโaltro, proprio nel vuoto, ritrova sรฉ stesso.
Se la religione promette un legame con lโalto, la fede รจ piuttosto uno sprofondare in sรฉ stessi. La fede non chiede di osservare, ma piuttosto di essere, e non pretende che si compiano opere per raggiungere il divino, ma vivere della presenza del divino in sรฉ.
Paolo ricorda che ยซSiamo giustificati per la fede, non per le opere della Leggeยป (Gal 2,16): cioรจ, siamo resi interi non dal fare, ma dal lasciare accadere; perchรฉ alla fine ciรฒ che salva non รจ lo sforzo, ma la resa. Non la prestazione, ma la trasparenza.
Il โdivinoโ โ parola forse logora, ma ancora necessaria โ non รจ un Essere che abita altrove. ร la vita stessa che, quando smettiamo di afferrarla, ci abita. ร ciรฒ che resta quando crollano le difese dellโio. La Presenza senza nome che riempie lโassenza.
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Il fariseo della parabola รจ un uomo che giudica, perchรฉ non ha mai guardato davvero sรฉ stesso. Chi invece si riconosce fragile non potrร piรน escludere nessuno; infatti, la veritร di sรฉ รจ la fine di ogni giudizio.
Quando Dostoevskij fa dire al Cristo: โVenite anche voi, o ubriaconi, o dissolutiโฆ se li accolgo รจ perchรฉ non si sono mai creduti degniโ (Delitto e castigo), sta dicendo che solo chi ha toccato il fondo dellโumano puรฒ comprendere lโinterezza della vita.
La vera giustizia non รจ morale ma ontologica: consiste nel non separare piรน. Nel sentire che tutto ciรฒ che esiste โ anche il nostro errore, la nostra notte โ รจ giร accolto dentro un respiro piรน grande.
Quando questo accade, non cโรจ piรน un Dio che salva, ma un silenzio che comprende. Non un cielo che premia, ma un cuore che finalmente si apre e tace.
Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato.
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